martedì 14 dicembre 2021

Modello IS-LM

 In questo post (tratto dal mio libro Le idee dell'economia)  descriveremo  il modello IS-LM che  discende da un articolo di Hiks: Mr. Keynes and the Classics, che aveva l'obiettivo di ricondurre il complesso libro di Keynes, La teoria generale, e il modello classico ad una serie di relazioni matematiche, facendo delle assunzioni semplificative.
In particolare Hicks riconduce la teoria economica keynesiana e classica a sole tre relazioni
La prima è quella che lega gli investimenti (I) all’interesse (i) ovvero I=I(i), con gli investimenti che sono decrescenti all’aumentare del tasso di interesse
La seconda relazione è relativa alla domanda di moneta o liquidità (M), che dipende da due variabili: interesse (i)  e reddito (Y), ovvero è una relazione del tipo M= L (i,Y). 
Infine, la terza è quella che lega investimenti e risparmio: I=S. Quest’ultima relazione si comprende se partiamo dalla spesa o reddito, infatti il reddito (semplificando) è composto da consumi più investimenti: Y=C+I, mentre i risparmi per definizione non sono altro che reddito meno consumi: S=Y-C (anche qui per semplificazione sono escluse tra le spese le tasse). Dalle due relazioni discende che in equilibrio deve essere sempre S=I. 
Partiamo dalla prima curva che costruiremo, la I-S del modello, che scaturisce dalla relazione che lega investimenti (I) e risparmio (S) e dal loro andamento in funzione dell’interesse e del reddito. In equilibrio abbiamo detto che deve essere S=I, di questi due elementi il risparmio è funzione del reddito, cioè tende ad aumentare con il reddito, mentre gli investimenti, per il meccanismo della efficienza marginale del capitale, aumentano al diminuire del tasso di interesse, questo perché il rendimento (attualizzato) degli investimenti diminuisce all’aumentare del tasso di interesse. 
Nella figura successiva abbiamo rappresentato l’andamento (decrescente) degli investimenti all’aumentare del tasso di interesse, nel quadrante a sinistra. Nel secondo quadrante in basso è rappresentata la retta I=S. Il risparmio è invece una funzione crescente del reddito (Y), l’andamento del risparmio  lo vedete rappresentato nel terzo quadrante in basso (con S crescente verso il basso). Unendo i punti tra i quadranti otteniamo una curva nell’ultimo quadrante, la cosiddetta I-S, che rappresenta quindi tutti i punti in cui sono in equilibrio, per come è stata costruita la curva, investimenti e risparmio per tutti i valori di interesse e reddito.




La curva LM è la curva che rappresenta i punti di equilibrio del mercato della moneta, cioè i punti ove sono uguali la domanda di moneta (o di liquidità L) e la offerta di moneta. 
La domanda di moneta, che ricordo essere la quantità di moneta che gli operatori privati vogliono tenere, ha due componenti fondamentali secondo Keynes. La prima è la domanda di moneta per transazioni (Lt), che dipende direttamente dal reddito e aumenta con questo, cioè del tipo: Lt=kY. La seconda componente, domanda di moneta speculativa (Ls), è invece legata al tasso di interesse. La relazione tra domanda di moneta speculativa e tasso di interesse è la seguente: se il tasso è basso, per cui gli operatori speculano sul suo rialzo, preferiscono detenere moneta (aumento domanda) per compare titoli in seguito che renderanno di più, viceversa avviene con tassi alti, quindi la domanda di moneta speculativa decresce all’aumentare del tasso di interesse. 
Altro aspetto da sottolineare, per capire la costruzione della curva, è che in equilibrio la domanda complessiva di moneta è uguale alla offerta complessiva di moneta, quindi la somma delle due componenti (Lt+Ls) non può cambiare, per cui se una aumenta l’altra diminuisce al variare delle due variabili (reddito e tasso di interesse). 
A questo punto possiamo costruire la curva LM. Nella figura seguente, nel quadrante sinistro, abbiamo la domanda di moneta per motivi speculativi (Ls), che abbiamo detto essere decrescente all’aumentare del tasso di interesse. Nel secondo quadrante abbiamo la relazione tra Ls e Lt, cioè l’insieme dei punti in cui la loro somma deve essere costante, perché in equilibrio uguale alla offerta di moneta. Nel terzo quadrante si identificano i punti che rappresentano la relazione lineare di aumento della domanda di moneta per transazioni all’aumentare del reddito. Unendo i punti corrispondenti nei vari quadranti otteniamo, nel primo quadrante, la curva LM che quindi rappresenta tutti e soli i punti di equilibrio del mercato della moneta, dove domanda e offerta di moneta si eguagliano.


 
Avendo capito come si costruiscono le curve, vediamo adesso come alcune variazioni nelle grandezze influiscono sugli equilibri dei due mercati e quindi sulle curve stesse. 
Partiamo dalla I-S e complichiamo il modello, introducendo la spesa pubblica (G) e le tasse (T). La relazione del reddito diviene Y=C+G+I. I risparmi saranno determinati dal reddito meno i consumi al netto delle tasse, cioè S=Y-C-T, quindi la relazione che ne scaturisce, al posto della precedente (S=I), diviene S+T=G+I. 
Nelle figure seguenti sono rappresentati gli effetti della spesa pubblica e delle tasse, vedendoli separatamente per non complicare troppo le figure. La aggiunta della spesa pubblica, che è indipendente dal tasso di interesse, facendo spostare la curva I+G a sinistra nel primo quadrante determina uno spostamento della IS (che diventa I-S’) e dei punti di equilibrio verso l’alto a destra con valori di reddito maggiori. Al contrario un aumento delle tasse, nella successiva figura, determina uno spostamento della curva IS verso il basso a sinistra, con punti di equilibrio a reddito minore. 
 


 

Tutto ciò è logicamente spiegabile pensando che l’aumento della spesa pubblica aumenta la domanda e quindi il reddito complessivo, mentre le tasse riducono i consumi e quindi la domanda. Questa è anche la ragione del perché alcuni propendono a consigliare la spese in deficit (non coperte da tasse) per aumentare la domanda complessiva; per completezza di informazione secondo il teorema del bilancio in pareggio (Teorema di Havelmo) si dimostra  che l'aumento del reddito nazionale (Y) è massimo quando ogni incremento di spesa pubblica (G) è corrisposto da un analogo incremento delle entrate ovvero di imposizione fiscale (T).
Analogamente se prendiamo la curva LM e ipotizziamo un aumento di offerta di moneta, questo sposta, come si vede nella figura seguente, la curva LM (che diventa L-M’), con punti di equilibrio con tassi di interesse minore e reddito (Y) maggiore. 


Anche questo movimento si può spiegare secondo la seguente logica: l’aumento di offerta di moneta spinge il tasso di interesse a diminuire (il tasso di interesse è il prezzo della moneta), pertanto se diminuisce il tasso di interesse questo determina una maggiore convenienza ad investire, aumentano di conseguenza gli investimenti e quindi, tramite il moltiplicatore, il reddito.
Per ulteriori approfondimenti sulla curva IS-LM e sugli  spostamenti e forme delle curve consiglio in particolare: il sito della WashingtonUniversity (http://faculty.washington.edu).  
Le curve che ho disegnato nelle figure per semplicità sono rette, in realtà sono delle effettive curve. In particolare va segnalato che sulla LM e la sua forma c’è un ampio dibattito tra gli economisti. Il tratto iniziale della curva, secondo l’ipotesi keynesiana della trappola della liquidità, quando il tasso di interesse tende ad essere molto basso, sarebbe una retta parallela all’asse delle ascisse: con l’abbassarsi del tasso di interesse infatti si arriva a un dato tasso di interesse per cui diventa preponderante la domanda di moneta per liquidità (per questo prende il nome di trappola della liquidità). In questa situazione l’aumento di offerta di moneta è quindi assorbito dalla domanda di liquidità, che corrisponde a una situazione in cui gli investimenti rimangono stagnanti e anche la produzione, situazione che renderebbe molto più utile un aumento delle spesa pubblica piuttosto che una politica monetaria. 
Il modello IS-LM, oltre ad essere una semplificazione della teoria keynesiana, è stato soggetto di alcune successive critiche anche dello stesso Hicks. In particolare un primo problema è di collegare un equilibrio di flussi, investimento e risparmio sono grandezze di flusso, con un equilibrio di grandezze di stock (moneta). Un altro aspetto è che l’equilibrio monetario si raggiunge rapidamente, mentre quello tra investimenti e risparmi è più lento. Infine, il tasso di interesse della curva IS è sostanzialmente un tasso di lungo termine, mentre il tasso di interesse nell’equilibrio LM è di breve termine.
Per concludere accenno al fatto che la evoluzione del modello IS-LM ha portato alla nascita del modello cosiddetto AD-AS, dove AD è la domanda aggregata (aggregated demand) e AS è la offerta aggregata (aggregated supply).

domenica 7 novembre 2021

Capitalismo, democrazia ed ecologia

Si sono conclusi da poco G20 e COP 26, con al centro i temi ecologici e il riscaldamento climatico e non solo. I risultati non sono affatto incoraggianti, qualche accordo è stato raggiunto ma mancano impegni veramente stringenti da parte di molti paesi  e quasi certamente gli impegni non basteranno e ne vedremo molti altri di questi meeting.
Approfitto di questi eventi per allargare il discorso,  su questo blog abbiamo, infatti, pubblicato recensioni di  decine di libri e articoli relativi ad aspetti economici, politici  e alla democrazia ed è il momento di fare la sintesi con qualche considerazione.
Il capitalismo non esiste da sempre, se vogliamo è una invenzione recente, con la sua formidabile azione, grazie anche alla ricerca scientifica e alla innovazione tecnologica, ha portato ad un diffuso benessere in alcune nazioni  ma anche a molte devastazioni, di cui il clima è un esempio lampante.
Sostenere quindi il mercato e il capitalismo in maniera acritica è divenuto difficile anche per i suoi più fervidi sostenitori, mentre negli autori che abbiamo recensito abbiamo trovato spesso una profonda critica alle eccessiva fiducia risposta nel mercato. Il mercato può essere sicuramente un ottimo mezzo per ottenere alcune cose, ma non può essere un fine, cioè l'arricchimento personale può essere utilizzato per accrescere il benessere generale ma il fine è proprio il benessere generale.
Certo in termini  filosofici e politici è molto difficile stabilire esattamente  quale sia il vero fine del benessere generale ma, in realtà,  se non sottilizziamo troppo possiamo fare qualche considerazione. La maggioranza delle persone, infatti,  credo abbia delle aspettative relativamente semplici, vorrebbe avere una vita sufficientemente agiata grazie a un lavoro che sia abbastanza soddisfacente e non eccessivamente instabile, vivere in ambiente confortevole, piacevole, non inquinato e malsano, avere una certa sicurezza e quindi vivere senza  la paura costante di  essere assassinato, derubato o subire catastrofi naturali o guerre, e infine godere di una certa libertà e di diritti. Ovviamente i desideri e le necessità sono molte di più e la questione e' più complicata,  ma sulle cose che ho elencato e poco altro credo si possano riconoscere la maggioranza delle persone; ma come fare a far emergere queste necessità e soprattutto  assicurarle? La questione non e' semplice. 
Nel passato solo le élite, di qualunque tipo, potevano avere il meglio di quanto era possibile nel momento storico (e sappiamo che nel passato non era paragonabile a quello che abbiamo oggi, ad esempio per  salute ed aspettativa di vita); l'élite dominavano per qualche ragione: militare, religiosa, tradizioni, ecc. Oggi abbiamo, soprattutto nei paesi più sviluppati,  élite dominanti grazie al potere economico anche se abbiamo sparse nel mondo situazioni di dominazione di vecchio stampo.
Nei paesi più sviluppati, con l'emergere delle nuove élite economiche e di un maggior benessere, ha incominciato a farsi strada una maggiore democratizzazione delle istituzioni. Idee alternative dittatoriali, fascismo e comunismo, hanno tentato soluzioni diverse ma hanno dimostrato la loro debolezza e pericolosità anche se in giro abbiamo ancora qualche nostalgico (la Cina meriterebbe un discorso a parte). 
Nei paesi occidentali il dopoguerra è  stato un periodo irripetibile e positivo. Infatti, in quella che viene definita Golden Age, abbiamo avuto crescita diffusa del benessere materiale ma anche un miglioramento legislativo, welfare e lavoro ad esempio,  e istituzionale e un allargamento della democrazia ad altre nazioni. Non che fossimo nel migliore dei mondi possibili ma comunque un buon periodo di progresso economico e democratico. Tutto ciò si deve a una serie di concause. Innanzitutto la distruzione della guerra creava un enorme possibilità per le attività economiche. Inoltre,  l'atteggiamento degli USA che hanno finanziato  con il Piano Marshall la ricostruzione, ovviamente questo era un atteggiamento  benevolo ma anche interessato,  bisognava contrastare il comunismo sovietico e un Europa più ricca era anche un mercato di sbocco per le loro merci. Infine, da non sottovalutare, il clima di idee keynesiane, per la accettazione della necessità di intervento dello Stato per gestire economia e domanda, e sul piano internazionale gli accordi di Bretton-Woods. Fu un periodo in cui si raggiunse un certo equilibrio tra Stato e Mercato, gli Stati cercavano di stabilizzare la economia e la domanda, le imprese erano avvantaggiate dalla stabilità e facevano profitti creando lavoro e benessere (non esisteva ancora la spinta spasmodica dei mercati azionari per tagliare i costi); anche il sistema di Bretton-Woods funzionava creando stabilità ed evitando gli eccessi della finanza, inoltre creando un sistema internazionale più stabile consentiva alle nazioni di gestire l'economia interna senza preoccuparsi eccessivamente di quella internazionale.
Con gli anni '70 gli equilibri si rompono, l'aumento del prezzo del petrolio genera inflazione ma anche recessione, la stagflazione, le idee keynesiane perdono appeal e nascono nuove idee economiche (Friedman e seguaci). Il sistema monetario internazionale basato sul dollaro, a causa della debolezza del dollaro per il deficit estero USA, viene meno e Nixon abolisce la convertibilità dollaro-oro, salta l'equilibrio di Bretton-Woods. Nei decenni successivi aumenta la globalizzazione con la entrata nel commercio internazionale di altre nazioni, che fanno concorrenza con il basso costo del lavoro, crolla l'URSS e tutto il sistema dei paesi dell'est,  la Cina diventa la fabbrica del mondo. Il sistema internazionale diventa instabile, con movimenti enormi di monete e flussi finanziari. Da una parte per alcune nazioni la globalizzazione rappresenta un progresso del benessere, in occidente però aumentano le diseguaglianze. Alcune aziende e alcuni individui si arricchiscono molto giocando sulle possibilità offerte dalla globalizzazione e dai mercati a bassi salari. Nascono nuovi monopoli, quelli digitali. Anche sul piano della democrazia vi sono aspetti contrastanti. Da una parte la democrazia avanza in molti paesi, tanto che c'è chi troppo presto parla di fine della storia. D'altra parte in alcuni  paesi del est, Russia e Ungheria ad esempio, la democrazia diviene più elettorale che una democrazia effettiva, un altro esempio di arretramento democratico è la Turchia.
Nei paesi industrializzati la globalizzazione elimina posti di lavoro e mette in difficoltà le classi medie e genera anche un aumento della povertà. La sinistra si è dimostrata incapace di gestire il cambiamento, emergono nuove formazioni politiche populiste che cercano di fare breccia su questa massa di scontenti, paradossalmente le classi disagiate si spostano a destra (vedi ad esempio Lega o Trump), la sinistra tradizionale diventa rappresentante delle élite. I partiti tradizionali perdono terreno e aumenta la disaffezione per la politica. 
Per le nazioni in questo contesto diventa difficile gestire l'economia nazionale (vedi anche Rodrik), le imprese operando a livello internazionale possono trovare il modo di eludere le tasse, inoltre la crisi del sistema finanziario prima e la pandemia poi fanno esplodere i debiti pubblici.
Come si vede la situazione per un politico oggi è  estremamente complessa, le imprese sono sempre meno alleate dello Stato e fanno venire meno le tasse eludendo o delocalizzando,  i cittadini sono delusi, arrabbiati o disinteressati, gli spazi di manovra economici sono ridotti, la complessità del sistema è divenuta enorme  e servono personalità preparate per gestire situazioni sempre più intricate. I problemi oltre che complessi sono transnazionali, senza accordi internazionali non è possibile gestire alcune delle dinamiche prima descritte, come pure il problema enorme ecologico posto dal cambiamento climatico.
Come ho scritto qui un nazione prospera se i tre elementi, Stato, Mercato e Democrazia sono forti e si equilibrano. Questo significa avere istituzioni forti e ben organizzate (vedi qui), un sistema industriale e finanziario avanzato, una cittadinanza attiva e consapevole. Sulle istituzioni e sulla consapevolezza dei cittadini, in Italia abbiamo molto da fare, su questo tema ho detto qualcosa nel mio libro. Dovremmo lavorare molto anche sulla informazione giornalistica, sul coinvolgimento delle persone nella politica superando la semplice democrazia rappresentativa (vedi qui) e arrivando a una democrazia più sostanziale.
La evoluzione della Unione Europea risponde alla esigenza di contare di più a livello internazionale, cosa strategicamente giusta, il modo con cui arrivarci da un certo punto in poi è stato sbagliato: la creazione dell'euro, allargamento a est della  UE che complica la gestione, e inoltre vi è anche un deficit democratico nella attuale struttura.
Premetto che questa crescita economica energivora e che spreca enormi risorse non può continuare e dobbiamo cambiare paradigma (vedi anche qui). A livello economico generale le nazioni sviluppate non potranno avere comunque tassi di crescita molto elevati, ed inoltre la crescita delle diseguaglianze crea ulteriori difficoltà perché deprime la domanda di chi potrebbe spingerla (tra l'altro mi domando che ci devono fare con i soldi i ricchissimi come, ad esempio, B. Gates, E. Musk ecc., soldi  che basterebbero per generazioni di nipoti). Viceversa ci sono grandi margini di miglioramento per moltissime nazioni depresse che potrebbero svilupparsi, ma manca quasi tutto, da uno Stato decente alle possibilità di finanziamento. Sarebbe quindi logico ridurre le diseguaglianze all'interno delle nazioni e tra nazioni, un alieno intelligente vedendo la situazione da fuori credo  non capirebbe perché non lo facciamo.
Vi è infine il problema ecologico. Da una parte dopo anni di avvertimenti da parte della scienza, anche a seguito di eventi estremi, le persone sono più consapevoli della necessità di affrontare i cambiamenti climatici. A livello politico però siamo in forte ritardo, gli accordi sono stati spesso al ribasso, ci sono interessi e situazioni contrastanti difficilmente conciliabili. Su questo punto ho poche speranze che si faccia il necessario, d'altra parte anche questa è una situazione complessa. Fare una transizione è difficile quando il sistema è stato imperniato sui combustibili fossili. Anche le nostre abitudini andrebbero profondamente cambiate e dal dire al fare ce ne passa. Infine,  ci sono problemi pratici, difficile poter generare il fabbisogno energetico con sole fonti rinnovabili. Quando le sfide sono enormi bisognerebbe far affidamento sulla intelligenza e le capacità dell'uomo. Ci vorrebbe un nuovo progetto Manhattan  che metta insieme le migliori menti  per trovare soluzioni dalla cattura della anidride carbonica e ai problemi energetici, ma i problemi non sono solo tecnologici e serve sempre la politica; anche se come detto l'interesse della maggior parte dei cittadini è sicuramente a favore di soluzioni per ridurre il riscaldamento  globale, ma la volontà generale ancora una volta non prevarrà
Infatti, nei paesi sviluppati la democrazia è in affanno, con le élite economiche che possono condizionare la politica (non più una testa 1 voto ma un dollaro un voto), d'altra parte perché imprese e super ricchi pagano poco di tasse e noi comuni mortali le paghiamo per intero? In altri paesi la democrazia è solo elettorale o ancora siamo in presenza di dittature più o meno morbide. 
Peccato l'uomo è un essere intelligente che ha tutte le possibilità e conoscenze per far vivere bene l'umanità preservando l'ambiente, ma non lo farà.

venerdì 5 novembre 2021

James K Gabraith -The predator State

Questo libro è scritto da James Galbraith economista americano, figlio del famoso economista John Galbraith  autore di alcuni libri di successo come la Società Opulenta e il Nuovo Stato Industriale.
La prima parte del libro è una ricostruzione storica, secondo la visione dell'autore, delle idee e politiche economiche del dopoguerra negli USA.
Le idee e politiche dei conservatori sono state ispirate dalle idee di libertà economica che finisce per essere libertà di scelta o meglio di acquistare, che è una libertà piena solo per i ricchi. Il mercato diventa la necessaria controparte della libertà economica. Di fatto la libertà di scegliere è una libertà per il business, perché solo le grandi corporation hanno sostanzialmente il potere politico. 
Un altro mito dei conservatori è il risparmio privato, che è fondamentale per la crescita e quindi deve essere agevolato grazie anche al taglio delle tasse. In realtà se il mercato è veramente efficiente non vi è possibilità che ci sia insufficienza dei risparmi, quindi se ci deve essere un intervento pubblico questo non può andare a vantaggio dell'investimento privato, la scelta del migliore investimento è quindi una decisione politica, se favorire il risparmio è un fine per la politica pubblica devono essere anche pubblici i benefici. In ogni caso la storia ha dimostrato che le tasse non hanno un grande effetto sui risparmi e sugli investimenti, che sono rimasti piuttosto stabili.
Un altro paradigma dei conservatori e il monetarismo di Friedman  con la idea che la inflazione sia un fenomeno prettamente monetario e quindi con la sua enfasi sul controllo della moneta. L'autore evidenzia, invece, come la inflazione sia spesso un problema di costi in aumento, l'apparente successo  del monetarismo nel bloccare l'inflazione è dovuto  in realtà a fattori esterni, cioè  il collasso della forza dei sindacati e la globalizzazione con l'ingresso massiccio dei paesi a bassi salari. La realtà del mondo attuale, con la proliferazione di nuovi mezzi di pagamento e credito (near money), ha come conseguenza  che la banca centrale non controlla di fatto la massa monetaria ma solo il tasso di interesse. 
Un altro mito è quello relativo al pareggio di bilancio dello Stato. Inizialmente erano i conservatori a difendere il pareggio di bilancio mentre le amministrazioni democratiche (Kennedy-Johnson) erano favorevoli a politiche espansive e keynesiane. Anche Nixon, che si dichiarò anche lui keynesiano, fece una politica espansiva, anche se la sua azione con conseguenze più durature fu l'abbandono del sistema di Bretton-Woods. Di fatto anche Reagan, con i tagli di tasse e soprattutto con le spese militari, fece aumentare il deficit. Di fatto saranno di democratici a divenire i più strenui difensori del pareggio di bilancio. Clinton stesso per una serie di eventi favorevoli, flussi di denaro verso gli USA e crescita del mercato azionario e tecnologico (aumento dei redditi e tasse), riuscì infatti ad ottenere  crescita e risanamento del budget statale. Con Bush figlio si ha una ripresa delle spese militari (dopo 11 settembre) e del deficit con  una crescita economica, che porterà però al boom immobiliare poi esploso nella crisi del 2008. In conclusione la storia ha mostrato che gestire o meno  il deficit del governo dipende da molti fattori, più  esterni (commercio internazionale e flussi finanziari) piuttosto che dalla politica interna.
Nonostante che negli ultimi decenni le diseguaglianze economiche  siano cresciute in maniera enorme il sistema economico americano sembra resistere abbastanza bene, qual è la spiegazione? La spiegazione sta nelle robuste istituzioni create a partire del New Deal e anche nel dopoguerra. Queste istituzioni sono in particolare: la difesa, l'agricoltura (grazie ai sussidi), la scuola e università, il sistema pensionistico e il sistema sanitario. Queste istituzioni assorbono circa il 40% del PIL nazionale, e pur avendo subito attacchi dai conservatori sono riuscite a mantenersi salde nel tempo. Ma i conservatori più attenti al potere che alle idee hanno capito che era più utile  sfruttare queste istituzioni piuttosto che combatterle. Il sistema industriale tradizionale americano (es. Auto) si è ridotto nel tempo per effetto della concorrenza internazionale, quelle industrie descritte dal padre John Galbraith  come tecnostrutture nel libro Il Nuovo Stato Industriale, al loro posto sono cresciute le industrie tecnologiche e digitali. La crescita di queste imprese è molto legata al sistema bancario-finanziario che le finanzia, l'insieme ha creato il fenomeno dei CEO strapagati. Lo Stato predatore nasce dalla coalizione tra politica (partito Repubblicano) e business, con lo scopo di sfruttare le istituzioni dello Stato (sistema sanitario, scuola, difesa ecc..) per trarne profitti, questo è stato molto evidente con la amministrazione di Bush figlio (vedi anche qui). Quindi non più lotta per ridurre le spese statali semmai il contrario.
Nei capitoli conclusivi l'autore afferma che non possiamo fare a meno di pianificare, poiché riguarda l'uso delle risorse di oggi per le necessità del domani, aspetti che il mercato da solo non può risolvere, in quanto il mercato raccoglie i segnali che gli arrivano dagli individui ma solo in proporzione al potere di acquisto, La pianificazione (dello Stato) si deve rivolgere ad alcuni aspetti fondamentali: l'educazione (in senso lato), la scienza e ricerca scientifica, le infrastrutture ed investimenti, Un altro aspetto sono le regole e gli standard,  in alcuni casi possono favorire i monopoli ma in generale sono armi per la competizione e per far emergere le imprese migliori, cosi come gli standard sul lavoro sono la manovra piu efficace contro la immigrazione.
Il libro non è recente, è stato scritto nel 2008, comunque ci sono esposti concetti interessanti  e ricostruzioni storiche dettagliate, la critica è rivolta alle idee e politiche della destra ma anche della sinistra liberale, il  punto di vista è quello di un economista progressista, molti punti di vista sono in parte noti e mi trovano in larga parte d'accordo.

lunedì 1 novembre 2021

Draghi: la manovra economica e il G20

Dunque è stata varata la manovra economica del governo Draghi da 30 miliardi. La manovra è equilibrata o meglio ecumenica, cerca di non scontentare nessuno con un impianto le cui linee sono quelle del premier, un economista preparato non troppo sbilanciato a destra o a sinistra. Vediamone i capitoli. Pensioni, da un contentino evitando un nuovo scalone con quota 102 che è il massimo che poteva concedere con buona pace di Salvini e dei sindacati, con un fondo per le PMI in crisi e lasciando l'opzione donna. Taglio fiscale 8 miliardi non troppo ne troppo poco, da capire i dettagli. Rifinanzia il reddito di cittadinanza, che va bene ai 5 stelle, con alcune restrizioni e modifiche, d'altra parte come ho già detto il RDC è una misura giusta che andava introdotta anche se non è stata congeniata bene. Bonus case, proroga solo per i condomini e limiti per le villette, giusto tutto sommato è una misura fin troppo generosa e troppo onerosa per lo Stato, i soldi si possono spendere meglio. Confermati e rifinanziati  i bonus per gli investimenti 4,0  legge Sabatini, ovviamente ok; come pure i soldi per la sanità, ci mancherebbe! Ci sono anche giustamente 860 milioni per il fondo clima, e finalmente un finanziamento e  l'assunzione nella PA (in tutto 1,8 miliardi). Quindi nel complesso una buona manovra, si vede che c'è la mano di Draghi. Mi aspettavo di più per i giovani (solo sconto sugli affitti) mentre si poteva fare di più (vedi proposta Calenda su riduzione fiscale per i giovani), manca molto sulla formazione, siamo un paese con pochi laureati si potrebbero detassare di molto le tasse universitarie per le lauree tecnologiche e scientifiche che ci servono, se vogliamo affrontare un futuro dove la componente tecnologica conta moltissimo. Non vedo niente sui ITS (Isitututi Tecnici Superiori) che sono stati introdotti ma sono ancora pochissimi rispetto alle potenzialità, soprattutto in termini di occupazione, che avrebbero. Manovra complessivamente promossa anche se si poteva osare di più (forse mancano le condizioni politiche).
Passiamo al G20, grande successo? Si e no. Sicuramente si dal punto di vista organizzativo, per la visibilità italiana e del nostro premier, che ha fatto un ottima figura. I risultati ni, sul clima un piccolo passo avanti ma senza impegni precisi e stringenti, si è sentita la mancanza di Cina e Russia, questi meeting sono belli mediaticamente ma non eccessivamente utili, sarebbe preferibile un faccia a faccia tra USA, UE e Cina e se vogliamo la Russia e Giappone (per motivi geopolitici). Comunque che ci piaccia o no alcuni temi come clima e tassazione delle grandi corporation vanno risolti con accordi internazionali e con pochi attori. Sul clima si è preso atto della importanza ma fintanto che i disastri non peggioreranno non si farà il necessario. Purtroppo come ha insegnato la II guerra mondiale solo le grandi crisi generano grandi sforzi che consentono di ottenere risultati possibili ma solo grazie alla cooperazione e coordinazione. Infine, un discorso sulla leadership, se ne va la Merkel, molto brava sul piano interno meno su quello internazionale, non dimentichiamoci il casino generato da lei e Sarkozy sulla crisi greca che risolse poi appunto Draghi. Comunque le leadership politiche  di alto livello mancano, e il fatto che alla fine giganteggiano figure semi tecniche come Draghi la dice lunga sulle difficoltà della politica. Purtroppo la democrazia non vive un gran momento, la crisi del sistema capitalistico con l'esacerbarsi delle diseguaglianze ha creato fasce di popolazione scontente che finiscono per aggrapparsi alle frange populiste per mancanza di visione delle sinistre tradizionali, che ormai rappresentano più le élite intellettuali che il popolo. Servirebbe una politica forte, meno prona agli interessi delle grandi corporation e del mercato, che ristabilisse il primato del benessere della maggioranza e della etica civile che il mercato e il capitalismo non possono fornire.

giovedì 14 ottobre 2021

Robert Skidelsky -What's Wrong With Economics

 Il libro che recensiamo oggi è di Robert Skidelsky di cui abbiamo parlato qui in relazione al suo libro di biografia di Keynes. Il tema di questo libro è più ampio, cioè cosa c'è di sbagliato nella scienza economica (economics). La accusa che muove l'autore alla cosiddetta scienza economica  è fondamentalmente metodologica, l'errore fondamentale non risiede in qualche specifica dottrina ma nei metodi che la economia utilizza nel raggiungere le sue conclusioni, la sua debolezza sta nel generalizzare sulla base di assunzioni troppo semplicistiche. Inoltre, la incapacità di validare empiricamente le sue ipotesi più importanti tende a portarla verso la ideologia.
L' individualismo metodologico, che caratterizza l'economia, omette le relazioni tra gli individui stessi riducendo le strutture sociali a transazioni economiche. I modelli economici tendono ad essere ciechi di fronte al ruolo del potere nel definire le relazioni economiche.
L'economia tratta di desideri e mezzi, i fini sono semplicemente cosa le persone desiderano, il tutto connesso al concetto di scarsità, ma spesso la scarsità nasce dalle strutture sociali e politiche (scarsità artificiale), restrizione artificiali della offerta. L'unico scopo valido dell'economia dovrebbe essere l'abolizione della povertà. La questione relativa alla crescita e al ruolo dello Stato e delle istituzioni rimane insoluta in economia, anche se di fatto la crescita economica è stata guidata dalla Stato piuttosto che dal mercato, e il commercio è stato uno strumento della politica nazionale piuttosto che un libero commercio. Purtroppo le prescrizioni della economia mainstream prevedono, per la crescita dei paesi più arretrati, la liberalizzazione dei mercati finanziari, la riduzione delle barriere tariffarie, le privatizzazioni e la riduzione della spesa pubblica, mentre un requisito fondamentale per la crescita è piuttosto uno Stato forte e non corrotto. La storia ha infatti  dimostrato che le nazioni non liberalizzarono per diventare ricche, piuttosto hanno liberalizzato dopo essere diventate ricche. Un altro concetto economico è quello dell'equilibro, concetto relativo a un sistema fermo, senza assunzioni irrealistiche sul comportamento umano l'esistenza dell'equilibrio tra domanda e offerta non può essere dimostrata. Le leggi economiche hanno una valenza molto minore di quelle delle scienze naturali. Creare modelli significa creare una semplice struttura teorica che rappresenti la realtà, e il mondo sociale difficilmente è stazionario, l'economia cerca quindi di rimuovere i potenziali disturbi. I modelli economici non possono essere considerati una replica semplificata dei reali comportamenti, piuttosto creano un comportamento consistente con i loro modelli. Alla economia è impedito usare il metodo sperimentale delle scienze naturali. L'econometria non riesce a sostituire gli esperimenti, tramite essa è difficile isolare le ipotesi da testare dalle altre ipotesi e le correlazioni che trova non sono delle relazioni causali, rivelando la sua debolezza. L'economia quindi è solo rivestita da un aura scientifica, a causa della inconsistenza dei suoi modelli e la incapacità dei modelli di spiegare i fatti osservati, riuscendo quindi a fornire solo predizioni qualitative piuttosto che quantitative. Non ci sono leggi economiche valide in ogni tempo e luogo, al massimo le teorie possono fare delle predizioni approssimativamente valide per periodi limitati. La economia neoclassica si basa sul "homo economicus" ovvero l'uomo razionale, le deviazioni dalla razionalità vengono considerate non sistemiche, mentre la behavioural economics ha mostrato le deviazioni dalla razionalità ed errori sistematici, non confermando pertanto il modello di homo economicus, anche se l'autore evidenza che la behavioural economics non ha fornito una decisa alternativa a tale modello. 
L'autore passa poi ha esaminare le differenze tra economia e sociologia. La sociologia afferma che la azione individuale è condizionata dalla posizione sociale dell'individuo nel gruppo, mentre per gli economisti neoclassici la causazione va dall'individuo alle istituzioni. La economia astrae, quindi, dalla società mente la sociologia la presuppone, la economia studia sistemi chiusi mentre la sociologia sistemi aperti. La sociologia presuppone che gli esseri umani siano inseparabilmente legati dalla biologia, esperienza e cultura. La economia neoclassica assume invece una natura umana non modificabile caratterizzata da un illimitato desiderio di guadagno. Vi è quindi una separazione non colmabile nella spiegazione del comportamento umano tra economia e sociologia. Ma entrambe falliscono nella loro interpretazione, la sociologia con la sua visione olistica del tutto, mentre la economia con il suo individualismo.
L'economia neoclassica ha una visione piuttosto riduttiva delle organizzazioni sociali, assume, infatti, che gli individui formano le istituzioni economiche (ad esempio aziende) per ridurre i costi di transazione, inoltre con la teoria della Scelta Pubblica che i politici e la burocrazia sono mossi fondamentalmente dagli interessi privati e quindi a massimizzare il proprio tornaconto. Inoltre, mentre il potere è un elemento essenziale della politica, questo è del tutto assente dalla economia contemporanea (mentre era presente nella economa classica). Ignorando il ruolo del potere nell'economia rende le strutture di potere invisibili, rendendosi quindi veicolo per la ideologia corrente. Dietro la loro apparente aura di indipendenza e scientificità gli studi economici riflettono, inevitabilmente, gli interessi di chi ne finanzia le attività. La mancanza del ruolo del potere e delle istituzioni è quindi una debolezza dell'economia attuale, mentre dovrebbe proprio partire da istituzioni, classi, organizzazioni e norme sociali. Un altro aspetto è la sottovalutazione dello  studio della storia del pensiero economico, dando per scontato che le teorie attuali siano superiori alle vecchie e quindi queste non meritino di essere studiate, mentre la storia dimostra che la economia e le sue idee sono "path-dipendent", il presente e il futuro sono connessi dalla continuità dalle istituzioni della società. Un altro aspetto completamente assente dalla economia è l'etica, la etica diventa solamente un aspetto del calcolo individuale.
La debolezza della economia come scienza deriva dalla impossibilità di stabilire leggi empiricamente robuste relative al comportamento umano, il suo nucleo scientifico consiste in deduzioni logico/matematiche basate su assunzioni non realistiche. Tutto ciò rende larga parte dell'economia una visione inutile del mondo e pertanto una guida politica piuttosto fuorviante.  La economia mainstream da un eccessivo potere di calcolo agli umani, ignorando il ruolo della  incertezza. In definitiva sono due i problemi della economia, insufficiente generalità delle sue premesse e mancanza di una mappa istituzionale. La necessità per il futuro è di un economia meno  pretenziosa nei confronti delle altre scienze sociali e che invece sappia guardare ad esse con maggior rispetto. Aspetti centrali di  un economia più aperta  dovrebbero essere il ruolo dello Stato, la distribuzione del potere e gli effetti di entrambi sulla distribuzione della ricchezza.
In definitiva un libro molto ricco e interessante, in sintesi  riflette il pensiero di Keynes sulle caratteristiche che dovrebbe avere un economista riferendosi a Marshall:
un grande economista deve possedere una rara combinazione di doti: deve essere allo stesso tempo e in qualche misura matematico, storico, politico e filosofo; deve saper decifrare simboli e usare le parole; deve saper risalire dal particolare al generale e saper passare dall'astratto al concreto nelle stesso processo mentale; deve saper studiare il presente alla luce del passato, per gli scopi del futuro. Nessun aspetto della natura dell'uomo o delle istituzioni umane gli deve essere alieno.

lunedì 4 ottobre 2021

Robert Skidelski -Keynes A Very Short Introduction

 Robert Skidelsky è un economista e storico britannico, ottimo conoscitore di Keynes su cui ha scritto delle estese biografie pubblicate in tre volumi; questa che presento è una introduzione molto sintetica ma che trovo fatta molto bene e contiene tutti gli elementi essenziali per capire il pensiero del grande economista.
I primi due capitoli sono dedicati alla sua vita e alla sua filosofia. In particolare, Keynes poneva la intuizione come fondamento della conoscenza. Inoltre, i suoi primi interessi e lavori sono relativi alla probabilità, infatti la incertezza è al cuore del suo pensiero economico. Anche se si definiva un conservatore moderato era contrario al conservatorismo politico, militando tra i liberali ma non tra i laburisti, era contrario alla lotta di classe socialista pur rimanendo un riformatore del sistema capitalistico che riteneva intrinsecamente instabile. Nel capitolo successivo il libro affronta la evoluzione del pensiero monetario di Keynes. Inizialmente Keynes accetta la teoria quantitativa della moneta (vedi ad esempio capitolo del mio libro ad essa dedicato). Nel libro Tract on Monetary Reform (1923) l'obiettivo è la stabilità dei prezzi ottenibile attraverso il controllo della moneta disponibile al sistema bancario da parte della banca centrale. E' invece contrario al ritorno della parità aurea stabilito da Winston Churchill nel 1925 che avrebbe generato  disoccupazione.
In seguito Keynes inizia a porre al centro dell'attenzione la relazione tra investimenti e risparmi, e sulla scia di Robertson cerca di integrare, quindi, l'analisi investimenti-risparmi con la teoria monetaria. Con Tratise on Money si stacca dalla teoria classica secondo cui  risparmi e investimenti si adeguano naturalmente, risparmi e investimenti sono fatti da soggetti diversi con diverse finalità. Le depressioni avvengono quando l'incentivo a investire nuovi capitali non assorbe il tasso di risparmio. Vediamo quindi che incominciano a farsi luce i temi della Teoria Generale, anche se rimane fiducioso nella capacità della banca centrale di agire sul tasso di interesse per bilanciare l'economia solo qualora si abbandonasse il gold standard e si adottino barriere tariffarie.
Nella Teoria Generale integra i concetti del Tratise con nuovi elementi, la teoria del moltiplicatore (sviluppata da Kahn), la efficienza marginale del capitale (derivata dall'analisi degli investimenti di Fischer), la teoria dei consumi, ecc.
L'autore in poche righe fa una sintesi efficace della sequenza logica causale:
Data la propensione al consumo, la quantità di  disoccupazione è determinata dall'ammontare degli investimenti; date le aspettative di profittabilità degli investimenti questi sono determinati dal tasso di interesse; data la quantità di moneta il tasso di interesse è determinato dalla preferenza della liquidità.
 Al centro dell'analisi sono gli investimenti, e la loro instabilità, sono gli investimenti che determinano i risparmi (solo a posteriori sono uguali), infatti (paradosso della parsimonia) un eccesso di risparmi conduce a una riduzione delle aspettative sui futuri consumi e quindi dei futuri guadagni degli imprenditori che porta a ridurre il risparmio complessivo  via riduzione del reddito (sono le  spese che determinano il reddito). Il tasso dei interesse è determinato dalla preferenza per la liquidità, moneta come riserva di valore per combattere la incertezza (trappola della liquidità). Se il tasso di interesse rimane al disopra del tasso di ritorno del capitale, che rende possibile (via investimenti) la piena occupazione, la politica monetaria diviene impotente nel abbassare ulteriormente il tasso di interesse, da cui deriva  la necessità di politica fiscale e di spesa da parte dello Stato (la socializzazione  degli investimenti). Un capitolo è dedicato a Keynes come uomo di Stato, soprattutto durante la seconda guerra mondiale con i suoi piani per pagare la guerra senza generare inflazione (How to Pay for the War). Il suo contributo più importante, nel tentativo di regolare la economia internazionale, si realizzò nelle trattative che portarono al cosiddetto accordo di Bretton Woods. Keynes era convinto che un sistema di cambi rigidi come il gold-standard non poteva durare a lungo, d'altra parte un sistema di cambi flessibili era troppo pericoloso per la stabilità economica internazionale, quindi la sua preferenza era per un sistema di cambi flessibili ma con limitazioni alle oscillazioni. Altri aspetti che voleva limitare erano l'eccesso di esportazioni da parte di una nazione nel commercio internazionale (che genera deflazione) e un sistema finanziario controllato. Le sue proposte vennero approvate solo in parte, l'accordo metteva al centro del sistema internazionale monetario il dollaro e non la divisa internazionale (Bancor) che aveva proposto Keynes.
Gli ultimi capitoli sono dedicati alla eredità di Keynes. La Teoria Generale ha avuto un grande impatto dalla sua uscita, in particolare sui giovani economisti e anche sul pubblico. La influenza di Keynes sul dopoguerra è indubbia, almeno fino al 1970, va evidenziato, comunque, che le politiche keynesiane influirono sui governi ma non furono completamente adottate dai paesi occidentali, ad eccezione del periodo di Kennedy negli USA. La cosiddetta "golden age" è si, in parte, dovuta alla influenza keynesiana ma hanno giocato un ruolo anche la situazione generale politica (Guerra Fredda e lotta ideologica tra capitalismo e comunismo), il rapido sviluppo tecnologico e la crescita della domanda in generale. Inoltre, anche nel sistema monetario le idee di Keynes hanno aiutato nella stabilità, grazie comunque alla politica in deficit commerciale degli USA che ha quindi impedito tendenze deflazionistiche. Non possono essere ascritte a Keynes  certe interpretazioni da parte  dei cosiddetti keynesiani, che hanno in parte travisato le idee di Keynes che era molto più accorto e moderato nelle sue indicazioni di politica economica, vi è stato, quindi, un eccesso di ambizione nel tentativo di governare la economia. Sta di fatto che, dagli anni '70 con la comparsa della stagflazione, prende il sopravvento la teoria monetarista e delle aspettative razionali con il conseguente discredito delle politiche keynesiane, che sembrano superate dai fatti. Sarà, soprattutto, la crisi del 2008 ha dimostrare che la eccessiva fiducia nelle salvifiche caratteristiche  del mercato è ancor più fallace, avendo portato a una crisi economica di grandi dimensioni, con la rivalutazione delle idee di Keynes. E' proprio la impossibilità di modellizzare e dominare la incertezza che non rende possibile marginalizzare la teoria keynesiana e pone invece limiti alla teorie classiche; quindi la eredità di Keynes riamane, un Keynes correttamente interpretato e inteso ma anche con adeguate integrazioni e innovazioni.


martedì 24 agosto 2021

Alessandro Roncaglia - L'età della disgregazione

 Alessandro Roncaglia è un economista molto famoso che ha insegnato alla Sapienza (Università di Roma), è autore di numerosi libri, in particolare ho letto il suo: La ricchezza delle idee, libro di storia economica. In questo libro completa la trattazione approfondendo la storia economica dal dopoguerra ad oggi. Pertanto, a parte qualche cenno sugli economisti sino a Keynes, inizia trattando in maniera specifica Hayek e Sraffa. Il libro prosegue con la sintesi neoclassica di Samuelson. Una parte importante è  dedicata a Friedman, la scuola di Chicago e i suoi successori, ad esempio Lucas. La lista degli argomenti trattati è comunque molto lunga, dalle teorie dell'equilibrio, a quelle dello sviluppo sino ai post keynesiani e molto altro. Il libro pertanto copre una parte di storia economica generalmente non tratta nei libri di storia economica. E' un testo molto approfondito e molto dettagliato, pieno di riferimenti interessanti. È scritto in maniera chiara, le parti matematiche sono rinviate ad appendici, comunque per essere compreso occorre una preparazione economica universitaria di base, o in alternativa aver letto il mio libro; infatti il mio oltre a spiegare i classici esamina anche alcuni dei più importanti moderni economisti del dopoguerra in maniera meno sintetica e più didattica. Un libro molto dettagliato, quindi, e per esperti, per quanto mi riguarda avrei preferito che approfondisse alcuni argomenti e idee con alcune scelte piuttosto che essere quasi onnicomprensivo. In ogni caso l'autore pur citando le teorie cosiddette mainstream le critica evidenziandone i limiti teorici e pratici.

venerdì 20 agosto 2021

La fuga dal Afghanistan

 In questi giorni, su tutti i media, stiamo assistendo alla ritirata precipitosa dal Afghanistan. Molti hanno titolato: la sconfitta dell Occidente, certo non è un spettacolo bello. In effetti se consideriamo vent'anni di occupazione si tratta di un fallimento completo. La frase "esportare la democrazia" dovrebbe sparire dal lessico, infatti la democrazia può essere al massimo importata e non esportata, con ciò voglio dire che è un processo che pur prendendo spunto dall'esterno parte da dentro una nazione, importarla dall'esterno non tenendo conto della storia, tradizioni, situazione economica e sociale del paese non ha senso e, soprattutto,  non funziona. La storia delle attuali democrazie è una storia lunga e tortuosa, con possibili cadute come è successo in Europa nel primo dopoguerra e come vediamo succedere ad esempio in Turchia e in Ungheria. Come ha scritto qui Rodrik per avere un democrazia veramente liberale ci vogliono delle condizioni precise e difficili da attuare, per cui pensare di impiantare una democrazia non e una impresa facile, anzi direi impossibile, tanto più poi se tali operazioni sono condotte male, mal preparate poiché le vere intenzioni sono altre, quasi sempre economiche. E un peccato che noi italiani ci siamo prestati, con grandi costi economici e di vite, a queste sciagurate operazioni, in particolare in Iraq dove ben ha fatto la Germania a tenerse fuori. Come scritto nel libro Shadow Élite, le vere motivazioni, ad esempio in Iraq, sono ben altre e poco hanno a che fare con i nobili ideali della democrazia. Personalmente non mi sorprende l'epilogo in  Afghanistan, semmai noto un poco di ipocrisia  perché stragi di innocenti, donne e civili avvengono in molti luoghi  passando nel silenzio e dimenticati da tutti, l'Afghanistan ci colpisce solo perché siamo stati e siamo ancora lì. Non possiamo salvare il mondo, ma noi occidentali, che governiamo ancora il mondo (con una Cina che geopoliticamente guadagna spazio) e che abbiamo sfruttato per secoli popoli e nazioni potremmo fare di più, anche perché banalmente ci conviene se non vogliamo che i problemi ci ricadano addosso come emigrazioni incontrollate o terrorismo. Ma non mi stanco di ripetere abbiamo  bisogno di vere élite preparate e lungimiranti non condizionate dai potentati economici o dai sondaggi elettorali.

lunedì 7 giugno 2021

Stephanie Kelton - The Deficit Myth

  I miti che con questo libro l'autrice, economista che insegna alla Università del Missouri,  vuole confutare sono tutti elencati nella introduzione. Il primo mito è che la gestione del budget del governo sia simile a quella di un cittadino. Il secondo è che il deficit sia sintomo di eccesso di spesa. Il terzo mito è che il deficit sia un peso per le future generazioni. Il quarto mito è che il deficit spiazza gli investimenti privati e mina la crescita di lungo termine. Il quinto mito è che il deficit rende gli Stati Uniti dipendenti dagli stranieri. Infine, il sesto mito è che i diritti (spese del welfare) ci stiano portando verso una crisi fiscale di lungo termine.
Relativamente al primo mito, cioè che il budget del governo sia simile a quello dei cittadino, per prima cosa bisogna evidenziare che la sostanziale differenza sta nel fatto che la Federal Riserve ha la piena autorità di emettere dollari. E' poi da respingere la idea che siano le tasse che creino la domanda per moneta del governo (differenza tra chi emette moneta e chi la usa). Le tasse, in realtà, sono un mezzo per cui il governo altera la distribuzione della ricchezza e dei redditi. Prima che qualcuno paghi le tasse qualcuno deve lavorare per guadagnarsi la moneta, non è quindi vero che tassazione e prestiti (emissione di bond) precedano la spesa.
Va evidenziato che la teoria monetaria (MMT-Modern Monetary Theory) che l'autrice difende non è un pasto gratis, e neanche asserisce che non vi siano limiti, piuttosto lo scopo è dare la priorità alle esigenze umane riconoscendo, allo stesso tempo, i veri limiti della economia e delle risorse.
Il deficit non è evidenza di eccessiva spesa, una spesa eccessiva si manifesta solamente quando si accende l'inflazione. Il budget è solo un mezzo per aggiungere o sottrarre denaro a tutti noi, in realtà il deficit aggiunge più denaro di quanto ne sottragga, è semmai un surplus fiscale che sottrae più denaro di quanto ne dia, piuttosto è la disoccupazione sintomo di un deficit troppo piccolo.
L'autrice poi critica il concetto di tasso naturale di disoccupazione (NAIRU), di fatto non è qualcosa che la FED possa calcolare od osservare, e le stime sul NAIRU si sino dimostrate spesso sbagliate. C'è una fede nella idea che ci sia qualcosa come un inesplicabile limite alla potenziale occupazione che causa il fatto che la FED sottostima regolarmente di quanto potrebbe cadere il tasso di occupazione. Il doppio mandato della FED (massima occupazione e stabilità dei prezzi) si basa sulla erronea credenza che ci sia un trade-off tra troppa disoccupazione e troppo poca.
Si ha evidenza di spesa insufficiente ogni qual volta vi è  capacità non utilizzata.
Le idee di Abba Lerner (Functional Finance), da cui origina la MMT, sono che, con sufficiente domanda aggregata, i policy makers possano mantenere la prosperità mantenendo l'economia al pieno potenziale tramite l'applicazione permanente della politica fiscale. Tasse e spesa possono essere manipolate per tenere l'economia in equilibrio. Per la MMT ciò non è però sufficiente, bisogna piuttosto garantire una garanzia federale sul lavoro che promuove la piena occupazione e la stabilità dei prezzi.
In una economia profondamente depressa vi è un grande spazio fiscale perché le imprese operano con molta capacità di riserva e ci sono molti lavoratori disponibili per essere assunti. Solo quando siamo vicini alla piena occupazione le risorse reali iniziano a diventare scarse.
Il governo non vende i titoli (bond) perché ha realmente bisogno di soldi ma per controllare il tasso di interesse. Non esiste una quantità di denaro prefissata, il limite è la capacità di assorbire quantità addizionali di moneta senza spingere in alto la inflazione.
Secondo l' economista Blanchard il debito è sostenibile se il tasso di crescita dell'economia (g) è maggiore del tasso di interesse pagato sui titoli (r), mentre la MMT da più importanza alla inflazione rispetto alla relazione tra r e g.
Le serie storiche sull'andamento dell'economia mostrano che si cerca di ridurre il debito la economia cade in depressione. Le tasse non sono importanti perché aiutano il governo a pagare i conti, sono piuttosto importanti per prevenire che le spese creino inflazione. La vendita di bond non è importante per finanziare il deficit fiscale, ma perché riduce l'eccesso di riserve che permette alla FED di agire sul tasso di interesse. Di fatto per ogni deficit che si crea si crea un surplus in qualche altra parte dell'economia. Il deficit fiscale non significa un inevitabile aumento dei tassi di interesse, i tassi di interesse sono una scelta politica e non imposti dai prestatori di fondi. Inoltre, regolare il flusso di capitali internazionali è una misura permanente che aiuta le nazioni a raggiungere un elevato livello di sovranità monetaria.
La MMT non pretende che il potere di emettere moneta dia il potere di fare qualsiasi cosa. Dobbiamo prepararci investendo oggi in quelle cose che ci rendono più produttivi per raggiungere i nostri obiettivi senza generare inflazione
I veri deficit che contano sono altri: il deficit di buoni lavori, di risparmi, di sanità, di educazione, di infrastrutture, del clima, e di democrazia.
Il mito del deficit ha impedito che il Congresso degli Stati Uniti usasse il suo potere per aggiustare i deficit reali della nostra economia.
Per MMT la sfida critica è gestire la inflazione. Il suo scopo è fornire una migliore visione di insieme, che aiuti a vedere un insieme di politiche che possano rendere l'economia più sana. Il più potente stabilizzatore automatico che si può introdurre è la garanzia federale sul lavoro, tramite emissione di moneta il governo ha il potere di eliminare la disoccupazione, semplicemente offrendo di assumere disoccupati. L'assicurazione contro la disoccupazione rimpiazza solo una parte dei redditi persi anche perché non tutti i lavori sono coperti da tale assicurazione. Il vantaggio maggiore della garanzia federale sul lavoro è di stabilizzare la disoccupazione durante il ciclo di business. Comunque il governo federale non è in grado di identificare al meglio le necessità più pressanti delle comunità per questo le agenzie governative devono lavorare con partners delle comunità.
Esistono però dei limiti, ogni economia ha una sua velocità limite, ogni qual volta l'economia raggiunge la piena occupazione ogni spesa aggiuntiva porta al rischio di inflazione. Sono le capacità tecniche e le risorse materiali le uniche cose che possono limitare le nostre possibilità.
Nel complesso è un libro interessante, quello che dice non è nuovo ma per chi  ha studiato Keynes e i suoi successori sono concetti noti, anche se per molti alcuni concetti possono sembrare paradossali mi trovo sostanzialmente d'accordo con molte delle affermazioni dell'autrice circa il funzionamento di una moderna economia monetaria. D'altra parte come afferma la stessa autrice alla fine del libro: “la MMT non ha un pacchetto di politiche per affrontare tutti i problemi. È soprattutto una descrizione di come funziona una moderna moneta fiat (1) “. Quindi se accettiamo questo limite, il libro, che è molto chiaro in molte parti, rappresenta un buon ausilio per capire che molte cose che ci vengono propagandate sul funzionamento dell'economia sono, spesso, non del tutto vere. 
Ho qualche perplessità su alcuni punti, come pure sulla garanzia federale sul lavoro, giusta in teoria ma non riesco ben a vedere la applicazione pratica nella realtà. Rimango convinto che comunque quello che conta di più sia l'economia reale e quindi la prosperità di una nazione è cosa più complessa. La moneta, come diceva Friedmann, sicuramente conta, cosi come è importante la sovranità monetaria, ma come sappiamo contano anche molte altre cose per  creare e mantenere la crescita economica, e non solo economica, di una nazione.

1.Moneta fiat o legale, per chi non lo sapesse, significa una valuta nazionale non ancorata al prezzo di una materia prima, come l'oro ad esempio, vale quindi solo per fiducia nella autorità che la emette. Di fatto tutte le monete degli Stati moderni sono di questo tipo.


mercoledì 2 giugno 2021

Jhon Rawls -Liberalismo Politico

Alcune premesse prima di parlare di questo libro. John Rawls è un filosofo politico molto famoso per il suo libro Teoria della Giustizia, che è uno dei saggi politici più famosi del dopoguerra, ed era dunque difficile non parlarne in questo blog.

Ho scelto di recensire Liberalismo Politico perché successivo a Teoria della Giustizia (Teoria) e quindi contiene alcune modifiche anche in risposta alle critiche ricevute. In particolare, mentre Teoria si presenta come una unica dottrina (comprensiva) il Liberalismo Politico assume una pluralità di dottrine (ragionevoli).
La domanda che si pone l'autore è fondamentalmente: come è possibile che esista e duri nel tempo una società stabile e giusta di cittadini liberi e uguali profondamente divisi da dottrine religiose, politiche, morali.
Il concetto fondamentale è quello di ottenere un consenso per intersezione, infatti le teorie di Rawls, come egli stesso afferma, sono un tentativo di portare a un livello più alto le dottrine del contratto sociale.
Il punto di partenza sono i due principi di giustizia che sono:
a) Ogni persona ha uguale titolo a un sistema pienamente adeguato di uguali diritti e libertà fondamentali; l'attribuzione di questo sistema a una persona è compatibile con la sua attribuzione a tutti, ed esso deve garantire l'equo valore delle uguali libertà e solo di queste.
b) Le diseguaglianze sociali ed economiche devono soddisfare due condizioni; primo, esser associate a posizioni e cariche aperte a tutti in condizioni di equa uguaglianza delle opportunità; secondo, dare il massimo beneficio ai membri meno avvantaggiati della società.
Questi due principi, di cui il primo è prioritario, sono quelli che le regolano le istituzioni (di base).
I due principi devono assicurare la garanzia dell'equo valore delle libertà politiche che non sono puramente formali e l'equa uguaglianza (non puramente formale) delle opportunità. Inoltre, secondo il principio di differenza, che le diseguaglianze sociali ed economiche associate a cariche e posizioni devono essere regolate in modo che, quale sia il loro livello, esse vadano a beneficio dei membri meno avvantaggiati della società.
Lo scopo della giustizia come equità è pratico, cioè una concezione che può essere condivisa dai cittadini come base di un accordo politico ragionato, informato e volontario, indipendente da dottrine filosofiche e religiose, attraverso il consenso per intersezione.
La cooperazione è in equi termini, ovvero tale che ogni partecipante possa accettare a patto che tutti gli altri accettino (Reciprocità).
L'accordo si basa sul fatto che i cittadini sono liberi e uguali, e questi quindi hanno due poteri morali: capacità di avere giustizia, concepire il bene e comunque i poteri della ragione.
Per raggiungere una accordo tra i cittadini le condizioni devono essere appropriate (posizione equa), per ottenere questo Rawls introduce due artifici: la posizione originaria e il velo di ignoranza (vedi Teoria) .
Questo accordo da luogo a una società ben ordinata dove ognuno accetta gli stessi principi di giustizia.
Quello che l'autore vuole realizzare è un “costruttivismo politico” in opposizione al costruttivismo morale di Kant.
La sua non è una dottrina comprensiva, i principi di giustizia politica si ottengono come procedura di costruzione basata sulla ragione pratica e fa a meno del concetto di verità.
La società politica si basa sulla ragione pubblica, cioè la ragione dei cittadini, soggetta al bene pubblico; la ragione pubblica non si riferisce a tutte le questioni politiche ma agli elementi costituzionali essenziali e problemi di giustizia fondamentali. I cittadini affermano quindi l'ideale di ragione pubblica non per un compromesso politico ma all'interno delle proprie dottrine ragionevoli. Delinea, poi, quello che definisce struttura di base, cioè il modo in cui le principali istituzioni sociali si combinano formando un sistema unico che assegna i diritti e doveri fondamentali.
Il ruolo della struttura di base consiste nel garantire che le azioni di individui e associazioni abbiano luogo in condizioni di fondo giuste.
Le libertà fondamentali (di pensiero, di coscienza, politiche, di associazione ecc.) formano una famiglia ed è questa famiglia ad avere priorità non una qualsiasi libertà singola, cioè le libertà fondamentali si limitano l'un l'altra (autolimitanti).
Infine, definisce quelli che sono i beni primari cioè le cose necessarie per consentire alle persone di perseguire la propria concezione determinata del bene e di sviluppare i due poteri morali.
In sintesi è un libro molto complesso e molto filosofico di cui tentare una sintesi è praticamente impossibile. Per me, abituato a leggere di contenuti più pragmatici e meno filosofici, riesce difficile dare un giudizio sulla importanza e validità delle idee di Rawls e della loro applicabilità nella realtà politica e sociale.

sabato 22 maggio 2021

Isaiah Berlin- I due concetti di libertà

 

Questo breve saggio scaturisce da una lezione inaugurale, nel 1958, della cattedra di teoria politica a Oxford.
Le due libertà sono i due concetti di libertà che vengono definiti come libertà negativa e positiva.
La prima su cui si concentra inizialmente l'autore è la libertà negativa, cioè un individuo è libero quando nessuno interferisce con la sua attività, o anche quando la persona può agire senza essere ostacolata. Viene quindi anche definita come libertà “da”. Questo concetto è stato soggetto a lunga  discussione, avvenuta nei secoli tra gli studiosi, su quanto deve essere ampia l'area di non interferenza, visto che la non interferenza assoluta non può esistere in una società. In pratica la discussione si è quindi incentrata sul confine tra  l'area privata e l'autorità pubblica a cui gli autori hanno dato risposte diverse. In questo senso la difesa della libertà assume il carattere “negativo” di respingere la interferenza, dove non interferenza va intesa come opposto di coercizione. In ogni caso l'autore afferma che la libertà non è connessa alla democrazia ovvero non vi è connessione tra libertà individuale e principio democratico.
La seconda parte del saggio si concentra sulla libertà positiva (libertà "di"), in cui l'individuo è padrone di se stesso, cioè esista la volontà di essere soggetto, in altre parole sono padrone di me stesso e schiavo di nessuno. L'autore evidenzia come il razionalismo filosofico (Kant) ha espresso il concetto di libertà come autocontrollo, e il passaggio da libertà priva di leggi a libertà in conformità alle leggi, che nel caso ideale porta a far coincidere libertà con la legge e autonomia con autorità.
L'autore evidenzia come la pericolosa evoluzione di queste idee può portare da un individualismo severo (Kant) alla degenerazione di dottrine totalitarie.
Per l'autore è importante sottolineare che bisogna invece costruire una società in cui esistono confini alla libertà che a nessuno è consentito varcare, nessun potere può essere considerato assoluto.
Nelle conclusione Berlin avverte che la idea sperare di trovare un unica formula in cui si possano realizzare armoniosamente tutti i diversi fini degli uomini è dimostrabilmente falso. 
Il pluralismo con la quantità di libertà negativa che esso comporta lo considera un ideale più vero, in quanto riconosce che gli obiettivi umani sono molteplici e non tutti commensurabili.

lunedì 5 aprile 2021

Cosa ha veramente detto Keynes

 

Oggi parleremo dell'economista più famoso e citato del XX secolo ovvero John Maynard Keynes e del suo libro più famoso: La teoria generale dell'occupazione, moneta e interesse; questo libro è uno dei più citati ma forse meno letti, infatti, a dispetto della sua fama, è un libro difficile e come disse Samuelson: «E’ un libro scritto male, non bene organizzato», ma aggiunge «Quando alla fine si riesce a comprenderlo appieno […] è un opera di un genio».
Il suo libro e il suo contenuto vengono considerati rivoluzionari perché in molti aspetti si discosta dalla teoria dominante, quella Neoclassica, in cui Keynes era stato allevato avendo avuto come maestro Marshall, arrivando a mettere in discussione alcuni dei fondamenti della disciplina economica.
In particolare nel libro (Teoria Generale) afferma: «I postulati della teoria classica sono applicabili soltanto ad un caso particolare e non al caso generale, essendo la situazione che essa presuppone, solo un caso limite di tutte le posizioni possibili di equilibrio»1. Quindi, più che criticare la coerenza logica della teoria classica, Keynes evidenzia che questa si applica solo a un caso limite in cui può trovarsi l’economia reale.
La sua critica si rivolge alla cosiddetta legge di Say, la quale in sostanza afferma che la produzione, generando redditi, crea la domanda in grado di assorbire la produzione stessa, cioè alla fine del ciclo sia ha: Produzione=Spesa.
In realtà Keynes non rigetta completamente questa affermazione ma una sua derivazione, ovvero che la produzione è quella massima che garantisce la piena occupazione. Questo corollario deriva dal fatto di considerare il mercato del lavoro completamente flessibile per cui, eventuali diminuzioni transitorie di produzione e aumento di disoccupazione, costringono i lavoratori ad abbassare i salari, questo spinge gli imprenditori ad aumentare nuovamente la produzione e la occupazione (questa teoria era stata espressa da Pigou altro maestro di Keynes), per Keynes invece i salari nominali sarebbero nel breve periodo abbastanza rigidi.
Per Keynes è invece fondamentale la domanda, e qui entra in gioco un aspetto non preso in considerazione dai neoclassici cioè le aspettative; gli imprenditori generano produzione e occupazione in base alle prospettive di vendita e guadagno, se le prospettive non sono favorevoli tenderanno a rimandare gli investimenti e a non aumentare o anche diminuire la produzione, indipendentemente da eventuali diminuzioni dei salari che, secondo Keynes, non farebbero che peggiorare la domanda. Infatti, la domanda di beni è composta da domanda di beni di consumo (C) e di beni di investimento (I), cioè C+I, dove i consumi sono determinati dai redditi dei consumatori mentre gli investimenti dalle scelte degli imprenditori, la domanda che effettivamente si manifesta in un certo momento (domanda effettiva) potrebbe, in alcuni momenti come le recessioni, non essere in grado di garantire un produzione che genera la massima occupazione. La figura seguente dimostra graficamente la situazione.










Per questo le indicazioni di Keynes per uscire dalle crisi sono di non limitarsi ad abbassare il tasso di interesse per stimolare gli investimenti. Infatti, questa operazione funziona solo fino ad un certo punto, per uscire da una recessione bisogna aumentare la domanda utilizzando la leva della spesa pubblica (G)2 oltre che a una diminuzione delle tasse, che aumentando i redditi tende ad aumentare i consumi, ma anche in questo caso c'è un limite cosiddetto della trappola della liquidità, in cui i soggetti preferiscono tesaurizzare moneta piuttosto che spenderla (moneta vista come riserva di valore).
Per la visione dei neoclassici l'interesse era in grado di portare sempre in equilibrio la offerta di risparmio con la domanda di investimenti, mentre per Keynes: «Il tasso di interesse non è il prezzo che porta in equilibrio la domanda di mezzi da investire con la disposizione ad astenersi dal consumo presente. E’ il prezzo che equilibra il desiderio di tenere la ricchezza in forma liquida con la quantità di denaro disponibile; Il tasso di interesse non può essere una ricompensa per il risparmio [...] al contrario è la ricompensa per l’abbandono della liquidità »3. Questo aspetto denota la importanza che Keynes riservava alla moneta e al fatto che il tasso di interesse si crea nel mercato della moneta, determinato dalla intersezione tra domanda di moneta (denaro che i privati vogliono detenere) e la offerta di moneta.
Ovviamente nella Teoria Generale c'è molto più di quello che ho sinteticamente qui espresso. Troviamo moltissimi concetti nuovi e innovativi, dal concetto di moltiplicatore degli investimenti o spesa su cui c'è ancora molto dibattito tra gli economisti, il concetto di efficienza marginale del capitale, della propensione marginale al consumo e molto altro, oltre a moltissime considerazioni interessanti. E' quindi un libro ricco ma difficile, che va letto più volte per essere pienamente apprezzato.
Le teorie di Keynes furono successivamente rielaborate in forma analitica da J. Hicks, che per questo ricevette il premio Nobel per l’economia. Hicks riuscì quindi a sintetizzare in poche equazioni, la teoria di Keynes, arrivando al famoso modello IS-LM che è compreso in tutti i corsi di Macroeconomia, e a cui più avanti abbiamo dedicato un post specifico.
C’è da dire, comunque, che tale modello se da un lato rappresenta un ottimo strumento sintetico di analisi, d'altra parte ha ricevuto molte critiche e secondo alcuni ha condotto ad un keynesismo riduttivo (definito da qualcuno “idraulico”) che non riflette completamente la complessità del pensiero di Keynes, escludendo alcuni aspetti come le aspettative e la incertezza, tant'è che Minsky, uno degli economisti che più ha studiato il pensiero di Keynes, ha affermato: «Keynes senza incertezza è l’Amleto senza il Principe»4
Potete trovare una descrizione più dettagliata e completa delle idee di Keynes nel paragrafo dedicato a lui del mio libro: Le idee dell'economia.


Di seguito riporto alcuni riferimenti bibliografici utili, alcuni recensiti su questo blog.


J.M.Keynes-Teoria dell' occupazione, interesse e moneta-Torino, UTET, 1947.
H.P.Minsky-Keynes e l'instabilità del capitalismo-Torino, Bollati Boringhieri-1981
A.H.Hansen-Guida allo studio di Keynes-Napoli,Giannini Editore,1964.
F.Saraceno-La scienza inutile-Milano,Luiss University Pres, 2018.
G. La Malfa-John Maynard Keynes-Milano, Feltrinelli, 2015.


Note:
1 J.M. Keynes, Teoria generale, cap. 1.
2La domanda effettiva diventa infatti C+I+G.
3 J.M. Keynes, Teoria generale, cap. 13.
4 H.P. Minsky, Keynes e l'instabilità del capitalismo, pg.78.

lunedì 8 marzo 2021

Joseph Stiglitz - Popolo, Potere e Profitti - Un capitalismo progressista in un epoca di malcontento

 Questo è l'ultimo libro di Stiglitz, di cui abbiamo recensito altri libri e pubblicazioni. I temi non sono completamente nuovi ma riguardano quelli precedentemente trattati negli altri suoi (di Stiglitz) libri. In particolare l'autore stigmatizza la crescita della diseguaglianza nell'ultimo periodo, dove a guadagnare nei paesi occidentali è stata solo la parte apicale dei percettori di reddito mentre i redditi medio bassi sono rimasti stagnanti. 

Un altro aspetto rilevante è il potere di mercato delle grandi corporation e compagnie finanziarie. Il potere di mercato c'è sempre stato, con tentativi di porgli limiti grazie alle regolamentazioni e leggi antitrust ma, nell'ultimo periodo, sta mutando con crescita di potere di monopolio sia dovuto alla globalizzazione e sia per il ruolo  delle grandi imprese digitali (Facebook, Google, Amazon, ecc.), che richiederebbe l'aggiornamento delle regole anti trust.

Un capitolo è dedicato alla globalizzazione e alle sfide che essa pone. La globalizzazione non avvantaggia tutti, come è ormai palese, ma le ricette per bilanciarne gli effetti non sono quelli delle lotte commerciali e le barriere doganali (protezionismo)  iniziate dall'amministrazione Trump.

Altro capitolo è dedicato alle disfunzioni del sistema finanziario che hanno causato tanti danni alla economia con la grande recessione, e le cui riforme sono state al momento molto blande vista la grande influenza che le istituzioni finanziarie hanno sul potere politico.

Ulteriore aspetto trattato è la sfida delle nuove tecnologie, queste hanno sempre comportato dei cambiamenti notevoli sul lavoro e quelle della intelligenza artificiale sicuramente possono avere impatti devastanti se non ben gestite, parallelamente vanno regolamentati l'uso e la detenzione dei dati che possono alterare non solo il mercato ma anche le regole della  democrazia, come si è visto recentemente.

Nell'ultima parte delinea un insieme di ricette per riformare l'economia e risanare la democrazia, con un ruolo importante rivestito dal governo; questa parte del libro è totalmente dedicata agli Stati Uniti con molte critiche sulla attuale situazione economica e sociale e, soprattutto, critiche alle ricette della amministrazione Trump.

Un libro interessante ma, per chi ha letto i suoi precedenti libri, non contiene particolari novità, lo consiglio pertanto  solo a chi non ha letto i suoi precedenti scritti.


venerdì 19 febbraio 2021

Analisi discorso Draghi al Senato

Nel suo discorso al Senato  Draghi afferma che non esiste un aggettivo che definisca il suo governo, aggiungendo poi che esso è animato da" spirito repubblicano" ovvero di responsabilità, un governo comunque politico come ho spiegato nel precedente post, a dispetto di quanto sostenuto da Mattarella, in quanto dovrà affrontare, come dice Draghi, scelte "coraggiose" e le scelte sono sempre politiche. Non sorprende la sua difesa dell'euro, "irreversibile", che è un suo marchio di fabbrica, anche se la Unione Europea non funziona così bene (infatti lui l'ha dovuta salvare).
Sono invece molto d'accordo quando afferma che dovremmo essere "più generosi e giusti" nei confronti del nostro paese, che tendiamo a criticare oltre misura
Ovviamente c'è poco da dire sulla necessità d'intervento sanitario e sulla necessità di "rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale". 
Giusta anche la enfasi sulla scuola con la necessità di "coniugare le conoscenze scientifiche e quelle umanistiche", come pure il cenno al potenziamento degli Istituti Tecnici Superiori, creati ma lasciati a se stessi.
Importante il focus sull'ambiente "conciliando progresso e benessere sociale", da capire se si farà veramente o continueremo col "business as usual" e ambientalismo di facciata con meccanismi di green wash e basta.
Inevitabile il suo interesse per politiche attive del lavoro, ciò  significherà mettere mano al reddito di cittadinanza, che è stata una misura giusta in teoria ma confusa nella pratica.
Importante è l'accenno al ruolo dello Stato, alla necessità di "investire sulla preparazione tecnica, legale ed economica dei funzionari"  per progettare e gestire gli investimenti, con lo Stato che deve "utilizzare le leve per ricerca e sviluppo, istruzione e formazione, regolamentazione, incentivazione e tassazione".
Da evidenziare la enfasi sulle riforme: tassazione, piattaforme efficienti, aggiornamento continuo anche tramite assunzioni, la giustizia.
Un discorso breve, condivisibile in larga parte, anche se dobbiamo vedere la parte applicativa. 
Le ricette di Draghi sono in buona sostanza quelle indicate nel mio libro, questo non perché io sia particolarmente bravo ma solo perché sono le indicazioni che emergono dagli studi degli ultimi 30  anni sulle condizioni che favoriscono il progresso delle nazioni. Manca un cenno su un aspetto importante: il miglioramento delle istituzioni, che ovviamente risulta difficile attuare con una coalizione così eterogenea e con ricette così diverse sul tema, ma sarebbe una ennesima occasione perduta, perché come ho già affermato abbiamo bisogno di migliorare anche le nostre istituzioni con riforme che siano condivise e non, come si è fatto ultimamente, con riforme di parte.