giovedì 27 novembre 2014

Commento alle elezioni regionali

Per quanto riguarda le elezioni regionali un elevato livello di astensione era prevedibile, certo i numeri dell’astensionismo in Emilia sono impressionanti. D’altra parte perché gli elettori dovrebbero essere spinti a votare data la situazione politica veramente deludente? Chi ha votato Grillo, soprattutto alle politiche, non può non essere scontento, le speranze, a mio parere un po’ malriposte, nelle capacità del Movimento 5 stelle di rappresentare un vero cambiamento sono andate deluse, Grillo si è mostrato inizialmente molto bravo a raccogliere voti ma pessimo nel gestirli. Forte di un 25% di consensi doveva fare diversamente, gli Italiani che lo hanno votato speravano in un profondo cambiamento ma il suo atteggiamento assolutamente poco costruttivo, la politica è arte del compromesso, ha ottenuto solo qua e là qualche risultato. Non sorprende neanche   il successo di Salvini dove si sono riversati i voti degli scontenti di  Grillo, di Forza Italia e anche del PD. Salvini è stato bravo nell’intercettare i voti degli  scontenti, sul suo programma politico non mi soffermo non merita molti commenti. Chi perde, anche se non vuol ammetterlo è Renzi. Il suo governo dopo grandi proclami e parole è molto deludente. Le sue riforme istituzionali non mi piacciono,  il mio punto di vista è che  si doveva impostarle con una Camera e Senato entrambi  elettivi con due leggi elettorali separate, comunque in linea di quanto indicato dalla Corte Costituzionale, una più maggioritaria alla Camera e una più proporzionale al Senato, con una forte riduzione degli eletti. Le due camere dovrebbero avere compiti nettamente separati, con il parlamento unico  deputato alla fiducia all'esecutivo, di proposte in questo senso ( vedi post di Zagrebelsky)  se ne possono trovare in giro molte. Credo che con una piattaforma del genere, cercando i contributi di tutti, si poteva arrivare ad una riforma largamente condivisa  senza bisogno di fare accordi del Nazareno. Sul lavoro, ripeto come già ampiamente detto ( vedi post su art.18), non  ha nessuna valenza  continuare a ridurre i diritti se questo non  porta nuova occupazione. Peraltro  ci vorrebbe  una profonda revisione degli incentivi alle imprese, di cui una buon parte sprecati, per concentrarsi su misure che spingano   maggiormente gli investimenti, in particolare in ricerca, e interventi che favoriscano chi assume  realmente. Ci vorrebbe anche una serie riforma della giustizia civile con una partecipazione in questo della Magistratura, di cui non condivido certi arroccamenti, ma che comunque merita rispetto avendo tanto  dato in termini di uomini  allo Stato e alla sua difesa. Ancora non vedo un vero piano di riforma della macchina burocratica, elefantiaca  e arretrata, dove ci vorrebbe l’inserimento, inoltre, di forze nuove e giovanili per rinnovarla. E importantissima sarebbe  una revisione delle modalità di spesa pubblica ancora distribuita in troppi  ed inutili rivoli, con  spreco di risorse utilizzabili per rilanciare l’economia e con  ruberie a tutti i livelli. Per ultimo la politica europea, anche qui a parole Renzi è sembrato un leone, in pratica la legge di  stabilità rispetta il limite del 3%, che tra parentesi non ha alcuna valenza si carattere scientifico, e la sua è una manovra quindi fintamente espansiva; anche qui poteva giocare un ruolo più importante, visto che si vanta del 41% ottenuto alle europee, non mi pare infatti che abbia fatto molto per fare da catalizzatore con gli altri premier per tentare di ribilanciare, in senso espansivo, le politiche europee. In conclusione, per quanto gli Italiani siano un popolo che tendenzialmente si fa infinocchiare da imbonitori di vario tipo, ciò nonostante credo che ci sia, all’interno del paese, una maggioranza di persone ragionevoli che si rende conto che la situazione è grave e quindi ci sia bisogno di un profondo rinnovamento, anche se bisogna rendersi conto che per molti significherà fare un passo indietro anche perché di rendite di posizione a vario titolo, da quelle grandi a quelle piccole, in Italia ce ne sono ormai troppe. Il problema è che al momento non vedo leadership adeguate  in giro in grado di farsi carico del problema.

mercoledì 19 novembre 2014

A proposito di crescita

Oggi parliamo di crescita, in realtà sarebbe meglio parlare di sviluppo, che è un termine più generale, mentre per crescita si intende principalmente l’aspetto quantitativo, ma è sicuramente più semplice da trattare  e quindi parleremo di crescita del PIL. L’analisi che segue non è una vera analisi economica seria, è una specie di provocazione, un ragionamento per assurdo e al limite, molto rozzo e semplificato, che vuol essere solo di stimolo per intuire alcune tendenze data  la complessità e interdipendenza tra vari aspetti in un sistema economico. Si tratta di ragionamenti al limite ovviamente molto teorici e non realistici ma, visto che i ragionamenti al limite si usano in matematica, spero  che possa servire per capire appunto  certi rischi  di fondo. 
Partiamo dalle definizioni, il prodotto lordo è fatto di tre cose fondamentali: consumi privati, investimenti privati e spesa pubblica. Trascuriamo al momento il saldo netto tra esportazioni ed importazioni, per semplicità di ragionamento ma alla fine ci tornerò, volendo potremmo ritenere le seguenti considerazioni valide per l’intera economia, dove appunto, il saldo export-import è zero visto che non commerciamo con qualche paese extraterrestre. 
Da un punto di vista dei percettori di reddito lo stesso prodotto si divide tra salari, profitti e tasse, avendo infatti considerato salari e profitti al netto delle tasse.  
Per semplicità riportiamo tutto in sintesi: Y=C+I+G e Y=W+P ma anche Yd (reddito disponibile) =W+P-T; 
dove Y è il prodotto lordo, C sono i consumi, I gli investimenti e G, la spesa pubblica, nella prima relazione mentre nella seconda abbiamo P sono i profitti, W (W sta per wages) i salari e T le tasse. Adesso immaginiamo di essere in un periodo normale dove il prodotto cresce, al momento non ci chiediamo perché, quindi diciamo che da un periodo al successivo abbiamo una crescita del prodotto, che indichiamo come ∆Y (incremento di prodotto). Adesso facciamo la prima ipotesi, ovviamente esagerata e al limite, supponiamo che i percettori di profitti, per semplicità li chiamiamo "capitalisti", siano molto forti e, quindi, siano in grado di appropriarsi dell’incremento di prodotto e quindi ∆Y→∆P,  ipotizziamo pure che scelgano, ipotesi comunque non proprio campata in aria, di dedicare  questo extra profitto in investimenti piuttosto che in consumi, cioè   ∆P→∆I.
Un incremento di investimenti, ad es, acquisto/sostituzioni di macchinari,  in genere aumenta il prodotto e la produttività, quindi ci aspettiamo un ulteriore incremento di prodotto. Supponiamo che questo ulteriore incremento di prodotto produca lo stesso ciclo di prima, incremento di profitti e quindi incremento investimenti. A lungo andare questo sistema non funziona perché non avremmo un incremento di consumi che assorba l’incremento di prodotto e senza contare che avremmo anche problemi di uno Stato che non può permettersi, ad esempio, di aumentare le infrastrutture/servizi pubblici. Dunque questa serie di ipotesi, ovviamente assolutamente irrealistiche, ci dice che un modello capitalista o "offertista" puro non funzionerebbe. Anche se a livello di singolo capitalista potrebbe convenire non converrebbe a livello di società intera. 
Viceversa immaginiamo un modello statalista puro, dove lo Stato si appropriasse  di tutto l’incremento di prodotto, quindi  ∆Y →∆T, e questo vada ad alimentare la spesa pubblica ∆T →∆G. Anche in questo caso, se proseguiamo con altri cicli simili, il risultato è che avremmo, sicuramente, magari più infrastrutture pubbliche ma senza investimenti privati, a lungo andare, non avremo molti incrementi di prodotto (i modelli di completa statalizzazione della produzione non mi pare che alla lunga abbiano funzionato) e quindi anche in questo caso un modello statalista puro, per quanto vogliate essere dei politici/burocrati bravi, alla fine non funziona. 
Infine, in teoria, ci sarebbe il caso, ancora meno realistico, in cui i lavoratori e sindacati siano talmente forti che tutto l’extra prodotto   finisca ai lavoratori, in questo caso si avrebbe sostanzialmente un incremento dei salari che si traduce in incremento di consumi,  ∆Y →∆W e ∆W →∆C, anche qui alla lunga non avremo né incremento di prodotto né incremento di infrastrutture/servizi pubblici. Insomma, anche se l’analisi è molto rozza, irrealistica e semplicistica, la realtà infatti e molto più complicata, non abbiamo citato, ad esempio, né il ruolo della moneta né del sistema finanziario, spero  che, almeno in parte,  vi abbia convinto che, siate voi capitalisti,  lavoratori o burocrati, forse come cittadini dovreste avere  convenienza che  il prodotto cresca, e che cresca in maniera più o meno equilibrata nelle tre componenti. Ovviamente è difficile stabilire quale sia il mix perfetto in termini quantitativi, quello che posso cercare di dire è come, a livello qualitativo,  la teoria economica dice che dovrebbero comportarsi le tre componenti. I "capitalisti" dovrebbero investire soprattutto nella economia reale per migliorare i loro prodotti e processi produttivi, soprattutto attraverso il sapiente uso della tecnologia. Della funzione degli imprenditori e delle innovazioni ne ha parlato molto Schumpeter, con la sua famosa "distruzione creatrice", ma anche Keynes quando parlava dei cosiddetti «animal spirits» del capitalismo. Inoltre tutti i modelli di crescita (Harrod-Domar, Solow, Roemer) evidenziano   l'importanza nella crescita degli investimenti e dello sviluppo tecnologico. Il ruolo dello Stato è ancora più complesso, perché, oltre a garantire certi servizi (ad es. sicurezza, difesa e aggiungo anche sanità e istruzione), dovrebbe garantire gli investimenti in tutte quelle infrastrutture dove abbiamo i cosiddetti limiti dei "fallimenti del mercato", sopratutto nei momenti di crisi e calo degli investimenti privati: " la responsabilità del livello corrente degli investimenti non può, senza pericolo, essere lasciata  in mano dei privati" (Keynes), e ancora spendere in ricerca in modo da generare "esternalità positive" al  sistema paese (vedi Lo Stato innovatore della Mazzuccato), e anche aiutare le fasce più deboli con una redistribuzione del reddito per stimolare anche i consumi (vedi Il prezzo della diseguaglianza di Stiglitz). Inoltre lo Stato dovrebbe anche aver una funzione di regolamentazione del mercato per garantirne il corretto funzionamento, come anche quello del sistema monetario e finanziario. Come cittadini, anche se potrebbe a livello di singolo essere comodo  evadere,  dovreste cercare di pagare le tasse (assumendo che le tasse siano normali) altrimenti se tutti noi non le pagassimo non funzionerebbe lo Stato (T=0); inoltre sarebbe bene che eleggessimo i nostri politici per far fare allo Stato quello che dovrebbe e non magari solo i nostri interessi. Come si  vede la realtà economico e sociale  è molto complessa e farla funzionare bene è impresa difficile che non si può ridurre semplicisticamente alla "mano invisibile" o al  "mercato" o al solo Stato. Inoltre abbiamo parlato di crescita e, ammesso anche che tutto funzioni a perfezione, dovremmo anche porci il problema di  quale tipo di crescita sostenere, tenendo presente che le risorse sono comunque limitate.  Anche l'ambiente e il clima sembrano risentire di un certo tipo di sviluppo, anche se alcuni lo negano, nel dubbio un maggiore impegno a far si che lo sviluppo sia più razionale, meno sprecone di risorse e compatibile con l'equilibrio ecologico del pianeta credo sia un obiettivo da perseguire.  La realtà è estremamente complicata  e avremmo bisogno di cittadini più consapevoli e che siano rappresentati da politici più preparati ad affrontare nel modo migliore la sfida della crescita.

P.S. Per quanto riguarda il saldo import/export è vero che una singola nazione potrebbe sfruttare il saldo positivo per compensare la carenza di domanda. Ma intanto, come detto, questo a livello totale non funziona, secondo se sfrutto la domanda degli altri questo squilibrio può durare, di norma, solo per un certo periodo di tempo, tra l'altro  generando degli squilibri al mio interno su come si redistribuisce il prodotto (ad es. più profitti e meno salari) 

lunedì 10 novembre 2014

Naomi Klein - Shock economy

Naomi Klein, è una nota giornalista USA, che ha raggiunto una fama mondiale con il libro, No Logo, sulle politiche non proprio cristalline, industriali e commerciali, dei grandi brand internazionali. In questo libro si cimenta su temi più squisitamente di carattere economico e sociale. In particolare nel libro ricostruisce una serie di situazioni di shock che provocate/subite sarebbero alla base di politiche di arricchimento di grandi gruppi economici. In primo luogo analizza la storia di alcuni paesi sudamericani (Cile, Bolivia, Argentina)  che, con la salita al potere per lo più di dittatori spalleggiati dagli USA, hanno applicato terapie economiche shock di natura iper-liberista che hanno provocato una forte diseguaglianza e sofferenza  sociale con grossi  guadagni invece  per alcune multinazionali. 
L’autrice si sofferma poi sul ruolo degli Usa e del FMI (Fondo Monetario Internazionale) sul passaggio dal sistema comunista al libero mercato nella Russia di Eltsin con le gravi sofferenze subite dai cittadini. Altri shock economici sono stati inoltre inferti ai paesi del sud est asiatico dalle politiche, sempre iper-liberiste imposte dal FMI, che hanno anche qui generato gravi situazioni sociali  nei paesi che le hanno applicate e che poi se ne sono, in alcuni casi, affrancati. Ulteriore esempio di shock economico sociale è rappresentato dalla guerra in Iraq, dove si è sfruttata l’occasione per permettere lauti guadagni alle aziende americane, con pesanti interessi nelle figure dell’amministrazione Bush, che hanno operato nella difesa e nei servizi (vedi anche Shadow Elite). Infine, l’ultimo esempio negativo evidenziato dall’autrice, è quello dell’uragano Katrina a New Orleans, shock naturale,  dove anche qui si sono privilegiati gli interessi di pochi e di alcune aziende a svantaggio della comunità. 
Per quanto riguarda il giudizio sul libro, pur essendo molto ben documentato e abbia uno piacevole stile giornalistico, ritengo che la lunghezza, oltre 500 pagine, sia eccessiva  e pertanto sia ridondante e ripetitivo in alcune parti. Inoltre, mi pare anche eccessivo il peso di colpe dato alla Scuola di Chicago e Friedman che, comunque e senza dubbio,  hanno fornito  le argomentazioni teoriche ed economiche alle scellerate politiche attuate. Infine, la ricostruzione sulle colpe del FMI e Banca Mondiale si trovano  più dettagliate e direi convincenti nei libri di Stiglitz. Complessivamente, comunque,  un  libro interessante e istruttivo se non vi fate  spaventare dalla sua voluminosità.