sabato 19 luglio 2014

Quel pasticciaccio brutto di via del Nazareno

Ho pubblicato l’appello di Zagrebelsky qualche giorno fa  e credo che nei contenuti non ci sia niente da aggiungere. Mi permetto  solo qualche considerazione. 
La nostra Costituzione nasce nel dopoguerra, dal lavoro di grandissimi personaggi e con la partecipazione di molte anime politiche. Una delle preoccupazioni dei padri costituenti era evitare la possibile ricaduta verso regimi dittatoriali, tenendo presente che il regime fascista sale al potere, con tutte gli errori e le forzature che volete, ma comunque all’interno di un regime parlamentare che via via viene smantellato. Pertanto nella costruzione dell’impalcatura costituzionale ci sono una serie di condizioni che tendono a limitare il rischio di derive autoritarie nello spirito della divisione dei poteri ovvero del principio «check and balance». La creazione del bicameralismo perfetto si inserisce in questa logica, facendo dell’Italia uno dei pochi paesi ad avere tale architettura. Il problema è stato, comunque, poi acuito da un sistema elettorale assurdo, «il procellum», con le sue logiche elettorali distorte. Quindi ben venga il superamento del bicameralismo, ma  non si vede però la esigenza di fare una riforma istituzionale  così pasticciata, pensando  a come è nata la nostra Costituzione e al livello di qualità e  partecipazione nella sua costruzione e avendo presente come, un buon assetto istituzionale, sia uno degli aspetti più importanti e delicati per il buon funzionamento di una democrazia.
Personalmente non mi piacciono le definizioni come «deriva autoritaria» o «regime» un troppo abusate, in questo caso credo che si tratti di soprattutto  di pressapochismo. Capisco perfettamente la esigenza di fare presto, troppo tempo abbiamo discusso di  leggi elettorali e riforme istituzionali perdendo tempo e ritrovandoci al punto di prima, e, inoltre, quando sono state fatte alcune riforme, da una sola parte, le soluzioni sono state pessime o rifiutate dal referendum. Credo che ci siano le condizioni e le possibilità di fare delle riforme velocemente ma con più ponderazione, riflessione e anche partecipazione. Sulla democrazia come ho scritto nel primo post bisogna andarci cauti. Concludo con due citazioni la prima di Schumpeter sulla volontà popolare, dedicata ai populisti per cui  quello che conta è la volontà popolare :
Per quasi tutte le decisioni della vita quotidiana racchiuse nel breve orizzonte che il cittadino abbraccia con piena coscienza della realtà non si può seriamente contestare (…) l’intenzione di agire nel modo più razionale possibile, ma appena ci allontaniamo dalle preoccupazioni private della famiglia e della professione ed entriamo nel campo degli affari nazionali ed internazionali (…), il dominio dei fatti e il metodo di deduzione cessano ben presto di rispondere ai requisiti della dottrina classica di  agire nel modo più razionale possibile”- Da Capitalismo, socialismo e democrazia ;
La seconda  di Popper:
Abbiamo bisogno non tanto di uomini validi, quanto di buone istituzioni. Anche l’uomo migliore può essere corrotto dal potere, le istituzioni che permettono ai governati di esercitare un certo controllo efficace sui governanti, costringeranno quelli cattivi a far ciò che i governati giudicano nel loro interesse (…). Per questo è tanto importante elaborare istituzioni che impediscano anche ai cattivi governanti di provocare danni eccessivi.” Da Congetture e Confutazioni





mercoledì 16 luglio 2014

Appello di Gustavo Zagrebelsky

Pubblico alcuni estratti dall'appello di Gustavo Zagrebelsky al Ministro Boschi pubblicato sul "Fatto quotidiano" e su cui mi trovo in perfetta sintonia.
Il cosiddetto bicameralismo perfetto è certamente una duplicazione difficilmente giustificabile in quanto le medesime funzioni siano attribuite a due Camere che presentano la stessa sostanza politica. L’incongruenza, di per sé, non deriva dalla partecipazione paritaria a procedimenti comuni. Se le due Camere fossero espressione di “logiche e sostanze politiche” diverse, ma ugualmente apprezzabili e meritevoli di concorrere, ciascuna con il suo originale contributo, alla formazione delle decisioni politiche, non vi sarebbe ragione di scandalo(..). Diverso, invece, il caso in cui le logiche e le sostanze politiche siano le stesse (e per di più organizzate in modo incoerente). In tal caso – che è quello che si è determinato nel nostro Paese – il “bicameralismo perfetto” (per identità di funzioni e di natura delle due Camere) è certamente un’incongruenza costituzionale.
Ugualmente comprensibile, anzi apprezzabile, è l’intento di alleggerire, di limitare i “posti della politica”, e con essi, i “costi della politica”, purché, naturalmente, ciò non si traduca, come effetto, in difetto di rappresentanza democratica (…).
Altrettanto comprensibile è l’esigenza di funzionalità delle istituzioni parlamentari, funzionalità che è precondizione (insieme alla competenza, alla moralità e alla responsabilità verso i cittadini) per l’efficace difesa della democrazia rappresentativa. Sotto questo aspetto, l’opinione comune è che il bicameralismo, così come l’abbiamo, sia difettoso(…).
Così, la questione della funzionalità delle procedure legislative – in particolare, sotto il profilo della loro messa in moto – si mostra per quella che effettivamente è: una questione che riguarda il posto della rappresentanza parlamentare nelle decisioni politiche, rispetto al governo.
Schematizzando e guardando alla storia e agli esempi che ne vengono, i Senati esprimono o ragioni federative, nei confronti dello Stato centrale, o ragioni conservative, di fronte alla Camera elettiva e alle sue mutevoli e instabili maggioranze(…).
Da noi, il dibattito si è orientato pacificamente verso l’idea del Senato come organo rappresentativo delle istituzioni territoriali, cioè – non essendo l’Italia una federazione, se non nel linguaggio politico compiacente – della Repubblica autonomista: non più Senato della Repubblica, ma Senato delle Autonomie (…). A quanto sembra, l’orientamento anzidetto è dominante in assoluto. Perché ciò che bene funziona in America e in Germania non dovrebbe funzionare altrettanto bene in Italia?
La comparazione con gli Stati effettivamente federali – effettivamente significa non che hanno strutture giuridiche federali o simil-federali, ma che hanno radici in realtà così nettamente definite in senso storico-politico come sono gli Stati federati in Usa o i Länder in Germania – questa comparazione, dunque, mi pare porti a dire che la somiglianza con le nostre Regioni è solo esteriore (….).
Che sostanza politica, nuova e diversa, quest’organo esprimerebbe? Nessuna, se non eventualmente maggioranze dissimili da quelle politiche che si formano alla Camera dei deputati. Coloro che ragionano con tanta sicurezza di Senato delle Autonomie temo che assumano essere le “autonomie” qualcosa com’essi desidererebbero ch’esse fossero, ma che non sono. E, se sono quelle che sono, invece che quelle che si vorrebbe che fossero, il loro “senato” si riduce a ben poca e inutile cosa (…).
Se, invece, si volesse cogliere l’occasione della riforma del bicameralismo per un’innovazione che a me parrebbe davvero significativa dal punto di vista non “amministrativistico”, ma “costituzionalistico”, tenendo conto di un’esigenza e di una lacuna profonda nell’organizzazione della democrazia, si potrebbe ragionare partendo in premessa dalla considerazione generale che segue.
Le democrazie rappresentative tendono alla dissipazione di risorse pubbliche, materiali e immateriali. Sono regimi dai tempi brevi, segnati dalle scadenze elettorali, durante i quali gli eletti, per la natura delle cose umane, cercano la rielezione, cioè il consenso necessario per ottenerlo. (…)
Nella prospettiva “costituzionalistica” la provvista dei membri del Senato dovrebbe avvenire in modo diverso. Nei Senati storici, a questa esigenza corrispondeva la nomina regia e la durata vitalizia della carica: due soluzioni oggi, evidentemente, improponibili ma facilmente sostituibili con l’elezione per una durata adeguata, superiore a quella ordinaria della Camera dei deputati, e con la regola della non rieleggibilità. A ciò si dovrebbero accompagnare requisiti d’esperienza, competenza e moralità particolarmente rigorosi, contenute in regole d’incompatibilità e ineleggibilità misurate sulla natura dei compiti assegnati agli eletti.
Uno dei punti critici del Progetto riguarda la determinazione dei poteri e la definizione del rapporto tra le due Camere nel bicameralismo non paritario,….che senso ha la “supervisione” del Senato quando già è nota l’esistenza d’una maggioranza alla Camera, in grado comunque d’imporre la propria scelta? Un lamento, una protesta fine a se stessa, tanto più in quanto la legge elettorale sia tale (ma sarà tale?) da costruire più o meno artificialmente vaste maggioranze legislative alla Camera dei deputati.(…).
Nella prospettiva del superamento “costituzionalistico” del bicameralismo paritario, i problemi di convivenza delle due Camere si potrebbero risolvere così. Alla Camera dei deputati, depositaria dell’indirizzo politico, sarebbe riservato il voto di fiducia (e di sfiducia). Le leggi sarebbero approvate normalmente in una procedura monocamerale. Il Senato, nei casi – si presume di numero assai limitato, ma non elencabili a priori – in cui ritenga essere a rischio i valori permanenti la cui tutela è sua responsabilità primaria, potrebbe chiedere l’attivazione della procedura bicamerale paritaria. Qui ci sarebbe la funzione di garanzia come “camera di ripensamento”, insieme allo snellimento delle procedure in tutti i casi in cui il doppio esame non appare necessario. A sua volta, potrebbe essere proprio la Camera, per semplificare e ridurre i tempi, a chiedere eventualmente che sia il Senato a pronunciarsi per primo.
(…)  ma anche dalle prospettive in cui si annuncia la riforma della legge elettorale, in vista di soluzioni fortemente maggioritarie e debolmente rappresentative, tali da configurare una “democrazia d’investitura” dell’uomo solo al comando, tanto più in quanto i partiti, da associazioni di partecipazione politica, secondo l’art. 49 della Costituzione, si sono trasformati, o si stanno trasformando in appendici di vertici personalistici, e in quanto i parlamentari, dal canto loro, hanno scarse possibilità d’autonomia, di fronte alla minaccia di scioglimento anticipato e al rischio di non trovare più posto, o posto adeguato, in quelle liste bloccate che la riforma elettorale non sembra orientata a superare. La denuncia dunque veniva, e ancora viene, da quello che i giuristi chiamano un “combinato disposto”. La visione d’insieme è quella d’un sistema politico che vuole chiudersi difensivamente su se stesso, contro la concezione pluralistica e partecipativa della democrazia, che è la concezione della Costituzione del 1948. La posta in gioco è alta. Per questo è giusto lanciare l’allarme.
 Gustavo Zagrebelsky


lunedì 7 luglio 2014

Facciamo il punto su Renzi

Sino ad oggi ho evitato commenti su Renzi, lasciandogli il beneficio del dubbio. Anche adesso è ancora presto per darne un giudizio completo e oggettivo, però qualcosa da valutare c’è e proviamo a farlo.
Premetto che non ho nessuna prevenzione sull’uomo e neanche sono tra i suoi fan. In generale sono contrario all’idea di “un solo uomo al comando”, ma è anche vero che la storia è anche fatta da personaggi e personalità. Per semplicità divido l’analisi in capitoli.

Politica economica: 6-

Anche se un poco  affrettato e in odore di campagna di elettorale, il bonus 80 euro va comunque nella direzione del rilancio della domanda, i suoi effetti saranno limitati, ma comunque è almeno un segno di inversione  di tendenza. Sul Job Act è ancora presto per giudicarne i contenuti, ma in questo caso la direzione è sbagliata, non sarà una ulteriore  flessibilità del lavoro ad aumentare l’occupazione, come dimostrano vari studi empirici.

Riforme istituzionali : 5—

Sinceramente le riforme istituzionali sono la cosa che mi piace di meno; la riforma elettorale, seppur rappresenta un miglioramento rispetto al “porcellum” e comunque capisca la necessità di premiare la stabilità con un premio di maggioranza, con la mancanza del voto di preferenza va contro le indicazioni dei referendum popolari, che sono stati completamente e volutamente dimenticati dai politici, e comunque è anche in contrasto con quanto sancito dalla Corte Costituzionale. La riforma del Senato non la capisco proprio, mi sembra un brutto «copia e incolla» del modello tedesco che è però uno Stato federale, senza contare la schifezza della  immunità. Sono d’accordo con l’abolizione del bicameralismo perfetto, ma non vedo il problema della  elezione diretta del Senato, una volta stabiliti nettamente i confini  delle due camere  e ridotti in entrambi i rami il numero di eleggibili.

Riforma della burocrazia : 6+

In questo caso la direzione mi sembra corretta, anche se la lotta sugli alti stipendi dei burocrati, ancorché giusta, mi pare anche questa più elettoralistica e di facciata, che di sostanza. Bene il taglio alla Rai, una vergogna le voci di protesta. Stiamo a vedere se da questa riforma uscirà qualcosa, comunque qualche schiaffo ai Sindacati, che sono tra gli artefici della decadenza della nostra nazione ci stanno  bene.

Riforma della giustizia: senza voto

Se i dodici punti su un foglio di carta coi titoli sono una riforma… bè a confronto le slides erano di contenuto. Rimandato a settembre senza appello.

Politica europea: 7

Questa è la parte che ho apprezzato di più, ha saputo trattare senza timori reverenziali  con la Merkel. Giusta la risposta a quelli della  Bundesbank che farebbero meglio a starsi zitti visti i risultati delle loro politiche, vedi disastro Grecia. Renzi, con il suo risultato elettorale, può rivitalizzare il ruolo della sinistra europea, al contrario della delusione rappresentata da Hollande. Il vero campo di battaglia, infatti, su cui si combatte per  la sopravvivenza dell’Italia e dell’Europa è solo nella politica europea. Certo il passato non ci da molto ottimismo, e neanche la elezione di Junkers, che ha la leadership di una patata lessa, promettono niente di buono.

giovedì 3 luglio 2014

Mariana Mazzucato- Lo Stato innovatore

Oggi il libro che presentiamo è: Lo Stato innovatore – Mariana Mazzucato- LATERZA  editore

Il libro, da poco in libreria, è opera di Mariana Mazzucato che insegna economia dello sviluppo nella Università del Sussex. Il tema, come si capisce dal titolo, è sul ruolo dello Stato, un ruolo chiave, secondo l’autrice, per lo sviluppo dell’innovazione.
Nella prima parte del libro analizza e dimostra come, nella generazione delle più importanti innovazioni tecnologiche del recente passato, lo Stato, in particolare gli USA, ha giocato un ruolo fondamentale e insostituibile. 
Gli esempi non mancano, si va dai più noti di Internet e GPS, finanziati dalle spese di ricerca militare e utilizzati a pieno dalla Apple, sino ad arrivare ai farmaci più innovativi finanziati sempre da programmi pubblici. Questi, ed altri esempi,  dimostrano come non sia vero il mito del mercato motore dell’innovazione, anzi i tanto osannati venture capital in realtà operano solo su progetti a breve termine e a bassa intensità di capitale e, comunque, una volta realizzati i profitti spesso escono di scena con effetti disastrosi. Quello che serve sono, come li definisce l’autrice, i “capitali pazienti”che solo lo Stato può fornire con un ampio orizzonte di investimento, come ad esempio nel settore delle energie innovative e rinnovabili, dove il tempo per passare dalla innovazione alla effettiva validità commerciale è molto lungo.  Inoltre spesso gli imprenditori,che usufruiscono  di finanziamenti  o agevolazioni fiscali dello Stato, realizzano profitti considerevoli senza riconoscere allo Stato, sotto forma di tasse, i vantaggi ricevuti. In pratica chi è in grado di assumere realmente i rischi di progetti a lungo termine che, in buona parte, si risolvono per forza di cose in fallimenti è lo Stato e i profitti generati dalle iniziative vincenti dovrebbero essere riconosciuti allo Stato stesso per rialimentare la ricerca di nuove innovazioni.
Infine l'Autrice, pur non negando la necessità degli investimenti privati e il ruolo importante di figure di imprenditori innovatori come Steve Jobs, afferma che è importante riconoscere che la innovazione è un processo complesso e lungo, cumulativo e incerto, e che richiede una profonda connessione tra Stato e industria e dove, comunque, solo lo Stato può avere una strategia di crescita a lungo termine. Pertanto risulta indispensabile rivedere le istituzioni e i meccanismi di collaborazione tra Stato e privato, per sostenere una crescita che sia non solo “intelligente” ma anche “inclusiva” e “sostenibile”.
Infatti in definitiva per l’autrice:
La competitività futura - e di conseguenza la prosperità socioeconomica - di nazioni e regioni dipende in larga misura dalla capacità di mantenere in funzione il loro bene più prezioso l’ecosistema della innovazione di cui sono parte.
In conclusione, un libro molto  interessante che modificherà, sicuramente, la vostra visione sull’effettivo ruolo e importanza dello Stato nell’economia.