mercoledì 27 marzo 2024

Il futuro dell'Europa

 La guerra in Ucraina, ma anche la crisi mediorientale tra Israele e palestinesi, sta mostrando l'estrema debolezza dell'Europa, senza una politica estera e un esercito comune siamo dipendenti dalle scelte o non scelte degli USA. Rispetto alla guerra fredda il mondo è cambiato, la Cina è  assurta a potenza mondiale commerciale e politica, sta crescendo l'India, paese più popoloso del mondo, vediamo rigurgiti imperialisti russi. Gli Stati Uniti sono in difficoltà, se non altro perché alle elezioni presidenziali si sfideranno due candidati deboli o discutibili lasciando al comando della potenza, ancora leader mondiale, un presidente comunque problematico. Noi europei siamo al palo da parecchio tempo e sarebbe ora di decidersi. Nessuno ci obbliga a fare una federazione europea, nel mondo ci sono centinaia di stati che vivono benissimo da soli. Se vogliamo fare una federazione con l'intento di avere un maggior peso nello scacchiere geopolitico mondiale però dobbiamo cambiare approccio. In politica è in economia non vale la regola commutativa, cioè che invertendo l'ordine dei fattori il prodotto non cambia, anzi la storia è spesso come si dice path dependent. Errori ne abbiamo fatti, era sbagliato partire dalla unione monetaria, non lo dico io ma molti, è stato affrettato allargare cosi tanto la UE  creando una struttura ingestibile. Quindi, se si vuole proseguire, bisogna cambiare strategia, la moneta unica ha senso se la BCE ha gli strumenti e quindi serve anche  un debito comune per avere un budget degno di questo nome. Serve un ministro europeo per la politica estera con delega, così come serve un esercito europeo e un ministro della economia europeo. Ciò significa delegare alle Europa alcune funzioni diminuendo la sovranità nazionale e in ogni caso per fare ciò bisogna partire da un numero ristretto di nazioni. C'è la volontà politica di fare questo? Non mi sembra, a nessuno piace delegare e il nazionalismo è sempre forte, certe rivoluzioni necessitano o di gravi emergenze o leadership forti e illuminate. Certo che rimanere in mezzo al guado non serve, se la Francia smettesse di guardare alla Germania, strategia che non ha pagato, ma guardasse più verso il mediterraneo, Spagna e Italia, potrebbe essere l'inizio di un cambiamento, Macron ha perso l'occasione difficile che il prossimo si ravveda.

mercoledì 20 marzo 2024

Robert J. Shiller- Economia e narrazioni- Come le storie diventano virali e guidano i grandi eventi economici.

 Questo è l'ultimo libro di Robert Shiller, economista e premio Nobel di cui abbiamo recensito un altro libro: Phishing for Phoolos. Il libro tratta della importanza delle narrazioni nella economia. Le narrazioni, o meglio le costellazioni di narrazioni, hanno avuto importanza nella storia dell'uomo e quindi anche sulle vicende economiche. Le narrazioni economiche sono come le epidemie crescono lentamente poi raggiugono un picco per poi tendere a scomparire. L'autore riporta poi una serie di principi che regolano le narrazioni economiche. Nella seconda parte elenca e fa la storia delle principali narazioni economiche che hanno preso piede nell'ultimo periodo. Tra queste narrazioni citiamo: panico e fiducia, frugalita' vs consuno vistoso, gold standard vs bimetallismo, macchine e automazione che riduono il lavoro, bolle immobiliari e finanziarie. 
Le conclusioni dell'autore sono che sicuramente le narrazioni hanno importanza in economia, anche se la relazione tra queste e l'andamento economico è complesso, pertanto lo studio delle narrazioni andrebbe maggiormente indagato dagli economisti. 
Un libro interessante come argomento, con dettagliate ricostruzioni storiche che comunque risulta non  facilmente leggibile; a mio parere un libro molto meno riuscito dei precedenti di Shiller.



mercoledì 13 marzo 2024

Dani Rodrik- One Economics Many Recipes- Globalization, Institutions, and Economic Growth

 Dell'autore, Dani Rodrik professore di Economia Politica Internazionale presso la Università di Harvard, ne abbiamo parlato spesso in questo blog recensendo articoli e libri, diciamo che è uno dei miei autori preferiti.
Il libro che recensisco oggi non è recente, infatti  è del 2007 ma è comunque un libro importante. Di  fatto contiene molti degli argomenti che verranno sviluppati nei suoi successivi libri: La Globalizzazione Intelligente (The Globalization Paradox) e Dirla tutta  sul mercato globale (Straight Talk on Trade). A differenza dei due citati è un libro meno unitario, infatti si tratta di insieme di pubblicazioni e articoli tecnici, pertanto è anche meno dedicato al grande pubblico. 
Il primo capitolo è dedicato alla crescita dei paesi meno sviluppati e contiene dati relativi agli ultimi 50 anni. Le conclusioni sono che il menù di soluzioni per la crescita è molto ampio, le ricette che funzionano meglio sono quelle che si adattano al contesto locale. Non esiste un unica forma di istitutuzioni che funziona. Non sempre le soluzioni che funzionano sono quelle che prescrive la ortodossia economica, spesso le riforme migliori sono quelle che combinano scelte ortodosse e non ortodosse. Comunque per far partire la crescita non servono delle riforme estensive ma ne bastano alcune mirate, mentre una crescita sostenuta e continuativa è molto piu complicata da ottenersi, e una crescita nel breve non garantisce una crescita nel lungo. Una crescita a lungo termine necessita lo sviluppo di istituzioni che mantengano un produttivo dinamismo e generino resilienza agli shock esterni.
Il secondo capitolo rigurda la cosiddetta diagnostica della crescita, cioè la strategia per comprendere le priorità politiche. Una economia che non performa ha sicuramente delle imperfezioni e distorsioni di mercato. In presenza di molte distorsioni, riforme estensive in ogni area molto probabilmente falliscono, pertanto è meglio concentrarsi sulle distorsioni prevalenti e, quindi, focalizzarsi su quelle riforme dove, ragionevolmente, gli effetti diretti sono maggiori e verso i fattori che maggiormente limitano  la crescita. Segue un analisi dettagliata delle caratteristiche di alcuni paesi del Sud America dove si evidenziano le differenze sui fattori critici quali ad esempio: limitati risparmi, scarsi investimenti, alte tasse, macroinstabilità ecc., che limitano la crescita. 
Un capitolo è dedicato alle politiche industriali. La natura delle politiche industriali dovrebbe presentare la caratteristica di essere complementare alle forze di mercato. Il modello corretto di politica industriale dovrebbe prevedere una collaborazione strategica tra il settore privato e il governo con lo scopo di scoprire i maggiori ostacoli allo sviluppo e nel determinare gli interventi che possano rimuoverli. Va detto che la innovazione è limitata nei paesi in via di sviluppo piu dalla domanda che dalla offerta. Inoltre, l'assenza di opportunità economiche deprime i ritorni sull'investimento educativo. La specializzazione, secondo la teoria dei vantaggi comparati, dovrebbe essere un elemento essenziale dello sviluppo, anche se, ovviamente, la diversificazione ha molti vantaggi e diventa indispensabile con lo sviluppo. La diversificazione comunque non è un processo naturale ed è difficile che si verifichi senza l'intervento della azione pubblica. La diversificazione richiede la "scoperta" di nove attività, ma questa attività per gli imprenditori prevedono costi privati e comportano guadagni sociali (esternalità). La scoperta di nuove attività per la esportazione, per alcuni autori è positivamente connessa alle barriere alla entrata; si rivela utile anche sussidiare gli investimenti in nuove industrie e forme di protezione dal commercio.
Un altro problema è che gli investimenti su larga scala hanno grandi costi fissi, diventa quindi importante coodinare le decisioni di investimento e produzione di diversi imprenditori, in generale le nuove tecnologie richiedono qualche forma di supporto pubblico.
Questo spiega perchè spesso lo sviluppo indistriale nelle economie in via di sviluppo richiede assistenza governativa. Ovviamente ci sono molte controindicazioni che la letteratura economica pone all'intervento del governo; per l'autore ci sono comunque alcuni elementi essenziali affinchè le politiche industriali funzionino:
  • gli incentivi dovrebbero andare principalmente a nuove attività;
  • ci dovrebbero essere dei chiari criteri di benchmark per valutare le attività sussidiate;
  • ci deve essere un tempo limite agli aiuti;
  • il supporto pubblico deve essere rivolto ad attività e non a settori industriali;
  • le agenzie pubbliche incaricate devono avere competenze e essere ben in contatto con il privato;
Pertanto, nonostante le restrizioni che vengono poste da piu parti alle politiche industriali (es. WTO), è difficile pensare che possano sparire dall'orizzonte dei decisori politici.
Un ulteriore capitolo è dedicato alle istituzioni per la crescita. Intanto l'autore ribadisce che i mercati hanno bisogno del supporto delle istituzioni non di mercato, una economia di mercato è di fatto anche integrata con le istituzioni di non mercato. Inoltre, gli investimenti sono importanti per lo sviluppo, e gli investimenti sono sensibili agli incentivi e tali incentivi potrebbero non funzionare senza adeguate istituzioni. Una definizione generale di istituzioni potrebbe essere: un insieme di regole di comportamento che governano e modellano le interazioni degli esseri umani.  Le istituzioni che contano sono: i diritti di proprietà stabili e sicuri, istituzioni regolatorie del mercato, istituzioni per la macrostabilità economica e per la assicurazione sociale  e, infine, istituzioni per la gestone dei conflitti. Una prima conclusione è che le forme istituzionali non sono determinate in maniera univoca. Un altro aspetto importante è che le istituzioni devono essere sviluppate localmente piuttosto che da un approccio top down, cioè imposte. Da una serie di dati su moltissime nazioni emerge poi che le istituzioni democratiche producono maggiore crescita nel lungo termine, una maggiore stabilità nel breve e resistono meglio agli shock e, infine, sono migliori dal punto di vista dell'equità distributiva. In conclusione non serve una trasformazione su larga scala per innescare la crescita ma basta anche un set minimo di cambiamenti, ovviamente per la crescita sostenuta nel tempo sono necessarie invece solide istituzioni.
L'ultima parte del libro è dedicata alla globalizzazione, che come sappiamo pone opportunità e sfide, da una parte la espansione del mercato ha consentito ad alcune economie di svilupparsi, d'altra parte ha posto difficoltà agli Stati nel finanziarsi le reti di sicurezza sociale. Ciò lo porta ad un abbozzo di quello  che sarà poi il famoso trilemma, cioè la impossibilità di avere contemporanemante una autonomia nazionale, una economia integrata a livello internazionale e  politiche democratiche. Di fatto le regole del gioco della economia globale hanno ristretto le possibilità di influenza dei movimenti popolari e le politiche attuabili a livello nazionale. Il regime di  Bretton Wood-GATT aveva rimosso alcuni restrizioni sul commercio ma mantenuto alcune restrizioni sui flussi di capitale, il sistema è stato via via abbandonato anche perchè le innovazioni delle comunicazioni e dei trasporti hanno reso la globalizzazione più estesa e facile.  D'altra parte, mentre si espandono in sempre maggiori aree le regolamentazioni sul commercio e sulla finanza, dovrebbero essere parimenti rinforzati i meccanismi di opzione di uscita temporanea dai regimi stabilti, per dare maggiori possibilità di azione ai policy-makers nazionali. Quello che auspica l'autore è una forma di federalismo globale che sappia coniugare tradizionali forme di governance locale  con istituzioni regolatorie multilaterali e standard internazionali. Promuovere lo sviluppo non è sinonimo di massimizzazione del commercio come vorrebbe il WTO, infatti non c'è nessuna evidenza convincente che la liberalizzazione del commercio sia associata con il conseguente sviluppo. La integrazione economica è più un esito auspicabile che un pre-requisito, il raggiungimento di un certo volume di scambi dipende da molte cose e, soprattutto, dalla performance generale della economia. Nessuna economia si è sviluppata semplicemente aprendosi al commercio e a investimenti esteri, anzi gli esempi di India e Cina mostrano che le riforme del commercio hanno avuto luogo una decade dopo la crescita e molte restrizioni sono rimaste. Le nazioni devono avere la opportunità di massimizzare i vantaggi e minimizzare i rischi nella partecipazione alla economia mondiale, e non bisogna sottovalutare la importanza del ruolo dello Stato nel processo di trasformazione economica. Anche gli Stati sviluppati hanno altresì il diritto di proteggere le loro organizzazioni sociali (welfare, leggi sul lavoro, ecc.). In sintesi le conclusioni sono: il commercio non è un fine a se stante, le regole del commercio devono permettere le diversità tra le istituzioni nazionali, le nazioni non democratiche non possono avere gli stessi privilegi di quelle democratiche e, infine, le nazioni devono avere il diritto di proteggere le proprie istituzioni e le proprie priorità di sviluppo.
Come si evince dalla sintesi è un libro molto ricco di informazioni e dati, in cui le tesi sono corroborate dalle evidenze di studi approfonditi. Ovviamente c'è nel libro molto di più di quanto sintetizzato da me, è un libro dunque interessante per chi vuole approfondire le tematiche affrontate: sviluppo, politiche industriali,  globalizzazione, accordi commerciali. Un libro non proprio dedicato al grande pubblico ma molto chiaro nella esposizione dei concetti.

martedì 5 marzo 2024

Carl Benedict Frey- The Technology Trap - Capital, Labor, and Power in the age of automation

 L'autore, Carl Benedict Frey, è un economista di origine svedese e tedesca che insegna Intelligenza Artificiale e Lavoro presso la Univeristà di Oxford. Il libro è una approfondita dinamica della evoluzione tecnologica e delle sue ricadute sociali a partire dalla prima Rivoluzione Industriale.
 La creatività tecnologica è esista in qualche forma nel passato, un esempio è lo sviluppo della agricoltura, tuttavia la crescita economica sostenuta si è avuta  solo negli ultimi secoli a partire dalla Rivoluzione Industriale in Gran Bretagna. Di fatto le innovazioni tecnologiche servivano per scopi pubblici piuttosto che privati e avevano pertanto un limitato impatto economico, c'era un clima politico e culturale poco propenso allo sviluppo indistriale. I progressi tecnologici durante il Medio Evo spinsero i commerci piuttosto che risparmiare lavoro. Anche il Rinascimento, epoca di idee tecniche, fu piena di immaginazione ma poco di realizzazioni pratiche. Le elìte avevano in realtà come priorità la massimizzazione della occupazione per evitare sollevamenti sociali. La difficoltà ad innescare lo sviluppo tecnologico è dovuta fondamentalmente ad un suo mancato supporto; la innovazione è rischiosa e i mercati per le innovazioni sono inizialmente locali e piccoli. Inoltre, la innovazione tecnologica richiede una base scientifica e le istituzioni proibirono piuttosto che incoraggiare le innovazioni. I primi segnali di cambiamento avvennero in Gran Bretagna, con lo sviluppo dei commerci atlantici si rafforzò il potere dei mercanti e  si iniziò a intravedere uno sviluppo industriale, le prime fabbriche furono infatti gestite dai mercanti. Lo spostamento di potere dalla corona al Parlamento comportò una maggiore salvaguardia degli interessi mercantili e industriali. La macchina a vapore fu infatti un derivato della ricerca scientifica anche se arrivò  tardi nel processo di industrializzazione, ci vollero comunque circa 100 anni per veder pienamente all'opera la Rivoluzione Industriale. Inizialmente i  vantaggi  della Rivoluzione Industriale andarano solo a vantaggio dei pionieri dell'industria. Le condizioni dei lavoratori non migliorarono, anzi all'inizio peggiorarono. I guadagni degli artigiani svanirino perchè sostituiti da lavoratori meno skillati (anche ragazzi) pertanto montò  la protesta dei luddisti che non ebbe successo. La protesta non funzionò perchè le elìte dominanti presero le parti degli innovatori, anche perchè la diffusione delle macchine accresceva il potere competitivo del commercio britannico. Fu solo successivamente che la Rivoluzione Industriale portò dei vantaggi ai lavoratori, lo sviluppo tecnologico crescente richiedeva lavoratori piu qualificati che, grazie ai sindacati, gradualmente ottennero aumenti salariali e miglioramenti delle condizioni lavorative. Le tecnologie divennero di tipo "abilitante" quindi con la creazione di nuove attività. La elettricità e il motore a combustione furono poi le tecnologie "general purpose" che condizionarono ogni aspetto della industria. Dal sistema della fabbrica si passò quindi allla produzione di massa. Inoltre, la elettrificazione modificò la organizzazione della produzione e rese piu salubri gli ambienti lavorativi. La caratteristica della Seconda Rivoluzione Industriale fu la meccanizzazione delle abitazioni. La elettrificazione rivoluzionò le case ed il lavoro delle casalinghe. La automobile cambiò la faccia del Nord America ed i moto veicoli trasformarono anche la agricoltura. La automobile divenne la piu grande industria nel 1940 e i motoveicoli furono quelli che generarono maggior lavoro di tutte le altre tecnologie.  Il periodo che va dal 1870 al 1980 circa si caratterizza come un periodo di migliormento delle condizioni dei  lavoratori con un aumento dei salari che tennero  il passo della produttività e con una crecita lenta e costante della classe media. Tutto ciò si deve al maggior potere contrattuale dei lavoratori, ad una tecnologia che crea nuovi lavori per lavoratori sempre piu skillati e l'aumento della scolarizzazione. Questo fenomeno tende ad invertirsi a partire dal 1980, in particolare aumenta la domanda di lavoratori particolarmente skillati e quindi in parte un fallimento del sistema educativo che non riesce a tenere il passo. Il periodo della automazione è distinto da quello della meccanizzazione, la tecnologia tende a diventare sostitutiva facendo sparire tutta una serie di attività ora automatizzabili; le macchine controllate dal computer tendono a ridurre la necessità di un certo tipo di addetti. Purtroppo si assiste allo spostamento da lavori piu pagati a lavori nei servizi, non automatizzabili, meno pagati, di fatto riducendo la classe media. L'automazione ha diminuito il lavoro per alcuni blue collars che facevano parte della classe media. Di fatto la produttività aumenta ma non aumentano i redditi da lavoro. La sparizione di certi tipi di lavoro ha comportato il peggioramento delle condizioni di vita in alcune zone degli USA peggiorando le condizioni delle famiglie e le possibilità di mobilità sociale (i luoghi contano), facendo crescere le differenze tra le comunità.
Dato che una diffusa classe media è un pilastro per ogni democrazia, la riduzione di essa ha avuto dei profondi effetti sulla politica. Nel passato l'allargamento della classe media è stato fondamentale per un aumento della democrazia e del welfare, le profezie marxiste non si sono avverate per la trasformazione di una buona parte del proletariato in classe media. La crescita delle ineguaglianze ha reso il sistema politico meno reattivo alle esigenze dei cittadini ordinari, la politica si è cosi polarizzata, minando la leggittimità della democrazia. I lavoratori hanno perso influenza e i lavoratori meno skillati sono divenuti sempre piu staccati dai principali partiti. Le tensioni razziali non sono diminuite tra le classi meno istruite, così anche se la teconologia, soprattutto, e la globalizzazioĺne hanno grandemente contribuito alla perdita di lavoro, la immigrazione è stata facilmente indicata come causa per opportunità politica. Le difficoltà economiche sono quindi una sicura causa degli spostamenti degli orientamenti di voto soprattutto in alcune zone degli USA. Il futuro non è scritto ma la teconolgia della IA (Intelligenza Artificiale) che sta facendo balzi in avanti,fa prefigurare scenari di ulteriore diminuzione delle opportunità lavorative per lavoratori a basso e medio skill. Gli studi prevedono che la IA potrebbe mettere a rischio una grande parte dei lavori a basso skill e bassa formazione; è probabile che i tempi siano lunghi per la sostituzione di molti lavori ma sul lungo periodo il problema si pone creando le basi per un ulteriore divisione tra vincenti e perdenti. La sfida quindi è soprattutto politica nella gestione della innovazione e sulle sue ricadute sociali. Pertanto l'autore elenca una serie di interventi che si dovranno prevedere: un maggior investimento dei governi nella educazione in particolare dei giovani e nella ri-formazione degli adulti, prevedere delle assicurazioni sul salario per garantire le possibilità di mobilità lavorative, forme di integrazione salariale o tax credit per chi è in difficoltà economiche, diminuire le barriere ai cambiamenti di lavoro, sussidi per la ricollocazione abitativa, rimuovere le   barriere alla espansione edilizia delle città in espansione lavorativa, investimenti in infrastrutture di mobilità per ridurre i costi abitativi.
Nel complesso un libro molto ben scritto e contente molte informazioni, sui vari argomenti elenca con chiarezza studi e lavori a favore delle varie tesi, quindi ben documentato. Insieme al precedente libro di Acemoglu Power and Progress da una corretta visione della evoluzione tecnologica e da una visione del progresso tecnologico meno ottimistica, anche se il libro di Acemoglu giustamente metteva in evidenza il fatto che gli effetti della evoluzione tecnologica dipendono dai rapporti di potere. 
Aggiungo qualche mia considerazione, il progresso tecnologico è stato il motore della crescita del benessere e, fino ad oggi, ha garantito un miglioramento delle condizioni di vita di molti, ma non cè dubbio che negli ultimi trent'anni nei paesi sviluppati ci sia stato un aumento delle disuguaglianze, una concentrazione di ricchezza e di potere,  e una riduzione della classe media con le sue conseguenze politiche. Se il capitalismo si è salvato, sino ad esso dalle fosche previsioni di Marx, sviluppate quando le condizioni dei lavoratori erano terribili, è perchè le condizioni del lavoratori sono migliorate sia dal punto di vista lavorativo sia economico. Se il capitale continuerà ad avere la meglio sul lavoro come sta succedendo, si pone un problema direi keynesiano, cioè se diminuiscono i redditi da lavoro chi crea la domanda effettiva per la offerta sempre più automatizzata? La risposta a questo è stata la crescita delle spese statali e il welfare  che però sono in difficoltà per la sempre maggior elusione  fiscale dei ricchi e delle imprese. Quindi se le elìte fossero illuminate capirebbero che ci vuole una maggior uguaglianza e maggior redistribuzione della ricchezza a meno che non vogliano rivedere rinascere lo spettro delle previsioni marxiste della crescita e impoverimento dell' esercito dei lavoratori di riserva con tutte le conseguenze del caso.

sabato 10 febbraio 2024

Paul Krugman- Discutere con gli Zombie- Le idee politiche mai morte che uccidono la buona politica

Paul Krugman è un noto economista statunitense, vincitore del cosiddetto Premio Nobel per l'economia nel 2008, di cui abbiamo già pubblicato qui la recensione di un suo libro sulla crisi economica. Paul Krugman è un editorialista del New York Times e quasto libro è, di fatto, una raccolta di suoi articoli; pertanto non essendo un libro unitario ma una raccolta di aricoli su diversi argomenti quella che segue non è una vera recensione. 
Il libro è suddiviso in vari argomenti, i temi sono diversi, in particolare sono relativi a: social secutity e Obamacare, la crisi del 2008, l'austerità, l'euro, le tasse, Trump, i media ed altro, in particolare ovviamente temi economici
L'autore su questi argomenti esprime la sua opinione, sempre in contrasto con la visione del partito repubblicano USA. Gli argomenti sono spesso incentrati su tematiche degli USA pertanto sono relativamente interessanti per noi italiani, anche se forniscono un punto di vista sulla  politica americana e i suoi difetti. E' un libro interessante ma non unitario e, quindi, in parte dispersivo. 
Interessante è, sopratutto, la panoramica che offre sulla situazione politica americana, ovviamente di parte, cioè dalla parte di un economista liberal progressista. Quello che si vede è la degenerazione del partito repubblicano, sempre piu ancorato su posizione di retroguardia e ultimamente dominato dal trumpismo. Mi ha sorpreso, negativamente, la tenacia con cui i repubblicani, senza un vero successo, hanno tentato di sabotare la riforma sanitaria di Obama che offriva, giustamente, possibilità di assistenza sanitaria a una larga fascia di popolazione che ne era sprovvista. 
Francamente sembra strano che possano avere tanti voti i repubblicani quando smaccatamente fanno politiche a vantaggio di pochi, taglio delle tasse ai ricchi, e molto poco a vantaggio dei più. In realtà non è cosi strano se pensiamo a quanto possano pesare i ricchi negli Stati Uniti nel condizionare i media e quindi la opinione pubblica, riuscendo a convincere a votare una parte della popolazione più povera a favore di politici che perseguono obiettivi che non  la avvantaggiano. 
Anche da noi in Europa si assiste a una ripresa della destra ormai generalizzata, comunque, come ho più volte sottolineato, è sopratutto colpa dei partiti progressisti incapaci di affrontre in maniera corretta e fornire le giuste risposte ai cambiamenti sociali ed economici che le nuove tecnologie e la globalizzazione stanno imponenendo a gran parte della popolazioni, con aumento delle difficoltà economiche  e visione pessimistica sul futuro, lasciando spazio a chi cavalca queste crisi con un populismo facile da capire ma che non risolve molto.

giovedì 18 gennaio 2024

Yanis Varoufakis- I deboli sono destinati a soffrire?- L'Europa, l'austerità e la minaccia globale alla stabilità globale

 Dell'autore, ex ministro delle Finanze della Grecia nel governo Tsipras e professore di Teoria Economica alla Università di Atene e alla University of Texas di Austin, abbiamo già recensito il suo libro successivo sulla sua esperienza di ministro qui.

Il libro, anche se il titolo può essere sibillino, è un libro di storia, in particolare della storia degli accordi monetari mondiali prima e poi di quelli successivi in Europa sino alla introduzione dell' euro.

Il libro parte dagli accordi di Bretton Woods dove nonostante l'impegno di Keynes vinse il piano di White (USA), la potenza vincente, che imponeva un sistema basato, ovviamente sul dollaro (*), unica moneta ad essere legata all'oro in maniera fissa. Le altre monete erano a loro volta agganciate al sistema che prevedeva un sistema di cambi semi fissi che potevano variare in modo concordato. Il sistema era meno internazionale e multilaterale di quello di Keynes ma funzionava se gli USA erano in surplus, come lo erano nel primo dopoguerra, e quel surplus, inviato come aiuto all'Europa, serviva a comprare le merci americane e quindi i dollari ritornavano a casa riequilibrando il sistema e generando stabilità. Questo equilibrio finì quando gli USA divennero importatori netti per lo sviluppo delle economie europee e giapponese. La situazione era precaria con un valore di cambio dollaro-oro fissato ad un valore troppo basso rispetto alla realtà. A far saltare l'accordo ci pensarono i francesi (De Gaulle)  che, sofferenti per la perdità di potere economico della Francia rispetto alla Germania, accusarono gli USA di avere un "privilegio esorbitante" mandando a cambiare dollari con oro. Di fronte a una situazione insostenibile, per cui le riserve auree americane erano a rischio, furono gli USA, nel 1971, a interrompere unilateralmente il cambio fisso dollaro oro e a far saltare Bretton Woods. 

E così l'Europa si ritrovò senza l'ombrello del dollaro e di Bretton Woods e incomiciò a pensare a farsi una sua Bretton Woods europea. In questo contesto nacquero, e finirono miseramente, i due tentativi di stabilizzare i cambi tra le monete europee, prima il sistema del cosiddetto serpente monetario e poi lo SME, entrambi con vita piuttosto breve. Nonostante questi fallimenti, con la unificazione della Germania si presentò l'occasione di far partire la moneta unica, contro la riluttanza tedesca e soprattutto della Bundesbank,  con un accordo Khol-Mitterand, con la segreta speranza dei francesi di riuscire, in qualche modo, di controllare la Germania e il marco (speranza vana a posteriori). Anteporre la moneta alla unione politica era un rischio che Mitterand conosceva, e addirittura la stessa Tatchter affermò, quando diede le dimissioni, che con una banca centrale europea così concepita non ci sarebbe stata democrazia. Inoltre, tra gli altri il grande economista Kaldor, già nel 1970, aveva evidenziato che era un pericoloso errore. L'euro inizialmente funzionò ma basato su pericolosi squilibri, infatti i suplus degli esportatori europei venivano risucchiati dal Minotauro finanziario di Wall Street e d'altra parte finivano per indebitare i paesi europei in deficit con le banche francesi e tedesche. Tutto questo giro di denaro e speculazione finì come ben sappiamo con la crisi del 2008.

Il resto della storia è noto, ne abbiamo parlato ampiamente in altri libri: la crisi dell'euro, i salvataggi a colpi di asuterità, vedi per la Grecia anche di Varoufakis Adulti nella stanza; l'intervento salvifico di Draghi dopo gli errori di Sarkozy e Merkel, con la Bundesbank che non mancò di denunciare gli interventi di Draghi alla corte costituzionale tedesca! 

L'errore di fondo di tutte le politiche moenetarie europee, per Varoufakis, è quello di voler depoliticizzare il denaro che è una assurdità. Concludo la sintesi del libro con una delle citazioni conclusive dell'autore:  "L'euro ha rimpiazzato la paura della svalutazione con la certezza della depressione".

Il libro presenta in appendice la cosiddetta  modesta proposta fatta dall'autore con altri per risolvere i problemi euroopei senza stravolgere troppo le regole, proposta che ho comemmentato  qui.

In conclusione, un libro molto ben scritto, l'autore riesce a narrare episodi e i fatti economici in maniera piacevole ricorrendo spesso ai miti greci. E' un libro ben documentato con molte ricostruzioni storiche interessanti e spesso non note, quindi è un libro che vale la pena leggere. E' chiaro che l'autore evidenzia il proprio punto di vista e si intravede il grande rancore verso la Bundesbank per come sono andate le cose per la Grecia, anche se alla fine sono i francesi che escono peggio dai fatti storici. 

(*) Il piano di  Keynes si basava su una moneta virtuale internazionale chiamata Bancor.

venerdì 5 gennaio 2024

La politica che sconforto

 Ho visto la conferenza del nostro Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la sensazione è di sconforto. Giorgia Meloni è un politico navigato capace di rispondere ad alcune accuse con altrettante accuse ai suoi predecessori con battute sferzanti ma, detto ciò, che sul piano comunicazionale può funzionare, per il resto non ho grande ammirazione per questo governo. Inatanto la squadra di governo e i personaggi che ruotano intorno a Fratelli d'Italia non mi sembrano un gran che, basti vedere alcune figure tra il ridicolo e il penoso: Lollobrigida che ferma il treno e quest'altro che gira con la pistola a Capodanno. 

La manovra di governo è limitata dai ridotti spazi fiscali, fa poche cose, più che altro cerca di evitare il peggio. La figura peggiore è a livello internazionale. Per mesi hanno evitato di ratificare  il MES con la speranza di poter contrattare qualcosa sul nuovo patto di stabilità. Il patto è invece stato stabilito  sopra le nostre teste e non sembra molto migliorativo rispetto a quello proposto della Commissione Europea. Dimostrazione di quanto non contiamo molto in Europa, problema che non è nuovo ma la Meloni, per quanto cerchi di proporsi come statista europeo, in realtà conta ancora meno dei suoi predecessori. Siamo alle solite una politica orfana di leadership con scarsa visione del futuro da dare a questo paese. L'unica proposta è la riforma costituzionale con il premierato, che darebbe un ulteriore colpo al parlamento riducendo anche il potere del Presidente della Repubblica, se passase ci condannerebbe a ulteriori leadership populiste che non hanno mai fatto del bene a nessuna nazione, vedi Argentina. 

D'altra parte l'opposizione è ben poca cosa, la Schlein non riesce a fare una opposizione efficace, Conte prova a fare qualcosa ma il suo passato non lo rende credibile, uno che è passato da un governo giallo-verde a uno giallo-rosso, con l'approvazione di politiche, forse negli intenti buone, ma disastrose negli esiti: reddito di citatdinanza e superbonus. Come si vede mancano leadership preparate e illuminate, non c'è nessuna volontà di formare una buona classe dirigente (vedi qui), i nostri giovani non sono per niente valorizzati tant'è che i migliori se ne vanno all'estero. Certo da altre parti non è meglio, vedi in USA, dove i due candidati alle presidenziali più probabili in lizza sono due ultra settantenni, possibile che in un grande paese come gli Stati Uniti non si trovino candidati più giovani? Senza contare che poi Trump ha già dimostrato di cosa è capace.

Insomma una situazione deprimente che non lascia grandi speranze per il futuro.