sabato 1 giugno 2024

Dichiarazione di Berlino Forum for a New Economy

 Pubblico la dichiarazione integrale, firmata da noti economisti, al vertice di Berlino del Forum  for a New Economy, che rappresenta bene le azioni da predisporre per recuperare la democrazia e sconfiggere i populismi.

La dichiarazione del vertice di Berlino –

Riconquistare il popolo​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

PUBBLICATO

29 MAGGIO 2024

Le democrazie liberali si trovano oggi ad affrontare un’ondata di sfiducia popolare nella loro capacità di servire la maggioranza dei cittadini e di risolvere le molteplici crisi che minacciano il nostro futuro. Ciò minaccia di condurci in un mondo di pericolose politiche populiste che sfruttano la rabbia senza affrontare i rischi reali, che vanno dal cambiamento climatico alle disuguaglianze insopportabili, o ai grandi conflitti globali. Per evitare gravi danni all’umanità e al pianeta, dobbiamo urgentemente individuare le cause profonde del risentimento delle persone.

Oggi esistono ampie prove del fatto che questa sfiducia non è solo, ma in larga misura, guidata dall’esperienza ampiamente condivisa di una perdita reale o percepita di controllo sui propri mezzi di sussistenza e sulla traiettoria dei cambiamenti sociali. Questo senso di impotenza è stato innescato dagli shock derivanti dalla globalizzazione e dai cambiamenti tecnologici, ora amplificati dal cambiamento climatico, dall’intelligenza artificiale e dallo shock inflazionistico. Inoltre, decenni di globalizzazione mal gestita, di eccessiva fiducia nell’autoregolamentazione dei mercati e di austerità hanno indebolito la capacità dei governi di rispondere in modo efficace a tali crisi.

Riconquistare la fiducia della gente significa ricostruire queste capacità. Non pretendiamo di avere risposte definitive. Tuttavia, sembra fondamentale riprogettare o rafforzare le politiche sulla base di alcune delle lezioni fondamentali che possiamo trarre da ciò che ha causato tali livelli di sfiducia. Questi suggeriscono che dobbiamo:

riorientare le nostre politiche e istituzioni puntando soprattutto sull’efficienza economica per concentrarci sulla creazione di prosperità condivisa e sulla sicurezza di posti di lavoro di qualità;

sviluppare politiche industriali per affrontare in modo proattivo le imminenti perturbazioni regionali sostenendo nuove industrie e indirizzando l’innovazione verso la creazione di ricchezza per i molti;

assicurarsi che la strategia industriale consista meno nell’erogazione di sussidi e prestiti ai settori affinché restino in piedi e più nell’aiutare coloro che investono e innovano verso il raggiungimento di obiettivi come lo zero netto;

  • progettare una forma più sana di globalizzazione che bilanci i vantaggi del libero scambio con la necessità di proteggere i più vulnerabili e coordinare le politiche climatiche, consentendo al tempo stesso il controllo nazionale su interessi strategici cruciali;
  • affrontare le disuguaglianze di reddito e di ricchezza che sono rafforzate dall’eredità e dall’automatismo del mercato finanziario, sia rafforzando il potere dei mal retribuiti, tassando adeguatamente i redditi e la ricchezza elevati, sia garantendo condizioni iniziali meno diseguali attraverso strumenti come l’eredità sociale;
  • riprogettare le politiche climatiche combinando prezzi ragionevoli del carbonio con forti incentivi positivi per ridurre le emissioni di carbonio e ambiziosi investimenti infrastrutturali;
  • garantire che i paesi in via di sviluppo dispongano delle risorse finanziarie e tecnologiche di cui hanno bisogno per intraprendere la transizione climatica e le misure di mitigazione e adattamento senza compromettere le loro prospettive;
  • stabilire in generale un nuovo equilibrio tra mercati e azione collettiva, evitando l’austerità autodistruttiva e investendo in uno Stato innovativo ed efficace;
  • ridurre il potere di mercato nei mercati altamente concentrati.

Stiamo vivendo un periodo critico. I mercati da soli non fermeranno il cambiamento climatico né porteranno a una distribuzione meno iniqua della ricchezza. Il trickle-down è fallito. Ci troviamo ora di fronte a una scelta tra una reazione protezionistica conflittuale e una nuova serie di politiche che rispondano alle preoccupazioni delle persone. Esiste un intero corpus di ricerche innovative su come progettare nuove politiche industriali, buoni posti di lavoro, una migliore governance globale e politiche climatiche moderne per tutti. Ora è fondamentale svilupparli ulteriormente e metterli in pratica. Ciò che serve è un nuovo consenso politico che affronti le cause profonde della sfiducia delle persone invece di concentrarsi semplicemente sui sintomi, per non cadere nella trappola dei populisti che fingono di avere risposte semplici.

Poiché il pericolo di conflitti armati in tutto il mondo è aumentato a causa di interessi geopolitici divergenti, le democrazie liberali dovranno, come prerequisito, dimostrare la loro capacità sia di difendere i propri valori sia di disinnescare le ostilità dirette, aprendo infine la strada verso una pace sostenibile, oltre a diminuire le tensioni tra Stati Uniti e Cina.

Qualsiasi tentativo di riportare durevolmente i cittadini e i loro governi al posto di guida ha il potenziale non solo di promuovere il benessere di molti. Contribuirà a promuovere ancora una volta la fiducia nella capacità delle nostre società di risolvere le crisi e garantire un futuro migliore. Abbiamo bisogno di un’agenda che permetta alla gente di riconquistare la gente. Non c'è tempo da perdere.

Maggio 2024

***



Firmatari [163 al 31 maggio 2024]

Dani Rodrik, Harvard UniversityBranko Milanovic, City University New YorkMariana Mazzucato, University College LondonAdam Tooze, Columbia UniversityLaura Tyson, UC BerkeleyThomas Piketty, EHESSGabriel Zucman, UC BerkeleyJens Südekum, Heinrich Heine University DüsseldorfIsabella Weber, University of Massachusetts AmherstOlivier Blanchard, PIIEMark Blyth, Brown UniversityCatherine Fieschi, Istituto universitario europeoXavier Ragot, OFCEDaniela Schwarzer, Bertelsmann StiftungJean Pisani-Ferry, Sciences Po/Bruegel/PIIEBarry Eichengreen, UC BerkeleyLaurence Tubiana, Fondazione europea per il climaPascal Lamy, Institut Jacques DelorsAnn Pettifor, Prime EconomicsMaja Göpel, Mission WertvollStormy-Annika Mildner, Aspen Institute BerlinKatharina Pistor, Columbia UniversityThomas Fricke, Forum New EconomyAchim Truger, Consiglio di esperti per la valutazione dello sviluppo economico complessivoAnatole Kaletsky, Gavekal ResearchAndrew Watt, IMKAnke Hassel, Hertie SchoolAnne-Laure Delatte, Université Paris-DauphineAntonella Stirati, Università di Roma TreBarbara Praetorius, HTW BerlinBettina Kohlrausch, Istituto di ricerca economica e socialeBill Janeway, Cambridge UniversityChristian Breuer, Advisory Council for la valutazione dello sviluppo economico complessivoChristian Kastrop, Global Solutions InitiativeDalia Marin, Politecnico di MonacoDirk Ehnts, Torrens UniversityDorothea Schäfer, DIW BerlinEric Lonergan, autore/economistaEric Monnet, EHESSFrancesca Bria, Fondo nazionale italiano per l'innovazioneGerhard Schick, Cittadini ' Movimento Transizione finanziariaHelene Schuberth, Confederazione sindacale austriacaHenning Vöpel , Centro per la politica europeaJay Pocklington, INETJérôme Creel, OFCEJonas Meckling, Università della California, BerkeleyMartyna Linartas, inequality.infoMichael Jacobs, Università di SheffieldPeter Bofinger, Università di WürzburgPrakash Loungani, Johns Hopkins UniversityRichard McGahey, Schwartz Center for Economic Policy AnalysisRobert Gold, IfW KielRobert Johnson, INETRohan Sandhu, Harvard UniversitySander Tordoir, CERSebastian Dullien, IMKShahin Vallée, DGAPStephen Kinsella, University of LimerickTeresa Ghilarducci, La nuova scuolaThomas Biebricher, Università Goethe di FrancoforteTrevor Sutton, Centro per il progresso americano.

venerdì 31 maggio 2024

Elizabeth Popp Berman- Thinking like an Economist: How Efficiency Replaced Equality in U.S. Public Policy

 Elizabeth Popp Berman, sociologa, è direttrice e professoressa di studi organizzativi presso l'Università del Michigan ed è l'autore di questo libro. Il tema che viene sviluppato nel libro è la storia di come il modo di pensare in stile economico sia divenuto sempre più dominante all'interno delle istituzioni degli Stati Uniti.

La storia della introduzione del modo di pensare economico nelle istituzioni si può far risalire inizialmente al cosiddetto "istituzionalismo", anni '30, che iniziò ad introdurre una varietà di uffici governativi nei quali gli economisti avevano un ruolo siglificativo. Il secondo passo fu la creazione dopo la guerra del Comitato dei consiglieri economici presso la Casa Bianca. Un ulteriore significativo avvenimento fu l'utilizzo della  Rand corporation da parte della Aviazione degli Stati Uniti per analisi sul sistema di difesa aereo tramite la System analysis. La nomina di Mac Namara come Segretario della Difesa, con l'amministrazione Kenendy, fu un ulteriore tassello per il rafforzamento dell'approccio della System AnalysisA questo seguì l'adozione, con alterne fortune, dei sistemi di programmazione e pianificazione economica (PPBS) nelle agenzie governative.

 Nonostante la Great Society di Johnson avesse dei valori in conflitto con la visione economicista questa facilitò la rapida diffusione dello stile economico nel governo federale e l'efficienza divenne un fine centrale di politica sociale. Inizialmente ci fu una certa continuità nell'uso dello stile economico nell'amministrazione Nixon, anche se i conservatori tendevano ad usare lo stile economico per raggiungere obiettivi macroeconomici.

L'approccio economico per quanto si presentasse come neutrale in realtà venne in conflitto con approcci diversi alla politica sociale. Lo stile economico e la centralità della efficenza si espanse anche nel ambito della legislazione riguardante l'antitrust e divenne quindi anche un riferimento per il quadro normativo legale. Anche con l'amministrazione Carter la efficienza e lo stile economico rimasero al centro delle politiche sociali e antitrust. Un altro ambito dove si diffuse l'approccio economicista, cambiando completamente la legislazione, fu quello dei trasporti e delle telecomunicazioni dove si diffuse la deregolamentazione. 

Con la presidenza Regan l'atteggiamento cambiò ancora, in realtà questa amministrazione non era interessata all'aspetto scientifico, piuttosto sfruttava le agenzie governative per giustificare i suoi programmi governativi. Di fatto ci fù una massiccia riduzione dei budget per gli uffici governativi che rimasero con poche risorse per le ricerche di politiche sociali. L'obiettivo di Regan era rimuovere le restrizioni governative alle aziende, e il ragionamento economico era solo un mezzo per raggiungere i suoi obiettivi politici, in questo fu essenziale la crescita di importanza e di rasppresentanza nelle istituzioni della Scuola di Chicago.

L'obiettivo iniziale degli economisti era quello di usare il regionamento economico per migliorare l'azione di governo; ma una volta che tale stile divenne maggioritario andava in contrasto con i valori puramante morali e di principio, riducendo lo spazio per approcci alternativi. Da un punto di vista politico l'adozione da parte dei Democratici del pensiero economicista ha ridotto lo spazio per politiche sociali più coraggiose nella sanità e nella tutela ambientale in particolare, anche se dopo il 2008 la sinistra del partito democratico ha riabbracciato politiche che sono al di fuori dello stile economico. Nelle conclusioni l'autrice afferma che anche se lo stile economico va incoraggiato è necessario costruire un quadro intellettuale che vada oltre l'approccio economico, e che metta al centro valori come l'uguaglianza, giustizia razziale, diritti e comunità.

Il tema del libro è senz'altro interessante, svolto con grande dovizia di particolari e ricostruzioni storiche dettagliate. Detto ciò, il fatto che si addentri in tutta una serie di nomi, sigle di amministrazioni statunitensi finisce per essere dispersivo e piuttosto faticoso da seguire. Più che un libro dedicato al grande pubblico pare un ottimo studio per addetti ai lavori, pertanto lo consiglio solo a chi è vermente interessato all'argomento e alla storia degli Stati Uniti.

martedì 28 maggio 2024

Yanis Varoufakis- Il Minotauro Globale- L' America, le vere origini della crisi e il futuro dell' economia globale

 Quello di oggi è un libro di Yanis Varoufakis, economista greco che insegna negli Stati Uniti e di cui abbiamo parlato in varie occasioni in questo blog, in particolare qui. Recensisco questo libro, non nuovissimo (2012), perchè comunque Varoufakis, per quanto si possa essere d'accordo o meno con le sue tesi, scrive bene, in modo chiaro e piacevole, nei suoi libri ci sono sempre interessanti richiami alla mitologia greca, come in questo caso, e comunque il suo punto di vista non è mai banale. 

Il libro contiene molte cose ma se vogliamo il tema principale è: come fare a mantenere il sistema economico generale in equilibrio e quindi a riciclare le eccedenze che si creano. Il problema della stabilità del sistema economico globale ed evitare il rischio di depressioni globali era uno dei principali crucci di Keynes. La crisi del '29 aveva portato alla fine del sistema di cambi fissi con l'oro (Gold Standard) a cui erano seguite svalutazioni competitive nella speranza delle nazioni di evitare la crisi depressiva che invece avevano esacerbato la crisi. Quando si presentò l'occasione di rifondare il sistema economico globale a Bretton Woods Keynes, che aveva le idee chiare, propose un sistema di cambi semi fissi affiancato da una moneta internazionale, bancor, con la creazione di alcune istituzioni che avrebbero dovuto finanziare i paesi in deficit e nel contempo colpire quelli in eccessivo surplus con inoltre un sistema di finanziamento degli investimenti (FMI, e Banca Mondiale). Le idee rivoluzionarie e anche scioccanti di Keynes sorpresero gli intervenuti ma non furono adottate, se non in parte. La guerra l'avevano vinta gli americani e quindi vinse il piano White che metteva al centro il dollaro, unica moneta ad essere agganciata stabilmente all'oro, con le altre monete con dei cambi fissi che potevano essere modificati in certe circostanze. Il piano che Varoufakis definisce globale comunque funzionò bene all'inizio, perchè gli Stati Uniti erano gli esportatori globali sfruttando la domanda dei paesi distrutti dalla guerra, ma riciclavano le eccedenze anche con il piano Marshall reinvestendo nei paesi occidentali e il Giappone che cominciarono così un percorso di ripresa economica. Ma questo sistema non era un sistema automatico di riciclo delle eccedenze e funzionò fino a che gli Stati Uniti erano in surplus commerciale. Con il passare del tempo i paesi usciti dalla guerra divennero esportatori, in particolare Germania e Giappone, e gli Stati Uniti passarono da paese in surplus a paese in deficit commerciale con anche un debito pubblico in crescita  a causa della guerra del Vietnam. Questa situazione di debolezza del dollaro portava il cambio fisso con l'oro ad essere sottovalutato e, quando qualcuno, la Francia, provo a forzare la mano per cambiare dollari svalutati con oro, Nixon sospese definitivamente il sistema, era la fine del cosiddetto Piano Globale. 

A questo sistema si sostituì quello che Varofakis chiama Minotauro Globale. Infatti la figura mitologica del Minotauro, mezzo uomo e mezzo toro, si nutriva di giovani vittime che le venivano offerte per sfamarlo, come metafora del sistema in cui i surplus dei paesi sviluppati occidentali alimentavano gli Stati Uniti. Il sistema funzionava perchè i surplus commerciali degli altri paesi, recentemente anche la Cina, venivano reinvestiti nel sistema finanziario e industriale americano. Questo nuovo precario equilibrio funzionò per un certo tempo provocando la crescita della finanza e delle speculazioni finanziarie che, come sappiamo, si è trasformata nella terribile crisi del 2008. Il libro prosegue con una descrizione della crisi del 2008 e quindi con la conseguente  crisi in Europa e le varie vicende della zona euro, che ha visto come protagonista la Grecia e che l'autore tratta in maniera dettagliata nel libro citato. Nel finale si domanda se si intravede qualche cosa che possa sostituire il meccanismo del Minotauro Globale, ora azzoppato dalla crisi del 2008, ma a questa domanda non c'è risposta in questo sistema dove la Cina sta assumendo un ruolo rilevante. 

I temi e argomenti del libro non sono nuovi, anzi ne abbiamo trattato ampiamente in questo blog, resta comunque un libro, come detto all'inizio, piacevole e interessante da leggere.

sabato 27 aprile 2024

Daron Acemoglu- James A. Robinson- La strettoia- Come le nazioni possono essere libere

Il libro che recensisco oggi è  di Daron Acemoglu, professore di Economia al MIT di Boston e James A. Robinson che insegna alla Harris School della Università di Chicago. Del primo abbiamo gia recensito qui e qui altri due libri.
Il libro parte dalla filosofia di Hobbes per cui, per evitare la guerra tra gli uomini (Homo hominini lupus), era necessario un potere dispotico il cosiddetto Leviatano. L'altra forza che gli autori considerano è quella della società, questo potere può controbilanciare il potere del Leviatano, cioè lo Stato, creando il cosiddetto Leviatano incatenato, questa è la configuazione delle democrazie dove i due poteri si bilanciano. Esiste un altro meccanismo che gli autori espongono, con una citazione letteraria da Alice nel paese delle meraviglie, la coisddetta Regina Rossa cioè, visto che le situazioni economiche e sociali si modificano, Stato e società devono adattarsi di pari passo per evitare che l' equilibrio si modifichi. 
La strettoia è lo stretto corridoio di equilibrio tra potere dello Stato e della società che conduce alla democrazia, stretto perchè è difficile imboccarlo e facile uscirne. Il libro quindi è un lungo elenco di storie di evoluzione politica e istituzionale di svariati paesi che vengono portati ad esempio dei vari equilibri che si creano  tra le due forze in gioco. 
Vengono quindi elencate le storie dei paesi che sono riusciti ad arrivare al Leviatano incatenato, cioè laddove la societa è  riuscita a imbrigliare il potere dello Stato, in questa fattispecie rientrano principalmente le democrazie occidentali. Esistono molti casi invece dove predomina il Leviatano dipostico, dove la forza dello Stato domina sulla società, gli esempi non mancano, ad esempio la Cina, dove la tradizione di autoritarismo non è mai riuscita a far emergere una forma di democrazia.  Abbiamo poi casi di Leviatano assente, cioè dove non si creano le condizioni per la costruzione di un vero Stato abbastanza forte, situazioni che degenerano spesso in forme di dipotismo. Infine, viene citato il caso del  Leviatano di carta, vedi ad esempio Argentina, dove anche esiste uno Stato e una burocrazia, ma è un potere vuoto incoerente e disorganizzato e spesso assente in alcune aree del paese. Il libro è quindi una dettagliata storia di molti paesi con le loro caratteristicche e le loro traiettorie che li hanno portati alla configurazione attuale. In particolare viene dato rilievo allo state-building negli Stati Uniti, dove il Leviatano è incatenato con una Costituzione che mantiene debole lo Stato federale, un compromesso che ha funzionato ma ha portato ad uno sviluppo squilibrato. Un altro caso interessante è l'India dove abbiamo una democrazia, grazie a una lunga storia di  partecipazione popolare, ma una democrazia problematica e frammentata resa debole dal sistema delle caste. Entrare o uscire dalla strettoia dipende da molte circostanze, storiche ed economiche, un esempio è la caduta della Repubblica di Weimer per motivi strutturali ma anche economici.
Per gli autori non ci sono regole generali per entrare nel corridoio che porta al Leviatano incatanato, dipende da molti fattori, storici, strutturali, economici e sociali che dipendono fortemente dal contesto locale. Sicuramente una condizione per il mantenimento nella strettoia è una società in grado di mobilitarsi per rispondere efficacemente alle variazioni economiche e sociali, per questo gli autori danno enfasi alla tutela dei diritti dei cittadini contro tutte le minacce dello Stato. 
Un libro molto interssante e ovviamente ricco di informazioni storiche su uno spettro molto ampio di nazioni. A mio parere il voler raccogliere così tanti esempi lo rende sicuramente più completo ma lo rende poco scorrevole e faticoso da leggere. Sicuramente questo libro può essere considerato una continuazione di quanto viene riportato nell'altro libro: Perchè le nazioni falliscono
Alcune considerazioni sulla teoria esposta, sicuramente è una teoria interessante, non del tutto nuova, ma piuttosto approfondita. Come tutte le teorie cerca di trarre conclusioni sintetiche da un modello semplificato del funzionamento della società. A mio parere quello che manca, in parte, nella loro teoria è un elemento molto importante, ovvero il potere delle èlite economiche, finanziarie e tecnologiche, che io nei miei post ho definito come potere del mercato, vedi ad esempio qui. In effetti nel corso del libro il loro ruolo delle èlite viene evidenziato, ad esempio delle èlite latifondiste, che sono state spesso un freno allo sviluppo democratico della società, o le èlite coloniali che hanno condizionato lo sviluppo di molte nazioni ex-colonie. Inoltre, in questo momento sono molto forti le èlite tecnologiche, i grandi player come Google, Facebook, Amazon ecc., e  come evidenziato da Acemoglu nel suo libro Power and Progress le scelte tecnologiche, molto importanti nel modellare la evoluzione della società, sono definite dalla visione dominante e tendono a rinforzare il potere e lo status di coloro che stanno modellando la traiettoria della tecnologia. Quindi manca nel libro una evidenziazione di una componente importante nella evoluzione di una nazione, cioè il potere del mercato e delle èlite di qualsivoglia natura. Nel libro mancano alcune indicazioni sulle modalità per avere una società pronta a mobilitarsi. Su questo punto penso che molto si potrebbe fare  sul piano istituzionale aumentando le possibilità dei cittadini di partecipare alla politica, superando il mero sistema elettorale rappresentativo, che sta mostrando i suoi limiti per effetto del sistema di cattura esercitato dalle lobby economiche, aumentando anche le possibilita e modalità dei cittadini di aggregarsi ed esprimere le proprie opinioni. Infine, dando maggiore visibilità e potere alle organizzazioni come le ONLUS sociali e recuperando il ruolo dei sindacati.

mercoledì 27 marzo 2024

Il futuro dell'Europa

 La guerra in Ucraina, ma anche la crisi mediorientale tra Israele e palestinesi, sta mostrando l'estrema debolezza dell'Europa, senza una politica estera e un esercito comune siamo dipendenti dalle scelte o non scelte degli USA. Rispetto alla guerra fredda il mondo è cambiato, la Cina è  assurta a potenza mondiale commerciale e politica, sta crescendo l'India, paese più popoloso del mondo, inoltre vediamo rigurgiti imperialisti russi. 
Gli Stati Uniti sono in difficoltà, se non altro perché alle elezioni presidenziali si sfideranno due candidati deboli o discutibili lasciando al comando della potenza, ancora leader mondiale, un presidente comunque problematico. Noi europei siamo al palo da parecchio tempo e sarebbe ora di decidersi. Nessuno ci obbliga a fare una federazione europea, nel mondo ci sono centinaia di stati che vivono benissimo da soli. Se vogliamo fare una federazione con l'intento di avere un maggior peso nello scacchiere geopolitico mondiale però dobbiamo cambiare approccio. In politica è in economia non vale la regola commutativa, cioè che invertendo l'ordine dei fattori il prodotto non cambia, anzi la storia è spesso come si dice path dependent. Errori ne abbiamo fatti, era sbagliato partire dalla unione monetaria, non lo dico io ma molti, è stato affrettato allargare cosi tanto la UE  creando una struttura ingestibile. Quindi, se si vuole proseguire, bisogna cambiare strategia, la moneta unica ha senso se la BCE ha gli strumenti e quindi serve anche  un debito comune per avere un budget degno di questo nome. Serve un ministro europeo per la politica estera con delega, così come serve un esercito europeo e un ministro della economia europeo. Ciò significa delegare alle Europa alcune funzioni diminuendo la sovranità nazionale e in ogni caso per fare ciò bisogna partire da un numero ristretto di nazioni. C'è la volontà politica di fare questo? Non mi sembra, a nessuno piace delegare e il nazionalismo è sempre forte, certe rivoluzioni necessitano o di gravi emergenze o leadership forti e illuminate. Certo che rimanere in mezzo al guado non serve, se la Francia smettesse di guardare alla Germania, strategia che non ha pagato, ma guardasse più verso il mediterraneo, Spagna e Italia, potrebbe essere l'inizio di un cambiamento, Macron ha perso l'occasione difficile che il prossimo si ravveda.

mercoledì 20 marzo 2024

Robert J. Shiller- Economia e narrazioni- Come le storie diventano virali e guidano i grandi eventi economici.

 Questo è l'ultimo libro di Robert Shiller, economista e premio Nobel di cui abbiamo recensito un altro libro: Phishing for Phoolos. Il libro tratta della importanza delle narrazioni nella economia. Le narrazioni, o meglio le costellazioni di narrazioni, hanno avuto importanza nella storia dell'uomo e quindi anche sulle vicende economiche. Le narrazioni economiche sono come le epidemie crescono lentamente poi raggiugono un picco per poi tendere a scomparire. L'autore riporta poi una serie di principi che regolano le narrazioni economiche. Nella seconda parte elenca e fa la storia delle principali narazioni economiche che hanno preso piede nell'ultimo periodo. Tra queste narrazioni citiamo: panico e fiducia, frugalita' vs consuno vistoso, gold standard vs bimetallismo, macchine e automazione che riduono il lavoro, bolle immobiliari e finanziarie. 
Le conclusioni dell'autore sono che sicuramente le narrazioni hanno importanza in economia, anche se la relazione tra queste e l'andamento economico è complesso, pertanto lo studio delle narrazioni andrebbe maggiormente indagato dagli economisti. 
Un libro interessante come argomento, con dettagliate ricostruzioni storiche che comunque risulta non  facilmente leggibile; a mio parere un libro molto meno riuscito dei precedenti di Shiller.



mercoledì 13 marzo 2024

Dani Rodrik- One Economics Many Recipes- Globalization, Institutions, and Economic Growth

 Dell'autore, Dani Rodrik professore di Economia Politica Internazionale presso la Università di Harvard, ne abbiamo parlato spesso in questo blog recensendo articoli e libri, diciamo che è uno dei miei autori preferiti.
Il libro che recensisco oggi non è recente, infatti  è del 2007 ma è comunque un libro importante. Di  fatto contiene molti degli argomenti che verranno sviluppati nei suoi successivi libri: La Globalizzazione Intelligente (The Globalization Paradox) e Dirla tutta  sul mercato globale (Straight Talk on Trade). A differenza dei due citati è un libro meno unitario, infatti si tratta di insieme di pubblicazioni e articoli tecnici, pertanto è anche meno dedicato al grande pubblico. 
Il primo capitolo è dedicato alla crescita dei paesi meno sviluppati e contiene dati relativi agli ultimi 50 anni. Le conclusioni sono che il menù di soluzioni per la crescita è molto ampio, le ricette che funzionano meglio sono quelle che si adattano al contesto locale. Non esiste un unica forma di istitutuzioni che funziona. Non sempre le soluzioni che funzionano sono quelle che prescrive la ortodossia economica, spesso le riforme migliori sono quelle che combinano scelte ortodosse e non ortodosse. Comunque per far partire la crescita non servono delle riforme estensive ma ne bastano alcune mirate, mentre una crescita sostenuta e continuativa è molto piu complicata da ottenersi, e una crescita nel breve non garantisce una crescita nel lungo. Una crescita a lungo termine necessita lo sviluppo di istituzioni che mantengano un produttivo dinamismo e generino resilienza agli shock esterni.
Il secondo capitolo rigurda la cosiddetta diagnostica della crescita, cioè la strategia per comprendere le priorità politiche. Una economia che non performa ha sicuramente delle imperfezioni e distorsioni di mercato. In presenza di molte distorsioni, riforme estensive in ogni area molto probabilmente falliscono, pertanto è meglio concentrarsi sulle distorsioni prevalenti e, quindi, focalizzarsi su quelle riforme dove, ragionevolmente, gli effetti diretti sono maggiori e verso i fattori che maggiormente limitano  la crescita. Segue un analisi dettagliata delle caratteristiche di alcuni paesi del Sud America dove si evidenziano le differenze sui fattori critici quali ad esempio: limitati risparmi, scarsi investimenti, alte tasse, macroinstabilità ecc., che limitano la crescita. 
Un capitolo è dedicato alle politiche industriali. La natura delle politiche industriali dovrebbe presentare la caratteristica di essere complementare alle forze di mercato. Il modello corretto di politica industriale dovrebbe prevedere una collaborazione strategica tra il settore privato e il governo con lo scopo di scoprire i maggiori ostacoli allo sviluppo e nel determinare gli interventi che possano rimuoverli. Va detto che la innovazione è limitata nei paesi in via di sviluppo piu dalla domanda che dalla offerta. Inoltre, l'assenza di opportunità economiche deprime i ritorni sull'investimento educativo. La specializzazione, secondo la teoria dei vantaggi comparati, dovrebbe essere un elemento essenziale dello sviluppo, anche se, ovviamente, la diversificazione ha molti vantaggi e diventa indispensabile con lo sviluppo. La diversificazione comunque non è un processo naturale ed è difficile che si verifichi senza l'intervento della azione pubblica. La diversificazione richiede la "scoperta" di nove attività,  queste attività per gli imprenditori prevedono costi privati ma comportano guadagni sociali (esternalità),  per questo dovrebbero essere favorite. La scoperta di nuove attività per la esportazione, per alcuni autori è positivamente connessa alle barriere alla entrata; si rivela utile anche sussidiare gli investimenti in nuove industrie e forme di protezione dal commercio.
Un altro problema è che gli investimenti su larga scala hanno grandi costi fissi, diventa quindi importante coodinare le decisioni di investimento e produzione di diversi imprenditori, in generale le nuove tecnologie richiedono qualche forma di supporto pubblico. Questo spiega perchè spesso lo sviluppo industriale nelle economie in via di sviluppo richiede assistenza governativa. Ovviamente ci sono molte controindicazioni che la letteratura economica pone all'intervento del governo. Per l'autore ci sono comunque alcuni elementi essenziali affinchè le politiche industriali funzionino:
  • gli incentivi dovrebbero andare principalmente a nuove attività;
  • ci dovrebbero essere dei chiari criteri di benchmark per valutare le attività sussidiate;
  • ci deve essere un tempo limite agli aiuti;
  • il supporto pubblico deve essere rivolto ad attività e non a settori industriali;
  • le agenzie pubbliche incaricate devono avere competenze e essere ben in contatto con il privato;
Pertanto, nonostante le restrizioni che vengono poste da piu parti alle politiche industriali (es. WTO), è difficile pensare che possano sparire dall'orizzonte dei decisori politici.
Un ulteriore capitolo è dedicato alle istituzioni per la crescita. In primo luogo l'autore ribadisce che i mercati hanno bisogno del supporto delle istituzioni non di mercato, una economia di mercato è di fatto anche integrata con le istituzioni di non mercato. Inoltre, gli investimenti sono importanti per lo sviluppo, e gli investimenti sono sensibili agli incentivi e tali incentivi potrebbero non funzionare senza adeguate istituzioni. Una definizione generale di istituzioni potrebbe essere: un insieme di regole di comportamento che governano e modellano le interazioni degli esseri umani.  Le istituzioni che contano sono: i diritti di proprietà stabili e sicuri, istituzioni regolatorie del mercato, istituzioni per la macrostabilità economica e per la assicurazione sociale  e, infine, istituzioni per la gestone dei conflitti. Una prima conclusione è che le forme istituzionali non sono determinate in maniera univoca. Un altro aspetto importante è che le istituzioni devono essere sviluppate localmente piuttosto che da un approccio top down, cioè imposte. Da una serie di dati su moltissime nazioni emerge poi che le istituzioni democratiche producono maggiore crescita nel lungo termine, una maggiore stabilità nel breve e resistono meglio agli shock e, infine, sono migliori dal punto di vista dell'equità distributiva. In conclusione non serve una trasformazione su larga scala per innescare la crescita ma basta anche un set minimo di cambiamenti, ovviamente per la crescita sostenuta nel tempo sono necessarie invece solide istituzioni.
L'ultima parte del libro è dedicata alla globalizzazione, che come sappiamo pone opportunità e sfide, da una parte la espansione del mercato ha consentito ad alcune economie di svilupparsi, d'altra parte ha posto difficoltà agli Stati nel finanziarsi le reti di sicurezza sociale. Ciò lo porta ad un abbozzo di quello  che sarà poi il famoso trilemma, cioè la impossibilità di avere contemporanemante una autonomia nazionale, una economia integrata a livello internazionale e  politiche democratiche. 
Di fatto le regole del gioco della economia globale hanno ristretto le possibilità di influenza dei movimenti popolari e le politiche attuabili a livello nazionale. Il regime di  Bretton Wood-GATT aveva rimosso alcuni restrizioni sul commercio ma mantenuto alcune restrizioni sui flussi di capitale, il sistema è stato via via abbandonato anche perchè le innovazioni delle comunicazioni e dei trasporti hanno reso la globalizzazione più estesa e facile.  D'altra parte, mentre si espandono in sempre maggiori aree le regolamentazioni sul commercio e sulla finanza, dovrebbero essere parimenti rinforzati i meccanismi di opzione di uscita temporanea dai regimi stabilti, per dare maggiori possibilità di azione ai policy-makers nazionali. Quello che auspica l'autore è una forma di federalismo globale che sappia coniugare tradizionali forme di governance locale  con istituzioni regolatorie multilaterali e standard internazionali. Promuovere lo sviluppo non è sinonimo di massimizzazione del commercio come vorrebbe il WTO, infatti non c'è nessuna evidenza convincente che la liberalizzazione del commercio sia associata con il conseguente sviluppo. La integrazione economica è più un esito auspicabile che un pre-requisito, il raggiungimento di un certo volume di scambi dipende da molte cose e, soprattutto, dalla performance generale della economia. Nessuna economia si è sviluppata semplicemente aprendosi al commercio e a investimenti esteri, anzi gli esempi di India e Cina mostrano che le riforme del commercio hanno avuto luogo una decade dopo la crescita e molte restrizioni sono rimaste. Le nazioni devono avere la opportunità di massimizzare i vantaggi e minimizzare i rischi nella partecipazione alla economia mondiale, e non bisogna sottovalutare la importanza del ruolo dello Stato nel processo di trasformazione economica. Anche gli Stati sviluppati hanno altresì il diritto di proteggere le loro organizzazioni sociali (welfare, leggi sul lavoro, ecc.). In sintesi le conclusioni sono: il commercio non è un fine a se stante, le regole del commercio devono permettere le diversità tra le istituzioni nazionali, le nazioni non democratiche non possono avere gli stessi privilegi di quelle democratiche e, infine, le nazioni devono avere il diritto di proteggere le proprie istituzioni e le proprie priorità di sviluppo.
Come si evince dalla sintesi è un libro molto ricco di informazioni e dati, in cui le tesi sono corroborate dalle evidenze di studi approfonditi. Ovviamente c'è nel libro molto di più di quanto sintetizzato da me, è un libro dunque interessante per chi vuole approfondire le tematiche affrontate: sviluppo, politiche industriali,  globalizzazione, accordi commerciali. Un libro non proprio dedicato al grande pubblico ma molto chiaro nella esposizione dei concetti.

martedì 5 marzo 2024

Carl Benedict Frey- The Technology Trap - Capital, Labor, and Power in the age of automation

 L'autore, Carl Benedict Frey, è un economista di origine svedese e tedesca che insegna Intelligenza Artificiale e Lavoro presso la Univeristà di Oxford. Il libro è una approfondita dinamica della evoluzione tecnologica e delle sue ricadute sociali a partire dalla prima Rivoluzione Industriale.
 La creatività tecnologica è esista in qualche forma nel passato, un esempio è lo sviluppo della agricoltura, tuttavia la crescita economica sostenuta si è avuta  solo negli ultimi secoli a partire dalla Rivoluzione Industriale in Gran Bretagna. Di fatto le innovazioni tecnologiche servivano per scopi pubblici piuttosto che privati e avevano pertanto un limitato impatto economico, c'era un clima politico e culturale poco propenso allo sviluppo indistriale. I progressi tecnologici durante il Medio Evo spinsero i commerci piuttosto che risparmiare lavoro. Anche il Rinascimento, epoca di idee tecniche, fu piena di immaginazione ma poco di realizzazioni pratiche. Le elìte avevano in realtà come priorità la massimizzazione della occupazione per evitare sollevamenti sociali. La difficoltà ad innescare lo sviluppo tecnologico è dovuta fondamentalmente ad un suo mancato supporto; la innovazione è rischiosa e i mercati per le innovazioni sono inizialmente locali e piccoli. Inoltre, la innovazione tecnologica richiede una base scientifica e le istituzioni proibirono piuttosto che incoraggiare le innovazioni. I primi segnali di cambiamento avvennero in Gran Bretagna, con lo sviluppo dei commerci atlantici si rafforzò il potere dei mercanti e  si iniziò a intravedere uno sviluppo industriale, le prime fabbriche furono infatti gestite dai mercanti. Lo spostamento di potere dalla corona al Parlamento comportò una maggiore salvaguardia degli interessi mercantili e industriali. La macchina a vapore fu infatti un derivato della ricerca scientifica anche se arrivò  tardi nel processo di industrializzazione, ci vollero comunque circa 100 anni per veder pienamente all'opera la Rivoluzione Industriale. Inizialmente i  vantaggi  della Rivoluzione Industriale andarano solo a vantaggio dei pionieri dell'industria. Le condizioni dei lavoratori non migliorarono, anzi all'inizio peggiorarono. I guadagni degli artigiani svanirino perchè sostituiti da lavoratori meno skillati (anche ragazzi) pertanto montò  la protesta dei luddisti che non ebbe successo. La protesta non funzionò perchè le elìte dominanti presero le parti degli innovatori, anche perchè la diffusione delle macchine accresceva il potere competitivo del commercio britannico. Fu solo successivamente che la Rivoluzione Industriale portò dei vantaggi ai lavoratori, lo sviluppo tecnologico crescente richiedeva lavoratori piu qualificati che, grazie ai sindacati, gradualmente ottennero aumenti salariali e miglioramenti delle condizioni lavorative. Le tecnologie divennero di tipo "abilitante" quindi con la creazione di nuove attività. La elettricità e il motore a combustione furono poi le tecnologie "general purpose" che condizionarono ogni aspetto della industria. Dal sistema della fabbrica si passò quindi allla produzione di massa. Inoltre, la elettrificazione modificò la organizzazione della produzione e rese piu salubri gli ambienti lavorativi. La caratteristica della Seconda Rivoluzione Industriale fu la meccanizzazione delle abitazioni. La elettrificazione rivoluzionò le case ed il lavoro delle casalinghe. La automobile cambiò la faccia del Nord America ed i moto veicoli trasformarono anche la agricoltura. La automobile divenne la piu grande industria nel 1940 e i motoveicoli furono quelli che generarono maggior lavoro di tutte le altre tecnologie.  Il periodo che va dal 1870 al 1980 circa si caratterizza come un periodo di migliormento delle condizioni dei  lavoratori con un aumento dei salari che tennero  il passo della produttività e con una crecita lenta e costante della classe media. Tutto ciò si deve al maggior potere contrattuale dei lavoratori, ad una tecnologia che crea nuovi lavori per lavoratori sempre piu skillati e l'aumento della scolarizzazione. Questo fenomeno tende ad invertirsi a partire dal 1980, in particolare aumenta la domanda di lavoratori particolarmente skillati e quindi in parte un fallimento del sistema educativo che non riesce a tenere il passo. Il periodo della automazione è distinto da quello della meccanizzazione, la tecnologia tende a diventare sostitutiva facendo sparire tutta una serie di attività ora automatizzabili; le macchine controllate dal computer tendono a ridurre la necessità di un certo tipo di addetti. Purtroppo si assiste allo spostamento da lavori piu pagati a lavori nei servizi, non automatizzabili, meno pagati, di fatto riducendo la classe media. L'automazione ha diminuito il lavoro per alcuni blue collars che facevano parte della classe media. Di fatto la produttività aumenta ma non aumentano i redditi da lavoro. La sparizione di certi tipi di lavoro ha comportato il peggioramento delle condizioni di vita in alcune zone degli USA peggiorando le condizioni delle famiglie e le possibilità di mobilità sociale (i luoghi contano), facendo crescere le differenze tra le comunità.
Dato che una diffusa classe media è un pilastro per ogni democrazia, la riduzione di essa ha avuto dei profondi effetti sulla politica. Nel passato l'allargamento della classe media è stato fondamentale per un aumento della democrazia e del welfare, le profezie marxiste non si sono avverate per la trasformazione di una buona parte del proletariato in classe media. La crescita delle ineguaglianze ha reso il sistema politico meno reattivo alle esigenze dei cittadini ordinari, la politica si è cosi polarizzata, minando la leggittimità della democrazia. I lavoratori hanno perso influenza e i lavoratori meno skillati sono divenuti sempre piu staccati dai principali partiti. Le tensioni razziali non sono diminuite tra le classi meno istruite, così anche se la teconologia, soprattutto, e la globalizzazioĺne hanno grandemente contribuito alla perdita di lavoro, la immigrazione è stata facilmente indicata come causa per opportunità politica. Le difficoltà economiche sono quindi una sicura causa degli spostamenti degli orientamenti di voto soprattutto in alcune zone degli USA. Il futuro non è scritto ma la teconolgia della IA (Intelligenza Artificiale) che sta facendo balzi in avanti,fa prefigurare scenari di ulteriore diminuzione delle opportunità lavorative per lavoratori a basso e medio skill. Gli studi prevedono che la IA potrebbe mettere a rischio una grande parte dei lavori a basso skill e bassa formazione; è probabile che i tempi siano lunghi per la sostituzione di molti lavori ma sul lungo periodo il problema si pone creando le basi per un ulteriore divisione tra vincenti e perdenti. La sfida quindi è soprattutto politica nella gestione della innovazione e sulle sue ricadute sociali. Pertanto l'autore elenca una serie di interventi che si dovranno prevedere: un maggior investimento dei governi nella educazione in particolare dei giovani e nella ri-formazione degli adulti, prevedere delle assicurazioni sul salario per garantire le possibilità di mobilità lavorative, forme di integrazione salariale o tax credit per chi è in difficoltà economiche, diminuire le barriere ai cambiamenti di lavoro, sussidi per la ricollocazione abitativa, rimuovere le   barriere alla espansione edilizia delle città in espansione lavorativa, investimenti in infrastrutture di mobilità per ridurre i costi abitativi.
Nel complesso un libro molto ben scritto e contenente molte informazioni, sui vari argomenti elenca con chiarezza studi e lavori a favore delle varie tesi, quindi ben documentato. Insieme al precedente libro di Acemoglu Power and Progress da una corretta visione della evoluzione tecnologica e da una visione del progresso tecnologico meno ottimistica, anche se il libro di Acemoglu giustamente metteva in evidenza il fatto che gli effetti della evoluzione tecnologica dipendono dai rapporti di potere. 
Aggiungo qualche mia considerazione, il progresso tecnologico è stato il motore della crescita del benessere e, fino ad oggi, ha garantito un miglioramento delle condizioni di vita di molti, ma non cè dubbio che negli ultimi trent'anni nei paesi sviluppati ci sia stato un aumento delle disuguaglianze, una concentrazione di ricchezza e di potere,  e una riduzione della classe media con le sue conseguenze politiche. 
Se il capitalismo si è salvato, sino ad esso dalle fosche previsioni di Marx, sviluppate quando le condizioni dei lavoratori erano terribili, è perchè le condizioni del lavoratori sono migliorate sia dal punto di vista lavorativo sia economico. Se il capitale continuerà ad avere la meglio sul lavoro come sta succedendo, si pone un problema direi keynesiano, cioè se diminuiscono i redditi da lavoro chi crea la domanda effettiva per la offerta sempre più automatizzata? La risposta a questo è stata la crescita delle spese statali e il welfare  che però sono in difficoltà per la sempre maggior elusione  fiscale dei ricchi e delle imprese. Quindi  se le elìte fossero illuminate capirebbero che ci vuole una maggior uguaglianza e maggior redistribuzione della ricchezza a meno che non vogliano rivedere rinascere lo spettro delle previsioni marxiste della crescita e impoverimento dell' esercito dei lavoratori di riserva con tutte le conseguenze del caso.