mercoledì 1 giugno 2016

Il difficile equilibrio tra mercato, Stato e democrazia


Qual'è la situazione più favorevole per il benessere e sviluppo di una nazione? Domanda difficile a cui oggi cercherò di rispondere. 
La storia ci ha mostrato che le nazioni che sono riuscite a progredire in termini di sviluppo economico e di benessere, per la maggioranza della popolazione, sono quelle che hanno saputo coniugare il mercato con lo Stato per mezzo della democrazia, ovvero a raggiungere un delicato equilibrio tra questi tre elementi. In altre parole ancora quelle società che sono riuscite a contemperare la esigenza della libertà individuale e di impresa, con la necessità di salvaguardare il benessere complessivo della società
Ma andiamo con ordine. I tentativi di società totalitarie di traguardare obiettivi di crescita sostenuta ed un livello di reddito pro capite elevato sono miseramente falliti. Non nego che una società non democratica possa incrementare, nel breve, il benessere di una società e realizzare un primo grado di sviluppo, i fatti dimostrano che nel lungo periodo non ci riescono. Alcuni esempi: il sistema della ex URSS e anche la Cina hanno consentito di portare nazioni prevalentemente agricole a società industrializzate, con elevati costi sociali. Raggiunto un certo stadio non sono comunque riuscite  ad estendere i benefici a tutta la popolazione e la crescita è rimasta limitata in termini di PIL; infatti la ex Urss si è dissolta mentre la Cina, pur rimanendo un regime centralizzato, sta evolvendo verso un sistema misto, dove comunque c'è una certa libertà di impresa e di localizzazione delle scelte, anche se non sappiamo dove condurrà questo percorso. Ho citato sistemi totalitari marxisti, ma se prendiamo la Spagna franchista mi sembra evidente che l'economia ha cominciato a crescere in maniera significativa da quando si è avviata alla democrazia. 
D'altra parte, le nazioni ove generalmente si è avuto più sviluppo e godono di un maggior PIL pro capite sono quelle che hanno implementato la democrazia con un economia di mercato, con gradi diversi di intervento dello Stato nell'economia, ma comunque con uno Stato importante (Negli stessi Stati Uniti non si può far finta di negare il ruolo dello Stato sia nelle spese militari, con le sue ricadute sulle imprese e la tecnologia, sia nella ricerca di base, ecc.). 
Il problema è che questo equilibrio non è facile da raggiungere e, come tutti gli equilibri, nel tempo è difficile mantenerlo perché cambiano le condizioni. Se l'equilibrio tende, come sta succedendo negli ultimi decenni in quasi tutto l'occidente, dalla parte del mercato la democrazia si indebolisce. Infatti l'aumento della globalizzazione ha reso più deboli i lavoratori e le organizzazioni sindacali, ricattati dalle minacce di delocalizzazioni e dal "dumping" salariale dei paesi in via di sviluppo, con conseguente diminuzione della quota lavoro sul totale del reddito e una sempre maggiore diseguaglianza di reddito e ricchezza. Inoltre, visto che uno dei ruoli più importanti dello Stato è quello di regolare il mercato, quello che succede è che le forze economiche e finanziarie riescono a condizionare le regole a loro favore, portando a un "capitalismo truccato", dove le redistribuzioni di ricchezza non avvengano dall'alto al basso ma viceversa. 
Gli Stati nazionali, che avevano svolto il ruolo di mediazione tra le forze sociali, hanno visto ridotte le possibilità di agire, anche qui minacciate dalla finanza internazionale e globalizzata che stabilisce le regole, pena il rischio di mettere in crisi il paese. Viceversa negli Stati dove il ruolo dello Stato è troppo forte, stati totalitari o di tipo peronista/populista, la democrazia è imbrigliata e anche  la crescita dell'economia è limitata e il benessere non è diffuso e in mano alle oligarchie. 
In ogni caso, come si vede, non è facile stabilire un equilibrio e mantenerlo. Una delle prime cose da ammettere è che sostenere che il mercato si autoregola è un pericoloso "mito", come dice Stiglitz: "Il capitalismo può essere forse il miglior sistema economico inventato finora dall’uomo, ma nessuno ha mai detto che avrebbe creato stabilità". 
Un altro mito da sfatare è che il libero commercio sia sempre positivo, le teorie del commercio internazionale ci dicono che ci sono vincitori e vinti e, se guardiamo alla storia, le nazioni sviluppate sono state protezioniste a lungo (vedi post su Cattivi Sammaritani). Per quanto riguarda la democrazia, che non è retoricamente il "governo del popolo", ma propriamente un metodo, cioè il modo con cui, tramite le elezioni, gli elettori possono scegliere e cambiare chi governa. Pertanto è importante la possibilità degli elettori di essere informati e consapevoli e, inoltre, è necessario un sistema istituzionale adeguato ma che sia sempre in grado di adattarsi ai mutamenti sociali, economici e anche tecnologici. Quindi una delle condizioni della democrazia è la crescita culturale di un paese, tanto più i cittadini sono capaci di comprendere i difficili processi di una democrazia e quanto più divengono consapevoli dell'importanza di essere informati e partecipi. Altro punto dolente di alcune democrazie è l'informazione, quanto meno l'informazione è libera e indipendente tanto peggio  è per la democrazia; su questo punto in Italia non siamo messi benissimo con la carta stampata spesso soggetta a potentati economici e la informazione televisiva sotto il controllo del potere politico di turno.  
La democrazia quindi non è un punto di arrivo, ma è un costante lavoro di adattamento alla evoluzione della società e richiede un costante impegno da parte dei cittadini di controllare ed essere vigili. (Sul tema vedi anche il post su Perchè le nazioni falliscono)

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