L'autore del libro, Jamie Susskind, ha studiato storia e politica alla Università di Oxford e si è laureato in Giurispudenza ad Harvard, esercita la professione di avvocato e questo è il suo secondo libro.
Il tema del libro è il potere incontrollato dei giganti digitali, che hanno lo straordinario potere di modellare il carattere morale della società e che operano al di fuori dei canali tradizionali della politica. La crescita del potere digitale non è stata accompagnata dalla corrispondente crescita della responsabilità legale, una crescita veloce e quasi inarrestabile. L'autore, quindi, nel corso del libro cerca di mostrare le linee guida di quello che definisce repubblicanesimo digitale per contenere il potere della tecnologia digitale, i cui principi di base sono: la legge deve preservare le istituzioni di base necessarie per una società libera, la legge deve ridurre il potere della tecnologia digitale, la legge deve assicurare che la tecnologia rifletta i valori civici e morali delle persone, la legge deve assicurare che le leggi e regolamentazioni dello Stato siano le meno intrusive possibili. Questi principi rappresenterebbero un cambiamento di direzione rispetto a quello che l'autore definisce individualismo di mercato.
La tecnologia può cambiare il nostro comportamento tramite il condizionamento, inoltre può modificare la nostra visione del mondo, infatti gli umani sono vulnerabili alle influenze cognitive, inoltre le cose negative tendono a catturare la nostra attenzione più delle cose neutre o positive. Ogni scelta di fornire una determinata informazione è anche spesso una scelta di negare un altro tipo di informazione. In particolare il potere digitale si esplica in diverse forme: il potere di dettare le regole che gli altri devono seguire, il potere di controllare, il potere di condizionare come le persone vedono il mondo e il potere di modellare le modalità di deliberazione democratica.
Una prima falsa credenza (fallacia della neutralità) è che un algoritmo tratti tutti allo stesso modo, anche perchè neutralità non è giustizia. Un altro problema è quella che l'autore definisce ideologia computazionale, cioè trattare tutte le persone come meri dati che rischia di violare il principio che ogni persona conta.
Il potere è principalmente politico ed è permeato di valori, pregiudizi e ideologie. Il mercato fornisce il potere alle imprese tecnologiche a spese dei consumatori, per questo i problemi che sorgono dalle tecnologie digitali non possono essere curati dal mercato, come pure i problemi del mercato non possono essere curati con la tecnologia. Alcune delle questioni sollevate dalla tecnologia sono così importanti e così intrinsecamente politiche che devono necessariamente essere soggette al dibattito democratico.
Uno dei problemi che viene evidenziato è la trappola del consenso, cioè che siamo continumente esposti a dare consensi su cose che non abbiamo il tempo ne le capacità di valutare, cioè siamo lasciati soli a negoziare i termini di impegno con i servizi digitali. Il problema fondamentale non è che non ci siano leggi ma che queste tendano a far decidere al business in maniera autonoma.
In sintesi la tecnologia digitale esercita un potere, e la tecnologia non è neutrale e infine che questa tecnologia viene gestita in accordo principalmente con le logiche di mercato. Pertanto, il repubblicanesimo digitale deve avere alcuni principi il primo dei quali è di essere teso alla sopravvivenza dello stato democratico (preservation principle). Il secondo principio è il domination principle ovvero ridurre il potere senza controllo della tecnologia digitale. Il terzo principio è il principio di democrazia, cioè che il disegno e sviluppo delle tecnologie digitali deve riflettere, per quanto possibile, i valori morali e civici dei cittadini. Infine, l'ultimo principio è che qualsiasi sistema di governance deve porre limiti al potere dello Stato (parsimony principle).
In ogni democrazia, poi, sarebbe utile avere un organismo dedicato a pensare sistematicamente al futuro della tecnologia. In primo luogo sarebbero necessari degli organismi deliberativi pubblici di cittadini eletti a sorte con il compito di rispondere a questioni di principio sulle tecnologie digitali. Anche se esistono dei diritti individuali questi possono avere dei limiti quando i danni sono collettivi, per cui si rendono necessari dei rimedi collettivi tramite il rafforzamento collettivo degli standard e delle regole. Abbiamo fondamentalmente bisogno di contropoteri che limitino la sfida che pongono le tecnologie digitali. Ad esempio dovremmo avere degli organismi arbitrali di esperti indipendenti dallo Stato e dalle compagnie private. Sarebbero necessari anche dei meccanismi di certificazione come esistono in altri ambiti. Inoltre, sarebbe necessario promuovere la cultura per la quale chi prende importanti decisioni, in ambito tecnologico, sia obbligato a pensare attentamente alle responsabilità sociali. E' importante avere, inoltre, organizzazioni che abbiano meccanismi istituzionali per evitare fallimenti etici; ad esempio avere, per le persone che operano in ambito tecnologico, codici di comportamento e meccanismi disciplinari che li responsabilizzino, cioè un coerente sistema di regole e standards.
Per governare la tecnologia è necessario raccogliere informazioni sui sistemi e le imprese, servono comunque esperti. Esite una tensione tra le traparenza e la privacy, e la trasparenza non è una panacea ed esente da rischi. Abbiamo infatti necessità di una maggiore trasparenza nelle tecnologie digitali ma dobbiamo rispettare comunque gli aspetti tecnici e commerciali delle imprese. Un primo problema è la grandezza dei giganti digitali, purtoppo le leggi antitrust sono difficilmente applicabili al contesto digitale. Una politica antirust repubblicana considera sia il benessere del cittadino e sia del consumatore, ma la priorità è quella del cittadino. Governare i dati è qualcosa di più che assicurare la privacy. Il consenso individuale deve essere affiancato da un un sistema di consenso collettivo garantito da una terza parte. Gli algoritmi poi sono troppo importatanti per essere lasciati al mercato poichè spesso hanno un impatto significativo sulle nostre vite, perchè prendono decisioni che sono politiche e morali. Gli algoritmi più rilevanti devono essere dunque allineati con gli standard morali della comunità nel contesto in cui vengono utilizzati.
Le piattaforme dei social media stanno già definendo i confini della libera espressione e decidendo la qualità della deliberazione democratica, queste infatti ordinano, filtrano e presentano le informazioni. La libertà di parola assoluta non è un opzione, alcune restrizioni sono necessarie per preservare una società civile. E' pertanto necessario un bilanciamento tra qualità e quantità di parola. Di fatto le piattaforme social operano per massimizzare i loro ricavi e ciò conduce a risultati nefasti in alcuni casi, esacerbando le divisioni sociali; creando inoltre un sistema privatizzato di discussione che opera attraverso i consumatori piuttosto che i cittadini in accordo con regole mercantilistiche piuttosto che norme democratiche. In un certo modo siamo retrocessi a un livello primitivo di discussione. Attualmente le piattoforme operano nella oscurità pertanto è necessaria una regolazione, come vi è stata negli USA per la radio e c'è attualmente in UK. D'altra parte i social media sono molto differenti dai giornali, infatti i social media collezionano una immensa mole di dati e il mondo dei giornali è molto piu decentralizzato e competitivo. In merito alla libertà di espressione vi è una profonda differenza tra l'approccio europeo e qullo americano, per gli europei la libertà di espressione è un bene comune e non individuale, pertanto deve essere assicurato in pratica il diritto alla libertà di espressione da un sistema di autogoverno. La libertà di espressione deve essere difesa dal dominio dello Stato ma anche a quello del privato. Le proposte per una regolazione delle maggiori piattaforme di social media sono che esse devono mettere in pratica un ragionevole sistema per: ridurre il flusso e la visibilità delle informazioni pericolose, evitare le molestie online, prevenire la interferenza straniera nel processo politico, mitigare gli effetti pericolosi di attività coordinate non autentiche e, soprattutto, incoraggiare la deliberazione civile su materie di importanza pubblica. Infine, le piattaforme social dovrebbero rendere evidenti le loro politiche di moderazione.
Il libro è scritto molto bene con grande chiarezza e mette in evidenza i gravi problemi che sono inerenti alle tecnologie digitali e all'enorme potere incontrollato che le grandi coorporation hanno sulle nostre vite e anche sulla democrazia, pertanto ne consiglio vivamente la lettura. Il libro elenca non solo i principi ma anche molte proposte per limitare il potere e gli abusi delle grandi coorporation digitali. Anche se le proposte possono essere di difficile applicazione rappresentano delle soluzioni ai gravi problemi sollevati. In UE, in particolare, è stato per fortuna emanato il regolamento GDPR, che è un regolamento in materia di trattamento dei dati personali e di privacy, e quindi un certo passo in avanti è stato fatto, mentre negli USA, con l'amministrazione Trump, le cose purtroppo possono prendere una piega completamente diversa, basta vedere le ultime dichiarazioni e mosse di Zuckerberg.
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