mercoledì 22 marzo 2023

Aldo Schiavone - Progresso

Ho appena finito di leggere il saggio breve dello storico italiano Aldo Schiavone sul progresso. Lo storico fa alcune riflessioni sul significato del progresso e, in particolare, si sofferma sul fatto che la fiducia nel progresso degli Illuministi e dei Positivisti poi si sia via via affievolito nel corso del XX secolo, anche in seguito alle due guerre mondiali e agli orrori del Nazismo.

Queste pagine mi spingono a riprendere alcune riflessioni già fatte in alcuni post di questo blog. In primo luogo la teoria economica distingue tra la crescita, ovvero l'aumento del PIL e il vero progresso che si intende una crescita complessiva della società in termini non solo di benessere materiale ma anche di vari altri aspetti culturali, sociali, di libertà individuali ecc.

Ci sono società, ad esempio la Cina che hanno avuto, per fortuna, un enorme crescita economica che ha spinto fuori dalla povertà e miseria milioni di persone, questo è ovviamente un bene ma il progresso della società cinese in termini di libertà democratiche mi sembra molto ridotto rispetto alla crescita economica. La cosidetta "fine della storia" preconizzata da Fukuyama con la vittoria della democrazia ovunque non si è avverata e anche le democrazie più consolidate sono in crisi.

La tecnica e la tecnologia sono il motore del progresso come hanno affermato  Solow e Schumpeter, e tanti miglioramenti nella vita di milioni di persone sono dovute anche ad esse, vedi solo ad esempio il miglioramento nella diagnostica medica con tutti i nuovi mezzi, che permettono di anticipare la scoperta di malattie, fino a qualche decennio fa impensabili o, ad esempio, la chirurgia robotica e altro ancora. Stiamo molto meglio ora di solo qualche decennio fa, basti pensare solo agli antibiotici o come abbiamo reagito alla pandemia pur con tanti errori. Negare questo e aspirare ai bei tempi andati non è giusto e neanche razionale. 

Certo non va tutto per il meglio, come affermava Roegen abbiamo tutti i mezzi per poter far vivere la maggioranza e probabilmente la totalità della umanità in condizioni dignitose e senza miseria, ma questo non accade. I paesi ricchi rimangono ricchi e molti paesi, specie in Africa, e non solo, sono nella povertà. Inoltre, il miglioramento delle condizioni nelle società occidentali, che abbiamo visto nel dopoguerra, è rallentato e probabilmente ha anche invertito la rotta con diseguaglianze crescenti e inaccettabili.

Il problema è che insieme ad una crescita della tecnologia ci deve essere una crescita anche della società, e questo è compito della politica e della democrazia, ma il meccanismo si è inceppato. Ci sono varie ragioni, uno è la globalizzazione che ha ridotto i margini di manovra dei governi nazionali. Un altro motivo è la perdita di presa popolare dei movimenti socialisti e progressiti che si sono allineati troppo pedissequamente alle teorie pro mercato e pro globalizzazione nonostante gli avvertimenti di alcuni economisti (Stiglitz, Rodrik), portando alla disaffezione dei cittadini che non votano più o votano i partiti populisti che, almeno a parole, si rivolgono a loro.

Come ho più volte affermato manca una classe dirigente in grado di interpretare il cambiamento e dirigerlo verso il miglioramento complessivo della società. Servono uomini nuovi, fuori dagli schemi obsoleti delle ideologie ottocentesche e dalle teorie sbagliate del '900 (liberismo), che riprendano teorie troppo presto abbandonate (Keynes) o male interpretate, non mancano idee, economisti  e teorie, anche più recenti, che possono essere utili per interpetrare la complessità e indirizzare la politica (vedi il mio libro).

La tecnica e la tecnologia ci possono dare molti mezzi ma quello che serve è una politica che, oltre ad essere etica, abbia una visione del futuro, anche perchè il cambiamento climatico potrebbe peggiorare la situazione e cambiare, in peggio, per tutti, gli attuali equilibri. 

Le idee e le persone ci sono ma sono tenute fuori dalla politica, che è spesso appannaggio di personaggi egocentrici e senza preparazione (Trump è un plastico esempio), spero nei giovani che vedo troppo distanti dalla politica quando invece il nostro futuro è sempre nelle nostre mani cioè nelle mani dei cittadini.

sabato 11 marzo 2023

Zachary D. Carter- Il Prezzo della pace.

Quello di cui parliamo oggi è l’ultima biografia di John Maynard Keynes scritta da uno dei giornalisti economici e politici americani più famosi. Di Keynes abbiamo parlato molto in questo blog, in particolare qui , qui e qui; pertanto, non mi dilungherò troppo sulla teoria economica keynesiana.

Il libro abbraccia tutta la vita di Keynes che quindi comprende il primo '900, dalla prima guerra mondiale alla fine della seconda guerra mondiale. Nel corso della sua vita Keynes vede svanire il tipo di vita spensierata e bohemienne del suo periodo giovanile e, soprattutto, la fine dell impero britannico. Keynes era un genio come conferma lo stesso Bertrand Russel che afferma: " L'intelletto di Keynes era il più acuto e chiaro che io abbia mai conosciuto". Era, sopratutto nelle parole dell'autore: "L'ultimo degli intellettuali illuministi che perseguivano la teoria politica, l'economia e l'etica in un progetto unitario".

Il libro quindi ripercorre la vita privata e soprattutto pubblica di Keynes. Keynes non era inizialmente un economista i suoi studi erano indirizzati alla matematica e, infatti, il suo primo libro è il Trattato sulla probabilità. Inizia ben presto a diventare consigliere del governo inglese, prima in India e poi alla Conferenza di pace del 1919. Sarà questa esperienza e il suo caustico libro di memorie - Le conseguenze economichedella pace- a dargli la notorietà e anche una discreta fortuna economica che saprà ben gestire diventando piuttosto benestante. Nel corso della sua carriera le sue idee economiche si distaccano sempre più dalle teorie tradizionali. Inizialmente con i suoi libri sulla moneta, Saggio sulla riforma monetaria  e Trattato sulla moneta, in cui prende le distanze dal Gold Standard

Nella maturità pubblica il suo capolavoro: La Teoria generale della occupazione, dell'interesse e della moneta. In questo libro famoso, ma alquanto complesso e difficilmente intellegibile, esporrà le sue idee rivoluzionarie.  Il libro è pervaso dalla incertezza, le persone prendono le decisioni senza conoscere cosa avrebbe riservato il futuro. Stigmatizza che i sistemi finanziari hanno potentemente amplificato la capacità del denaro di trasformare la paura in sofferenza. I mercati non sono in grado di misurare con precisione il valore degli investimenti, quando gli investimenti dovrebbero avere l'obiettivo sociale di  sconfiggere le forze oscure del tempo e dell'ignoranza. 

E' la incertezza del futuro a rendere le folle soggette a calamità sia nella finanza sia nella politica. Arriva al punto di sminuire la importanza del lavoro in un economia monetaria, il lavoro è un trucco contabile per consentire il consumo. 

La Teoria generale implicava che i governi dovessero intervenire di volta in volta nelle operazioni di mercato per correggere ecccessi e squilibri. La crescita del capitale non era poi il risultato di un riparmio virtuoso da parte dei ricchi bensì un sottoprodotto della crescita del reddito delle masse. Anche le sue idee sul libero scambio erano mutate, il libero scambio rischiava di diventare una lotta a somma zero per la sopravvivenza delle nazioni. Infine, evidenzia che il problema non risiede nella scarsità e che la condizione e la organizzazione della società non erano esigenze inevitabili per risorse insufficienti, il problema non era quindi la scarsità ma la cattiva gestione.

In estrema sintesi la sua era una visione di una società che doveva entrare in un era di socialismo liberale che definiva: "Un sistema in cui possiamo agire come una comunità organizzata per scopi comuni e promuovere la giustizia sociale ed economica rispettando e proteggendo l'individuo: la sua libertà di scelta, la sua fede, la sua mente e la sua espressione, la sua impresa e la sua proprietà."

La domanda con cui l'autore chiude il libro, a cui non da risposta, è perchè  il patto keynesiano di pace, eguaglianza e prosperità, che dovrebbe essere irresistibile in una democrazia, fu effimero e fragile? Conclude comunque con una frase di speranza: " Nel lungo periodo siamo tutti morti. Ma nel lungo periodo quasi tutto è possibile".

In sintesi un libro molto ben documentato e scritto in maniera chiara, che abbraccia un periodo temporale che va dal inizio novecento sino ai giorni nostri e che merita, ampiamente,  di di essere letto.