martedì 1 febbraio 2022

Steve Keen - The New Economics- A Manifesto

Questo libro è l'ultimo lavoro di Steve Keen, economista australiano, non allineato con il mainstream economico, che insegna a Sidney. Di lui abbiamo già recensito: Debunking Economics e Can We Avoid Another Financial Crisis.
Nella introduzione inizia con una critica alla economia neo-classica o mainstream che si è dimostrata incapace di riformarsi, nonostante la  evidente incapacità di prevedere l'ultima e grave crisi finanziaria del 2008. Inoltre, la scienza economica, contrariamente a quanto ipotizzato da Khun per le discipline scientifiche, non presenta cambi di "paradigmi" ogni volta che i presentano fatti nuovi o anomalie non spiegate dalla teoria corrente, le anomalie sembrano dunque dimenticate ponendo forti dubbi sulla scientificità della economia stessa. La rivoluzione keynesiana, per esempio, è stata addomestica da Hicks con il suo modello IS-LM.
Quindi, delinea quali sono le tematiche su cui muoverà la sua critica alla economia nel libro con i relativi capitoli:
  • la teoria monetaria;
  • la teoria della complessità in opposizione alla teroria dell'equilibrio;
  • la necessità di ancorare la teoria economica alla leggi della Termodinamica;
  • la necessità che la economia sia fondata sul empirismo;
  • l'utilizzo di nuove tecniche di analisi come la system dynamics.
Per quanto riguarda la teoria monetaria la teoria neoclassica male interpreta il ruolo delle banche, del debito e della moneta nella economia reale, dando un ruolo fondamentale alla banca centrale nella creazione di moneta. L'autore, invece, evidenzia il ruolo delle banche in base alla cosiddetta “teoria endogena della moneta”, secondo cui credito e moneta sono creati dalla complessa interazione tra banche e la banca centrale. La sua interpretazione della moneta non si discosta molto da quella della MMT (vedi Kelton che infatti cita), anche se Keen utilizza una modellistica diversa utilizzando il suo programma (Minsky) e  le tecniche utilizzate da Godley. In sostanza ripercorre la teoria che la moneta è creata dallo Stato dal nulla per via della sua autorità. La moneta assume la forma di deposito bancario piuttosto che di banconote, depositi bancari che sono passività. Inoltre, ribadisce che il deficit dello Stato incrementa la moneta nel settore privato, è il deficit stesso che crea la moneta e lo Stato non prende in prestito dai privato bensì incrementa i risparmi privati. Assume un ruolo centrale il debito che è fonte sia della domanda e sia del reddito aggregato. Infatti, piuttosto che al debito dello Stato, bisogna porre attenzione al debito privato che non deve diventare troppo alto e la domanda basata sul credito bancario non deve assumere un ruolo preponderante nella domanda aggregata, in questo si allinea alle posizioni sia di Fisher che di Minsky sul ruolo del debito nella analisi macroeconomica. Infine, visto l'elevato e pericoloso livello del debito privato propone una forma di giubileo del debito, sul cui funzionamento nella realtà ho delle perplessità. Propone poi una forma diversa di funzionamento delle azioni delle aziende quotate, il cui valore, per quelle trattate nel mercato secondario, dovrebbe avere un termine temporale per evitare il rischio della elevata speculazione.
Il secondo capitolo è dedicato alla complessità del mondo economico reale. L'approccio della economia mainstream si basa  sulle  teorie dell'equilibrio le quali assumono che le oscillazioni economiche finiscono per smorzarsi ristabilendo l'equilibrio, mentre nei sistemi complessi l'equilibrio è uno stato che il sistema non raggiungerà mai. I cicli nel mondo reale, come lo è l'economia, sono fondamentalmente aperiodici. Le teorie della complessità (Lorenz)  dimostrano che l'equilibrio a cui tende il sistema si rivela essere repulsivo (strange attractor), bastano infatti tre variabili per generare cicli aperiodici.  Nell'analisi,  meno sofisticata dal punto di vista matematico, di Minsky si evidenzia già che la crescita stabile è inconsistente in quanto gli investimenti sono determinati dal finanziamento a debito che dipende dal mercato. La analisi e il modello  di Keen sono determinati da una serie di catene causali: il capitale determina l'output, l'output determina la occupazione, il tasso di occupazione determina il tasso di cambiamento dei salari, l'output meno i salari e gli interessi determinano i profitti, il tasso di profitto determina il livello di investimenti e infine la differenza tra investimenti e profitti determina il tasso di cambiamento del debito privato. Dalla simulazione di un tale modello si producono dei cicli molto realistici, cicli in cui si verificano innalzamenti del livello di debito, cicli economici e distribuzioni ineguali di reddito. Un altro aspetto della complessità dei sistemi deriva dalle cosiddette proprietà emergenti, cioè che emergono dalla interazioni delle variabili, questo comporta che la presunzione di far derivare la macroeconomia dai fondamenti microeconomici è completamente fuorviante e futile, quindi è piuttosto la struttura di un economia che determina il suo comportamento.
Un ulteriore aspetto che viene analizzato nel libro è il rapporto tra economia, energia ed ambiente. La energia viene completamente trascurata dai modelli economici tradizionali,  mentre dovrebbe far parte dei modelli di produzione. Inoltre, per produrre si creano  automaticamente rifiuti che non possono essere completamente eliminati. Inoltre, nella produzione bisogna tener conto delle leggi della Termodinamica per cui la produzione diminuendo la entropia da una parte deve necessariamente aumentarla da qualche altra parte,  il lavoro utile genera un aumento di dissipazione di energia. La economia neoclassica, inoltre, nelle sua analisi tende a sottostimare i pericoli e conseguenze dei cambiamenti climatici, vedi ad esempio le analisi di Nordhaus sugli impatti dei cambiamenti climatici sulla economia che prevedono impatti contenuti sul PIL mondiale, quando invece un innalzamento elevato di temperature potrebbe creare in alcune aree dei veri e propri sconvolgimenti delle attività umane.
L'ultimo capitolo riguarda gli errori della economia neoclassica che accetta assunzioni semplificatrici che si rivelano palesemente false nonostante la evidenza contraria, ad esempio la teoria dei costi marginali  di impresa quando è stato dimostrato che nella realtà i costi marginali sono costanti o decrescenti e, pertanto, non  c'è una curva dei costi marginali al di sopra dei costi variabili. Addirittura Friedman è arrivato ad affermare che le affermazioni irrealistiche sono indicative di una buona teoria. Sta di fatto che nel processo di validazione degli articoli le assunzioni irrealistiche nel ambito delle teorie neoclassiche vengono accettate mentre quelle contrarie al mainstream vengono rifiutate rinforzando la egemonia della economia neoclassica nei giornali economici.
Nelle conclusioni auspica una nuova economia che superi gli errori e i paradigmi della economia neoclassica, in particolare un economia con una fondazione monetaria, la necessità di comprendere la complessità, la necessità di essere basata sulla biofisica della produzione usando energia e materia. Infine, indica come metodologia più promettente per fondare la nuova economia la System Dynamics di Forrester.
In sintesi, come si vede dalla recensione è un libro molto ricco di spunti e di approfondimenti, alcune tematiche   riportate nel libro  non sono nuove se leggete questo blog, pur non essendo un libro specialistico non è un libro semplice e richiede una buona preparazione, vi consiglio di leggere prima l'altro suo libro Debunking Economics.
Le sue critiche alla eonomia neoclassica le troviamo anche nel libro di Skidelski What's Wrong With Economics.
Infine, per quanto riguarda la fiducia dell'autore sulla System Dynamics sono meno convinto; ho infatti studiato la System Dyamics proprio perché convinto della sua validità. Indubbiamente è uno strumento molto potente e più adatto dei modelli di equilibrio adottati attualmente dalla stragrande maggioranza degli economisti; comunque applicare i modelli alla economia non è semplice, bisogna fare delle assunzioni sulle variabili le loro relazioni, e quando si tratta di variabili economiche non solo è difficile capirne le relazioni ma tali relazioni sono variabili nel tempo e dipendono dalle condizioni storiche. Pertanto, la presenza della incertezza, tanto cara a Keynes, aleggia sempre nel affrontare le questioni economiche, e rimane, quindi,  la necessità, oltre che a metodologie più adatte, di conoscenze molto vaste e interdisciplinari (storiche, psicologiche, sociologiche, politiche, ecc.) per non commettere gli stessi errori di "hubris" che sono tipici di molti  economisti neoclassici.