Franco Bernabè è un dirigente di azienda che ha gestito alcune delle più grandi imprese del paese, questo libro è la sua autobiografia professionale ma anche la storia di una parte significativa della storia industriale e politica italiana degli ultimi quarant'anni. La sua storia professionale inizia, dopo una breve parentesi all'OCSE, nella Fiat degli anni '70 con Agnelli e Romiti al comando, le lotte sindacali e la famosa marcia dei 40.000 che chiude un ciclo. Passa poi all'ENI, a seguito di Reviglio di cui era stato assistente. All'ENI passerà 7 anni molto complicati, con la ristrutturazione dell' ente e il passaggio a S.p.a e successiva quotazione in borsa. Anni difficili con molti scandali con il più noto e famigerato caso Enimont. La successiva esperienza in Telecom sarà pure molto difficile. Il primo passaggio come amministratore delegato si concluderà prematuramente con l'Opa di Colaninno. Dopo un periodo in cui affronta un percorso imprenditoriale tornerà un Telecom. In questa seconda fase si impegna a ridurre l'indebitamento provocato dalle precedenti gestioni ma, soprattutto, cercherà di rafforzare la componente azionaria e il gruppo per cercare di rilanciarlo attraverso varie operazioni e la ricerca di partnership, questa operazioni non riusciranno costringendolo ad una seconda uscita. Il libro attraversa quindi quaranta anni di vicende industriali e politiche attraverso gli occhi di un protagonista, con la descrizione molto dettagliata di molti personaggi e fatti. Ne esce un quadro non proprio esaltante del nostro capitalismo e della politica, quest'ultima ha condizionato pesantemente e spesso negativamente gli esiti delle industrie interessate, con prese di posizione spesso miopi o mirate a biechi interessi elettorali o di finanziamento dei partiti. Di queste vicende quella di Telecom mi era già tristemente nota per esperienza personale. Il libro si conclude con un breve capitolo di conclusioni e riflessioni sulle vicende internazionali e soprattutto di quelle italiane. Un libro interessante per chi vuole conoscere un pezzo importante della storia industriale del nostro paese, forse avrei sperato che nelle conclusioni del libro l'autore, vista la sua esperienza, approfondisse di più cause, motivazioni e anche soluzioni alla situazione italiana molto critica in termini economici e sociali.
demo-critica-mente
Le idee degli economisti e dei filosofi politici, tanto quelle giuste quanto quelle sbagliate, sono più potenti di quanto comunemente si creda. In realtà il mondo è governato da poco altro. Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto. John Maynard Keynes
domenica 24 gennaio 2021
L'aratro, la peste, il petrolio-William Ruddiman
martedì 19 gennaio 2021
Crisi di governo o di leadership ?
Ecco, ci mancava l'ennesima crisi di governo quando siamo in una situazione critica per la pandemia ma anche economica e sociale. Questa è una crisi di governo ma, soprattutto, una riconferma della grande crisi di leadership che nasce da lontano. Finita la prima repubblica, per il degrado di una classe politica che aveva finito per ridursi a spartitori di mazzette in, purtroppo, molti casi, i cittadini hanno giustamente cercato nuove leadership e nuovi soggetti politici. Dopo la fase berlusconiana, che non ci ha certo risollevato dal ristagno economico e sociale, i cittadini si sono rivolti ad altri soggetti, con idee in parte innovative ma spesso velleitarie. Pertanto, da una classe politica esperta ma, spesso, poco etica, siamo passati a rappresentanti forse più onesti ma certamente poco preparati. Data la attuale composizione del parlamento era difficile che uscisse qualcosa di buono. Il secondo governo Conte ha fatto il possibile, con molte carenze, ma dobbiamo anche tener conto di una situazione di partenza difficile per il degrado della sanità e della macchina pubblica in generale, con l'aggravante di ministri non sempre di grande spessore, visto il degrado qualitativo dei nuovi eletti. Adesso non capisco e non condivido la mossa di Renzi che peggiora la situazione, non capisco anche la scelta di Conte di andare avanti con una maggioranza raccogliticcia che renderà governare ancora più difficile. Andremo, prima o poi alle elezioni, e vincerà la destra che avrà poco da gioire, infatti, con questa situazione e con la scarsezza dei personaggi della destra, finiremo pure peggio; già prevedo che questa destra finirà per dare il colpo di grazia al paese sia per scelte sbagliate e sia perché non avrà sconti dall'Europa. Questo paese non si può salvare se non facciamo le cose giuste come ho scritto nel mio ultimo libro, ma, soprattutto, se non facciamo emergere, a tutti i livelli, delle nuove leadership, e di giovani e meno giovani preparati ne abbiamo ma questo devono capirlo i cittadini, non esistono scorciatoie e demiurghi con la bacchetta magica, ci servono persone preparate e non cazzari come ho già scritto in un altro post.
sabato 21 novembre 2020
Uno spettacolo preoccupante
Lo spettacolo della politica italiana, in questo ultimo e drammatico scorcio di anno, è desolante e preoccupante. Lo scontro tra Regioni e Governo è piuttosto sconfortante, molti presidenti di regione non sono alla altezza, hanno scaricato le responsabilità delle chiusure sul governo centrale per poi piagnucolare quando sono stati messi in zona rossa. Certo il Governo con i suoi 21 parametri poco chiari non è stato il massimo della trasparenza, per non parlare della magra figura sulla Calabria. Conte è un cittadino prestato alla politica che fa del suo meglio ma se abbiamo questa classe politica è colpa nostra. Come ho detto più volte la democrazia funziona bene se i cittadini sono preparati e consapevoli delle loro scelte, in più servono delle buone leadership. Purtroppo una parte della cittadinanza non è sufficientemente informata, colpa anche di un sistema giornalistico che fa acqua da più parti, con i social che amplificano e diffondono le fake news che hanno peggiorato le cose. Sulla leadership ho scritto qui quel che sognerei ma, comunque, in Italia ci sono tantissime persone preparate che a fatica assurgono a cariche politiche, anche perché la battaglia politica non è più una battaglia di idee ma una guerra per bande dove ognuno difende la propria fazione a prescindere. Dall'altra parte dell'oceano, Stati Uniti, le cose sono comunque complicate. Hanno votato in tanti, ed è un bene, ma 70 milioni di voti per uno che non mi sembra tanto equilibrato (è un eufemismo per definire Trump) sinceramente non riesco a giustificarlo se non per pura ragione di schieramento, d'altra parte la scelta di Biden, ottima persona ma molto in la con gli anni, non mi è sembrata la scelta migliore, staremo a vedere. Comunque i segnali che si vedono in giro sono preoccupanti con vecchie democrazie che arrancano e nuove che sconfinano diventando solo democrazie sulla carta, vedi ad esempio Turchia e altro. Un altra aspetto che mi preoccupa e il dilagante negazionismo e complottismo, abituati da decenni di film sui complotti, che possono anche talvolta essere veri, si è superato il limite, si vedono macchinazioni dappertutto arrivando a esternazioni fantasiose e assurde che rimbalzano sui social, arrivare a dire che la pandemia non esiste e che sia tutto preordinato per sopprimere la libertà è pericoloso per tutti, se queste persone rimangono delle piccole frange è fisiologico ma a me pare che non sia così, e allora Houston abbiamo un problema.
sabato 14 novembre 2020
Sulla democrazia-Robert A. Dahl
Torniamo a parlare di democrazia recensendo un libro piacevole e interessante. Si tratta di un libro non recente, edito in Italia nel 2000, di Robert Dahl (scomparso nel 2014) professore di scienza politica all'Università di Yale.
Il libro inizia con una breve storia della democrazia nell'antichità con la nascita della democrazia in Grecia ad Atene e la res pubblica romana.
Successivamente passa ad elencare quali siano i criteri che definiscono e caratterizzano una democrazia:
- partecipazione effettiva
- parità di voto
- diritto all'informazione
- controllo dell'ordine del giorno
- universalità del suffragio
Elenca poi quali siano i vantaggi della democrazia:
- ostacola la tirannia
- diritti essenziali
- libertà generale
- autodeterminazione
- autonomia morale
- progresso umano
- tutela di interessi personali essenziali
- uguaglianza politica
- tendenza alla pace
- prosperità.
Un capitolo è dedicato a smontare la tesi dei "custodi", cioè che sarebbe meglio delegare le decisioni agli esperti; qui la sua posizione è chiara, ogni decisione politica è anche etica e il governo non è una scienza ma serve anche incorruttibilità e altro, in conclusione nessuno è meglio qualificato dei cittadini stessi per conferirgli un potere definitivo.
Un ulteriore capitolo è dedicato ai requisiti minimi necessari affinché un paese sia considerato democratico:
- amministratori eletti
- libere e frequenti elezioni
- libertà di espressione
- accesso a fonti alternative di informazione
- autonomia associativa
- cittadinanza allargata,
Un capitolo è dedicato alla discussione sulle diverse forme costituzionali adottate nei vari paesi, di fatto non esistono soluzioni costituzionali da preferire in assoluto, la sua conclusione sintetica è che una costituzione ben fatta può aiutare le istituzioni democratiche a sopravvivere mentre una costituzione mal fatta può invece favorirne il crollo.
Passa poi ad esaminare i sistemi elettorali, da quelli proporzionali a quelli maggioritari e le soluzioni miste, anche qui non esiste un sistema perfetto anche se il sistema maggioritario pur avendo alcuni vantaggi non sembra incontrare i favori dell'autore, mi preme invece evidenziare invece quando afferma che una riforma costituzionale non va presa alla leggera ma richiede i migliori talenti del paese.
Infine elenca quali sono le condizioni essenziali alla democrazia:
- funzionari eletti controllano la polizia e l'esercito
- idee e cultura politica democratiche
- assenza di ingerenze esterne da parte di paesi ostili alla democrazia
- un economia di mercato e una società moderna
- scarso pluralismo subculturale
sabato 24 ottobre 2020
Capitale e ideologia- Thomas Piketty
Ho finito di leggere, lettura non breve, il monumentale (1200 pagine) ultimo libro di Thomas Piketty, economista francese, del quale abbiamo recensito nel blog il libro Il Capitale del XXI secolo.
Rispetto al suo precedente libro, tra l'altro di grande successo, questo è forse meno economico e più sociale. In pratica, per lunga parte, è la storia della evoluzione economica, sociale e istituzionale di moltissime nazioni, partendo dall'Europa medioevale sino alla Cina e India moderne, in particolare come afferma l'autore è la storia e l'evoluzione dei regimi basati sulla diseguaglianza. Inoltre, mette in evidenza sin dall'inizio come sia anche una storia soprattutto di ideologie, che ogni epoca e società produce ideologie finalizzate a legittimare la diseguaglianza, che nelle società contemporanee è una narrativa "proprietarista" e meritocratica.
In primo luogo definisce la ideologia come un insieme di idee o narrazioni intese a descrivere come si dovrebbe strutturare una società. Inoltre, i problemi di regime politico e quelli di regime di proprietà sono intimamente connessi, da cui ne consegue, per l'autore, che la diseguaglianza non è economica o tecnologica ma ideologica e politica, e quindi le ideologie contano nel modellare le società. In particolare negli ultimi decenni si sta verificando un aumento della diseguaglianza in maniera inequivocabile e quasi ovunque dopo una sua diminuzione nel XX secolo, frutto della globalizzazione e della incapacità della sinistra (e io direi forse grande difficoltà) nel riorganizzare la redistribuzione economica su base transnazionale.
Segue, come detto, l'analisi storica partendo dalle società ternarie (Nobiltà, Clero e terzo Stato) ovviamente diseguali, e dove diritti di proprietà e funzioni sovrane sono inestricabilmente legati. La evoluzione dello Stato moderno avviene tramite il logoramento di quest'ordine.
Con la Rivoluzione Francese si pongono le basi per la nascita della società borghese e proprietarista, con il proprietarismo emerso grazie anche alla formazione di uno Stato centralizzato. Rimane, comunque, evidente il fallimento nella soluzione del problema della diseguaglianza della proprietà, che non diminuisce anzi finisce per crescere, il vero calo della concentrazione dei patrimoni inizia dopo la prima guerra mondiale. Nel libro vengono poi evidenziate le traiettorie storico istituzionali delle varie nazioni europee.
Nella seconda parte delinea la storia delle società schiaviste e coloniali (Europa e Stati Uniti) che hanno influito sulla evoluzione economica e politica delle società extraeuropee, India, Cina, Giappone ecc.
La terza parte è incentrata sulla grande trasformazione nelle società occidentali dalla fine della prima guerra mondiale sino agli anni '70; in questo periodo la diseguaglianza diminuisce grazie tracollo dei patrimoni privati per distruzione, espropriazione e inflazione, cioè per motivi in parte accidentali ma anche politici grazie alla introduzione del suffragio universale che sposta gli equilibri politici e quindi ideologici (vedi anche influenza della Rivoluzione Russa). La introduzione della progressività fiscale ha permesso di sostenere il welfare ma anche le spese fondamentali per lo sviluppo (istruzione, ricerca, infrastrutture). L'autore mostra anche i limiti delle società contemporanee negli ultimi decenni nel affrontare i cambiamenti che hanno portato ad un aumento della diseguaglianza e al ritorno di un alta concentrazione della proprietà. Oltre alla globalizzazione questo fenomeno di aumento di diseguaglianza si deve alla narrativa/ideologia neo proprietarista che esalta il merito e gli imprenditori ma sotto tale copertura vengono perpetuati i privilegi sociali.
Affronta poi il tema delle elezioni mostrando come, in Europa e Stati Uniti, a una divisione "classista elettorale", cioè i ricchi e proprietari (e in genere i più istruiti) che votavano a destra e le classi meno agiate a sinistra, sia succeduta una stratificazione multipolare. La sinistra tradizionale è passata, sorprendentemente, da partito dei lavoratori a quello delle élite laureate, mentre la destra tradizionale (destra mercantile) rimane la élite dei proprietari. Crescono a fianco di queste due suddivisioni negli ultimi anni, per effetto della insoddisfazione delle classi popolari, dei partiti cosiddetti social-nativisti con collocazioni spesso a destra (ad esempio Lega o Front National) o miste ( 5 stelle). In altri paesi extra europei, come l'India, la traiettoria delle suddivisioni elettorali è stata diversa sviluppando, nel tempo, una forma peculiare di divisione classista/religiosa con le classi (caste) alte indù divise elettoralmente dalle caste più basse e di appartenenti ad altre religioni (musulmani).
Nel finale l'autore delinea alcune ricette, per quanto egli ammetta essere imperfette e fragili perché lo scopo dell'autore è piuttosto aprire il dibattito e non quello di chiuderlo.
Le proposte sinteticamente sono:
- condividere il potere nelle imprese aumentando la partecipazione dei lavoratori (cogestione);
- istituire norme che impediscano la concentrazione incontrollata di ricchezza tramite imposte progressive sul reddito, successioni e una tassa annuale sul patrimonio globale;
- tassazione progressiva dei singoli consumatori per la CO2 emessa;
- aumentare in maniera sostanziale le risorse investite negli istituti di formazione più svantaggiati;
- promuovere una democrazia partecipativa ed egualitaria depotenziando il finanziamento elettorale privato;
- aumentare la democrazia transnazionale con una sovranità parlamentare europea privilegiata.
Che il problema della diseguaglianza sia uno dei problemi fondamentali è ormai piuttosto noto. La diminuzione della diseguaglianza all'interno di un paese e tra paesi, come ho scritto nel mio libro sulla economia, non è un imperativo solo morale ma di efficienza economica, questo dovrebbe essere chiaro alle élite dominanti per cercare di ridurlo per il bene di tutti anche dei più ricchi. Basti pensare solo allo spreco di risorse che si produce non permettendo ad alcune persone di dispiegare il proprio potenziale intellettuale che potrebbe essere utilissimo alla società. Quello che è chiaro, anche all'autore, è che molti problemi, compreso quello ecologico, non sono risolvibili solo su scala nazionale ma hanno dimensione transnazionale. Questo pone un grandissimo problema di coordinamento che abbiamo visto è difficilissimo raggiungere, come evidenziato anche da Rodrik ad esempio nel suo trilemma sulla globalizzazione e la democrazia. Tutto questo richiede in primo luogo un miglioramento delle leadership politiche che dovrebbero essere più preparate, mentre il deterioramento nel funzionamento della democrazie sta portando a leadership sempre più "populiste", termine che Piketty non ama, che tendono a promettere soluzioni che una popolazione sempre più spaventata e in difficoltà chiede ma si rivelano sbagliate o alla fine favoriscono le élite dominanti (vedi ad esempio Trump). Certo, come afferma Piketty, la colpa è anche dei cosiddetti progressisti che hanno perso di vista il loro compito e sono diventati i rappresentanti delle élite intellettuali e sempre meno delle masse popolari. Tentativi come quello dei 5 stelle di recuperare la partecipazione popolare sono in teoria giusti e condivisibili, ma anche in questo caso ci vogliono leadership preparate altrimenti le proposte che vengono portate avanti diventano confuse e a volte controproducenti o sprechi di denaro.
martedì 20 ottobre 2020
Perché non credo agli economisti troppo assertivi
La massima di Socrate "so di non sapere" dovrebbe essere patrimonio di tutte le persone intelligenti. D'altra parte anche la scienza nelle sue discipline più dure, e che hanno avuto più successo nelle sue realizzazioni pratiche come la Fisica, ci sorprendono con nuove rivelazioni che non trovano spiegazioni. Come ha spiegato Popper sono ammissibili, nella scienza, solo teorie che sono confutabili, cioè esiste la possibilità di concepire ed effettuare almeno un esperimento che le possa confutare. Detto ciò, qualsiasi affermazione, anche in ambito scientifico è, quindi, soggetta a possibili confutazioni e rivisitazioni, per cui in materie in cui è intrinsecamente più difficile trovare prove sperimentali, come la Economia, sarebbe necessario avere più prudenza nel fare affermazioni spacciandole per verità indiscutibili. Quello che sto dicendo non è originale ma è quello che sostiene, ad esempio Rodrik, nel suo libro Economic Rules, infatti Rodrik afferma nel libro che in Economia, essendo una scienza sociale, la ricerca della teoria e dei risultati universali è futile e che i modelli utilizzati sono al massimo contestualmente validi.
Fatta questa doverosa premessa, passiamo ad esaminare alcune questioni. Un esempio è la preminenza della offerta o della domanda, se chiediamo ad un liberista (ad es. Boldrin) vi dirà con estrema sicurezza che conta fondamentalmente la offerta e, infatti, le sue ricette economiche sono quasi tutte incentrate sulla offerta, se invece chiediamo a un keynesiano convinto vi dirà che alla fine la cosa che serve è la domanda. Ora, come ho già spiegato più volte io credo a Marshall quando affermava che domanda e offerta sono come le componenti di una forbice e se non c'è l'una anche l'altra non ha senso. Quindi, qualsiasi ricetta di politica economica deve essere valutata in base al contesto economico, storico e sociale di un paese e non dare per scontato niente. Altro aspetto molto dibattuto è quello del mercato e dello Stato. Anche qui gli economisti liberisti diranno che quello che conta è lo dispiegarsi delle fantastiche forze del mercato e della concorrenza, e che lo Stato dovrebbe impicciarsi di economia il meno possibile. Gli economisti di "sinistra" diranno che è solo lo Stato che ci può salvare fornendo nel migliore dei modi i beni pubblici e anche dirigendo e pianificando l'economia. Sostenere ognuna delle due posizioni con estrema forza, e spesso arroganza, mi fa un tantino trasalire. Stato e mercato sono spesso non in antagonismo ma complementari. Pensare che si possa governare dal centro e indirizzare sempre in maniera efficace la economia è sbagliato e non funziona come hanno mostrato molte esperienze, come pensare al mercato che funzioni senza regolazioni, senza che qualcuno fornisca infrastrutture e beni pubblici è altrettanto illusorio. Altro aspetto è quello della moneta (vedi ad esempio Bagnai), dire che la moneta è ininfluente o neutrale è piuttosto naïve al giorno d'oggi, ma pensare che la sovranità monetaria sia la soluzione della stragrande maggioranza dei nostri problemi è troppo semplicistico e irrealistico. Peccato che spesso il dibattito sia spesso così limitato e ridotto a inutili diatribe tra fautori di una o l'altra delle tesi.
La realtà economica e sociale è complessa e multidimensionale. E' giusto cercare di semplificare e trovare delle ricette semplici, ma una cosa è cercare soluzioni semplici e altro che siano sempre giuste. Nel mio libro sull'economia ho cercato di illustrare le tesi sia di una parte e sia dell'altra, ho infatti parlato di Marx ma anche di Smith, di Keynes e di Hayek, di Stiglitz e Friedman, per dare al lettore una panoramica la più completa e, nei limiti del possibile, equidistante. Non accontentatevi di una visione sola, neanche di quelle teoricamente più equilibrate, ad esempio Blanchard, non esistono verità uniche e, infatti, spesso gli autori più seri ammettono di prendere degli abbagli. Certo fa piacere vedere quelli che espongono le loro idee con grande sicurezza, ma la scienza è soprattutto consapevolezza della propria ignoranza e non compiacimento egocentrico della propria presunta conoscenza.