sabato 9 gennaio 2016

Le idee dell'economia- L’ utilità marginale e teoria del consumatore: Hermann Gossen

Abbiamo visto, nei precedenti post, come per gli economisti classici l’utilità (valore d’uso) di un bene venga considerata una sua caratteristica essenziale, la loro indagine tuttavia si indirizza sul valore di scambio andando alla ricerca di un suo fondamento per cosi dire “oggettivo”.

Il grande salto concettuale che caratterizza il pensiero dell’epoca successiva è quello di passare da un punto di vista “oggettivo” ad un punto di vista “soggettivo” (“soggettivismo metodologico” lo definisce Schumpeter).

Mentre nell’economia classica prevale il punto di vista generale, l’analisi degli individui come insieme (classi sociali) e delle dinamiche di sistema, nel periodo neoclassico la focalizzazione è sul singolo, cosiddetto agente economico, in particolare sul consumatore e sulla soddisfazione dei suoi bisogni.
La paternità di tale rivoluzione non è univoca, a questa impostazione e al concetto che verrà in seguito definito come utilità marginale contribuiscono una serie di autori, spesso in maniera indipendente, in più fasi con affinamenti progressivi dei concetti. Su  chi spetti la palma del pioniere vi sono varie correnti di pensiero[1], io farò la scelta di partire da Gossen.
Hermann Heinrich Gossen (1810-1858) fu un economista prussiano, la cui opera rimase a lungo sconosciuta, solo dopo che i concetti di utilità marginale erano stati elaborati in maniera indipendente e principalmente  da Jevons, Menger e Walras, vennero riscoperti i suoi contributi e riconosciuto il loro valore.
Il contributo di Gossen, detta anche prima legge di Gossen, afferma che se si consuma un unità ulteriore o supplementare di un bene (una unità per cosi dire al “margine”),  la utilità che se ne ricava o soddisfazione aumenta ma in misura sempre minore, in altri termini l’utilità dell’ultima dose consumata (marginale) di un bene è decrescente[2].
Se proviamo infatti a fare una rappresentazione grafica per rendere più chiaro il concetto, da una parte abbiamo che l’utilità totale (la soddisfazione complessiva), ipotizzando che sia in qualche modo misurabile, è crescente con il consumo del bene, ma la crescita di soddisfazione tende a diminuire sino al punto di non crescere più. D’altra parte se invece consideriamo gli incrementi di utilità (utilità marginale), ovvero le differenze di utilità/soddisfazione tra due punti vicini, questi risultano diminuire e quindi sono decrescenti all’aumentare del consumo del bene.





Se qualcuno ha studiato  matematica alle superiori ricorda, probabilmente, che quando parliamo di variazioni incrementali di una funzione in rapporto a una variabile stiamo parlando del concetto di derivata e, quindi, l’uso della matematica incomincia a farsi sempre più largo e diventare più importante  all’interno della economia.
Il problema è capire se tale utilità è effettivamente misurabile. Sul tema le posizioni furono molteplici comunque, alla fine, prevalse il concetto che più che determinare un valore assoluto dell’utilità (cosiddetto concetto di  utilità cardinale)  sia più corretto parlarne in termini relativi (concetto di utilità ordinale).
Un esempio di utilizzo del concetto di utilità  è quello dato da un paniere di due beni, dove si cerca di  trovare le combinazioni delle quantità di ciascun bene che hanno pari utilità per un individuo, ad esempio avere 2kg di pane e 1 litro di latte potrebbe essere equivalente in termini di utilità a 1kg di pane e 3 litri di latte.
Se si uniscono  questi punti di pari utilità, dati dalla combinazione delle quantità di due beni che hanno pari utilità per il consumatore, dove le quantità dei beni sono rappresentate sugli assi cartesiani,  si arriva a costruire  quelle che vengono definite curve di indifferenza[3].
Inoltre un ulteriore concetto che dobbiamo a Gossen è quello di bene economico, di cui una delle caratteristiche principali, oltre all’utilità, è quella di scarsità.
Si sviluppa pertanto, in questo contesto, il concetto di “homo oeconomicus”, in cui l’individuo è un agente razionale che cerca di massimizzare la soddisfazione dei suoi bisogni.





[1]Come autori che hanno contribuito per primi al concetto di utilità marginale possiamo citare: Daniel Bernoulli, William Senior e Jules Dupuit e alcune anticipazioni le troviamo anche in autori ancora precedenti.
[2] Banalizzando molto, se siamo assetati il primo bicchiere d’acqua ci darà grande soddisfazione (utilità), i successivi sempre meno fino a quando non ne trarremmo più soddisfazione
[3]La paternità delle curve di indifferenza la si deve ad Edgworth, su cui lavorò successivamente Pareto. 

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