L'autore, Micheal Sandel, che insegna ad Harvard Teoria del governo ha scritto diversi libri di cui questo è l'ultimo. Viviamo in un epoca dove il populismo sta vincendo in molti paesi occidentali. Sulle cause della perdita di consenso della sinistra abbiamo già recensito molti libri in questo blog, una sinistra che rappresenta più le èlite istruite e sempre meno le classi popolari, quest'ultime colpite dalla globalizzazione e arrabbiate per le profonde disuguaglianze. L'autore indica due profonde motivazioni dello scontento popolare, da una parte il modo tecnocratico di concepire il bene pubblico e l'altro il metodo meritocratico di definire vincitori e perdenti. La prima motivazione è legata alla fede nei mercati e il metodo di trattare le questioni pubbliche come materia di competenza tecnica e di fuori della portata dei cittadini, svuotando i contenuti del dibattito pubblico e producendo un crescente senso di perdita di potere. Inoltre, non è la sempice diseguaglianza a creare malcontento ma il mutamento dei termini di riconoscimento e della stima sociali. Il problema della meritocrazia non è la semplice uguaglianza di opportunità, che raramente si verifica, ma la ragione è piu profondmente morale, cioè l'idea che non meritiamo essere ricompensati sulla base di fattori al di fuori del nostro controllo. Questa fede nell' ideale meritocratico produce tracotanza tra i vincitori e umiliazione e risentemento nei perdenti. La tracotanza meritocratica riflette la tendenza dei vincitori a godere troppo del proprio successo dimenticandosi della fortuna e della buona sorte. Per i perdenti risulta difficile sfuggire al pensiero demoralizzante di essere la causa del proprio fallimento. Questa versione tecnocratica della meritocrazia spezza il legame tra merito e giudizio morale, indebolendo le società democratiche e svuotando la discussione democratica di significato e moralità, e questi vuoti vengono riempiti da espressioni aspre e autoritarie di identità.
L'ideale meritocratico attribuisce un grande peso alla idea di responsabilità individuale, il cui lato oscuro è la tracotanza indotta dalla fiducia nel proprio merito, di fatto bandisce l'etica della fortuna e allinea il successo con la meritevolezza morale. Questa retorica della responsabilità, che è divenuta cosi familiare nel discorso politico, ci fa perdere il nesso con le interpretazioni meritocratiche del successo, inoltre più consideriamo noi stessi come individui che si sono fatti da sé e meno è probabile che ci preoccupiamo del destino dei meno fortunati. Segue una analisi filosofica sulla meritocrazia in particolare Hayek che operava una distinzione tra merito e valore ma per respingere le richieste di redistribuzione e Rawls, che propendeva per un principio di indifferenza cioè un accordo per considerare la distribuzione delle doti naturali come un patrimonio comune da condividere. In ogni caso l'autore afferma che anche una mertocrazia basata sulle pari opportunità di partenza potrebbe essere una società ingiusta e comunque molto diseguale e, inoltre, non tiene conto dei talenti che sono una dotazione naturale, pertanto è un errore ritenere di meritare i benefici derivanti da essi.
Segue poi una critica ai metodi iperselettivi delle univeristà di élite americane con le loro distorsioni e i problemi generati dagli eccessi di competività negli studenti. Mentre fino agli anni '80 anche per chi non aveva una laurea era possibile trovare un buon lavoro e condurre una vita confortevole da alcuni decenni non è più cosi e i divari retributivi tra i laureati, speciamente nelle università di èlite, e i semplici diplomati sono cresciuti enormemente. Ma i problemi non sono solo economici vi è un problema di stima sociale, di ruolo e la posizione nella società, la rabbia viene da una perdita di riconoscimento e stima, per questo bisogna dare nuova dignità al lavoro. Non è importante solo il ruolo come consumatori ma anche come produttori nella società, il lavoro va considerato una attività socialmente integrante, un arena di riconoscimento. Dobbiamo riparare i legami sociali che l'era del merito ha rovinato.
L'uguaglianza di opportunità è un correttivo moralmente necessario alla ingiustizia ma è un principio riparatore non un ideale adeguato a una società buona. La visione esaltante della libertà individuale in realtà ci allontana dalle obbligazioni di un progetto democratico condiviso. La convinzione meritocratica rende la solidarietà un progetto quasi impossibile, mentre un vivo senso di contingenza delle nostre fortune può ispirare una certa umiltà che permetta di superare la tirannia del merito verso una meno rancorosa e più generosa vita pubblica.
Ovviamente la mia recensione sintetizza il contenuto del libro che è molto vasto e interessante; devo dire che è un libro che mi è piacuto molto, piuttosto spiazzante verso alcune convinzioni meritocratiche molto comuni anche nei progressisti. Inoltre rappresenta una lettura ancor più approfondita del disagio sociale delle nostre società, dove oltre alla profonda disuguaglianza si aggiunge un senso di frustrazione e di impotenza che trova poi sfogo nella rabbia e nello sfruttamento del malessere da parte delle forze populiste. Credo che tali riflessioni dovrebbero essere interiorizzate dalle cosiddette forze di sinistra progressista che per troppo tempo hanno trascurato i risentimenti popolari, e che non basta stabilire le condizioni di parità di partenza, che sono ben lontane da essere realizzate, ma bisogna ridare dignità e voce anche ai tanti che non possono diventare èlite economiche o intellettuali.