Dell'autore, Dani Rodrik professore di Economia Politica Internazionale presso la Università di Harvard, ne abbiamo parlato spesso in questo blog recensendo articoli e libri, diciamo che è uno dei miei autori preferiti.
Il libro che recensisco oggi non è recente, infatti è del 2007 ma è comunque un libro importante. Di fatto contiene molti degli argomenti che verranno sviluppati nei suoi successivi libri: La Globalizzazione Intelligente (The Globalization Paradox) e Dirla tutta sul mercato globale (Straight Talk on Trade). A differenza dei due citati è un libro meno unitario, infatti si tratta di insieme di pubblicazioni e articoli tecnici, pertanto è anche meno dedicato al grande pubblico. Il primo capitolo è dedicato alla crescita dei paesi meno sviluppati e contiene dati relativi agli ultimi 50 anni. Le conclusioni sono che il menù di soluzioni per la crescita è molto ampio, le ricette che funzionano meglio sono quelle che si adattano al contesto locale. Non esiste un unica forma di istitutuzioni che funziona. Non sempre le soluzioni che funzionano sono quelle che prescrive la ortodossia economica, spesso le riforme migliori sono quelle che combinano scelte ortodosse e non ortodosse. Comunque per far partire la crescita non servono delle riforme estensive ma ne bastano alcune mirate, mentre una crescita sostenuta e continuativa è molto piu complicata da ottenersi, e una crescita nel breve non garantisce una crescita nel lungo. Una crescita a lungo termine necessita lo sviluppo di istituzioni che mantengano un produttivo dinamismo e generino resilienza agli shock esterni.
Il secondo capitolo rigurda la cosiddetta diagnostica della crescita, cioè la strategia per comprendere le priorità politiche. Una economia che non performa ha sicuramente delle imperfezioni e distorsioni di mercato. In presenza di molte distorsioni, riforme estensive in ogni area molto probabilmente falliscono, pertanto è meglio concentrarsi sulle distorsioni prevalenti e, quindi, focalizzarsi su quelle riforme dove, ragionevolmente, gli effetti diretti sono maggiori e verso i fattori che maggiormente limitano la crescita. Segue un analisi dettagliata delle caratteristiche di alcuni paesi del Sud America dove si evidenziano le differenze sui fattori critici quali ad esempio: limitati risparmi, scarsi investimenti, alte tasse, macroinstabilità ecc., che limitano la crescita.
Un capitolo è dedicato alle politiche industriali. La natura delle politiche industriali dovrebbe presentare la caratteristica di essere complementare alle forze di mercato. Il modello corretto di politica industriale dovrebbe prevedere una collaborazione strategica tra il settore privato e il governo con lo scopo di scoprire i maggiori ostacoli allo sviluppo e nel determinare gli interventi che possano rimuoverli. Va detto che la innovazione è limitata nei paesi in via di sviluppo piu dalla domanda che dalla offerta. Inoltre, l'assenza di opportunità economiche deprime i ritorni sull'investimento educativo. La specializzazione, secondo la teoria dei vantaggi comparati, dovrebbe essere un elemento essenziale dello sviluppo, anche se, ovviamente, la diversificazione ha molti vantaggi e diventa indispensabile con lo sviluppo. La diversificazione comunque non è un processo naturale ed è difficile che si verifichi senza l'intervento della azione pubblica. La diversificazione richiede la "scoperta" di nove attività, queste attività per gli imprenditori prevedono costi privati ma comportano guadagni sociali (esternalità), per questo dovrebbero essere favorite. La scoperta di nuove attività per la esportazione, per alcuni autori è positivamente connessa alle barriere alla entrata; si rivela utile anche sussidiare gli investimenti in nuove industrie e forme di protezione dal commercio. Un altro problema è che gli investimenti su larga scala hanno grandi costi fissi, diventa quindi importante coodinare le decisioni di investimento e produzione di diversi imprenditori, in generale le nuove tecnologie richiedono qualche forma di supporto pubblico. Questo spiega perchè spesso lo sviluppo industriale nelle economie in via di sviluppo richiede assistenza governativa. Ovviamente ci sono molte controindicazioni che la letteratura economica pone all'intervento del governo. Per l'autore ci sono comunque alcuni elementi essenziali affinchè le politiche industriali funzionino:
- gli incentivi dovrebbero andare principalmente a nuove attività;
- ci dovrebbero essere dei chiari criteri di benchmark per valutare le attività sussidiate;
- ci deve essere un tempo limite agli aiuti;
- il supporto pubblico deve essere rivolto ad attività e non a settori industriali;
- le agenzie pubbliche incaricate devono avere competenze e essere ben in contatto con il privato;
Pertanto, nonostante le restrizioni che vengono poste da piu parti alle politiche industriali (es. WTO), è difficile pensare che possano sparire dall'orizzonte dei decisori politici.
Un ulteriore capitolo è dedicato alle istituzioni per la crescita. In primo luogo l'autore ribadisce che i mercati hanno bisogno del supporto delle istituzioni non di mercato, una economia di mercato è di fatto anche integrata con le istituzioni di non mercato. Inoltre, gli investimenti sono importanti per lo sviluppo, e gli investimenti sono sensibili agli incentivi e tali incentivi potrebbero non funzionare senza adeguate istituzioni. Una definizione generale di istituzioni potrebbe essere: un insieme di regole di comportamento che governano e modellano le interazioni degli esseri umani. Le istituzioni che contano sono: i diritti di proprietà stabili e sicuri, istituzioni regolatorie del mercato, istituzioni per la macrostabilità economica e per la assicurazione sociale e, infine, istituzioni per la gestone dei conflitti. Una prima conclusione è che le forme istituzionali non sono determinate in maniera univoca. Un altro aspetto importante è che le istituzioni devono essere sviluppate localmente piuttosto che da un approccio top down, cioè imposte. Da una serie di dati su moltissime nazioni emerge poi che le istituzioni democratiche producono maggiore crescita nel lungo termine, una maggiore stabilità nel breve e resistono meglio agli shock e, infine, sono migliori dal punto di vista dell'equità distributiva. In conclusione non serve una trasformazione su larga scala per innescare la crescita ma basta anche un set minimo di cambiamenti, ovviamente per la crescita sostenuta nel tempo sono necessarie invece solide istituzioni.
L'ultima parte del libro è dedicata alla globalizzazione, che come sappiamo pone opportunità e sfide, da una parte la espansione del mercato ha consentito ad alcune economie di svilupparsi, d'altra parte ha posto difficoltà agli Stati nel finanziarsi le reti di sicurezza sociale. Ciò lo porta ad un abbozzo di quello che sarà poi il famoso trilemma, cioè la impossibilità di avere contemporanemante una autonomia nazionale, una economia integrata a livello internazionale e politiche democratiche.
Di fatto le regole del gioco della economia globale hanno ristretto le possibilità di influenza dei movimenti popolari e le politiche attuabili a livello nazionale. Il regime di Bretton Wood-GATT aveva rimosso alcuni restrizioni sul commercio ma mantenuto alcune restrizioni sui flussi di capitale, il sistema è stato via via abbandonato anche perchè le innovazioni delle comunicazioni e dei trasporti hanno reso la globalizzazione più estesa e facile. D'altra parte, mentre si espandono in sempre maggiori aree le regolamentazioni sul commercio e sulla finanza, dovrebbero essere parimenti rinforzati i meccanismi di opzione di uscita temporanea dai regimi stabilti, per dare maggiori possibilità di azione ai policy-makers nazionali. Quello che auspica l'autore è una forma di federalismo globale che sappia coniugare tradizionali forme di governance locale con istituzioni regolatorie multilaterali e standard internazionali. Promuovere lo sviluppo non è sinonimo di massimizzazione del commercio come vorrebbe il WTO, infatti non c'è nessuna evidenza convincente che la liberalizzazione del commercio sia associata con il conseguente sviluppo. La integrazione economica è più un esito auspicabile che un pre-requisito, il raggiungimento di un certo volume di scambi dipende da molte cose e, soprattutto, dalla performance generale della economia. Nessuna economia si è sviluppata semplicemente aprendosi al commercio e a investimenti esteri, anzi gli esempi di India e Cina mostrano che le riforme del commercio hanno avuto luogo una decade dopo la crescita e molte restrizioni sono rimaste. Le nazioni devono avere la opportunità di massimizzare i vantaggi e minimizzare i rischi nella partecipazione alla economia mondiale, e non bisogna sottovalutare la importanza del ruolo dello Stato nel processo di trasformazione economica. Anche gli Stati sviluppati hanno altresì il diritto di proteggere le loro organizzazioni sociali (welfare, leggi sul lavoro, ecc.). In sintesi le conclusioni sono: il commercio non è un fine a se stante, le regole del commercio devono permettere le diversità tra le istituzioni nazionali, le nazioni non democratiche non possono avere gli stessi privilegi di quelle democratiche e, infine, le nazioni devono avere il diritto di proteggere le proprie istituzioni e le proprie priorità di sviluppo.
Come si evince dalla sintesi è un libro molto ricco di informazioni e dati, in cui le tesi sono corroborate dalle evidenze di studi approfonditi. Ovviamente c'è nel libro molto di più di quanto sintetizzato da me, è un libro dunque interessante per chi vuole approfondire le tematiche affrontate: sviluppo, politiche industriali, globalizzazione, accordi commerciali. Un libro non proprio dedicato al grande pubblico ma molto chiaro nella esposizione dei concetti.