Abbiamo superato la quota delle 1000 visualizzazioni del blog, è un grande risultato? Credo di no, ma d'altra parte non mi preoccupa più di tanto, non cerco di avere un pubblico vastissimo e quindi mi va bene così, la cosa penso positiva è che circa la metà degli accessi vengono dall'estero, da svariati paesi. Comunque, se sono riuscito ad interessare anche solo 10 persone e gli ho stimolato qualche riflessione o voglia di approfondimento e, ancora meglio, l'interesse a leggere qualcuno dei libri che ho recensito, il risultato per me è significativo. L'obiettivo di questo blog è stimolare, anche solo pochi cittadini, ad aumentare la consapevolezza e avere qualche strumento in più per comprendere la complessa realtà economico-sociale che ci circonda. Stay tuned, bye.
Le idee degli economisti e dei filosofi politici, tanto quelle giuste quanto quelle sbagliate, sono più potenti di quanto comunemente si creda. In realtà il mondo è governato da poco altro. Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto. John Maynard Keynes
venerdì 22 maggio 2015
giovedì 21 maggio 2015
Dani Rodrik - La globalizzazione intelligente - Laterza
Il libro che presentiamo oggi è molto interessante e ben scritto da Dani Rodrik, di origini turche ma professore di Economia Politica Internazionale alla John F. Kennedy School of Government alll'Università Harvard negli Stati Uniti.
Il titolo in inglese, che a mio parere è più azzeccato, The globalization paradox, spiega meglio il tema del libro, ovvero del paradosso o come vedremo più avanti, quello che l’autore definisce il trilemma della globalizzazione.
Nella prima parte c’è una lunga e molto accurata ricostruzione storica, si parte dalla prima
globalizzazione, quella che iniziata nell’800, per effetto combinato delle innovazioni tecnologiche e del gold standard ma, sopratutto, in virtù delle politiche «imperialistiche» delle potenze occidentali, che finisce
con la prima guerra mondiale, a cui segue un periodo di rinascita del
protezionismo anche a causa della Grande Depressione.
Il secondo dopo guerra è caratterizzato
dagli accordi di Bretton Woods che, con gli accordi commerciali del
GATT, permettono comunque un aumento della globalizzazione, ma consentono agli
Stati nazionali quei giusti margini di manovra per portare avanti anche politiche sociali e comunque non consentono una completa mobilità dei capitali finanziari.
Con la caduta del sistema del dollaro ancorato all’oro (gold
exchange standard) nel 1971, si avvia una
fase di accelerazione della globalizzazione e, soprattutto, del movimento dei
capitali finanziari anche per effetto dei cambiamenti ideologici.
La visione dell’autore è che questa eccessiva libertà di movimento dei capitali ha portato ad una grave instabilità e a gravi crisi in molti paesi. Infatti, tra i paesi emergenti, solo quelli che sono riusciti a contenere, con un forte intervento dello Stato, queste dinamiche sono riusciti a graduare il passaggio e ne hanno tratto un maggior beneficio (ad es. Corea e la stessa Cina).
Alla luce della storia passata, per Rodrik, si pone quindi un "trilemma", ovvero se si vuole una maggiore globalizzazione si deve rinunciare o allo Stato o alla democrazia, perché tutte e tre le alternative non sono perseguibili e compatibili:
"non appare possibile perseguite simultaneamente la democrazia, assumere decisioni a livello nazionale e realizzare la globalizzazione economica".
Il punto di vista dell’autore è che, se si vuole salvare la democrazia, o si passa ad un sistema di governance globale o si mantiene un certo grado di indipendenza degli Stati nazionali dalle regole imposte dalla globalizzazione.
La visione dell’autore è che questa eccessiva libertà di movimento dei capitali ha portato ad una grave instabilità e a gravi crisi in molti paesi. Infatti, tra i paesi emergenti, solo quelli che sono riusciti a contenere, con un forte intervento dello Stato, queste dinamiche sono riusciti a graduare il passaggio e ne hanno tratto un maggior beneficio (ad es. Corea e la stessa Cina).
Alla luce della storia passata, per Rodrik, si pone quindi un "trilemma", ovvero se si vuole una maggiore globalizzazione si deve rinunciare o allo Stato o alla democrazia, perché tutte e tre le alternative non sono perseguibili e compatibili:
"non appare possibile perseguite simultaneamente la democrazia, assumere decisioni a livello nazionale e realizzare la globalizzazione economica".
Il punto di vista dell’autore è che, se si vuole salvare la democrazia, o si passa ad un sistema di governance globale o si mantiene un certo grado di indipendenza degli Stati nazionali dalle regole imposte dalla globalizzazione.
Il sistema di governance globale, seppur invocato da molti
autori, per Rodrik è in tempi brevi irrealizzabile (una chimera), anche per le diversità oggettive di natura economica ma anche culturale delle situazioni nelle varie
nazioni. Pertanto, nella parte finale del
libro, da alcune indicazioni di massima
sulla strada da percorrere che, in sintesi, sono rappresentate da uno
strato minimale di regole comuni ma da
una certa autonomia e indipendenza degli Stati nazionali, in modo da poter perseguire
obiettivi che salvaguardino il benessere della maggioranza dei cittadini:
"Le democrazie hanno il diritto di proteggere i loro patti sociali, e quando tale diritto entra in conflitto con le esigenze dell'economia globale, è quest'ultima che deve cedere il passo.".
"Le democrazie hanno il diritto di proteggere i loro patti sociali, e quando tale diritto entra in conflitto con le esigenze dell'economia globale, è quest'ultima che deve cedere il passo.".
Infatti, un ulteriore aumento della globalizzazione, oltre
a portare indubbiamente qualche piccolo vantaggio, spesso per pochi, genera per molti delle gravi difficoltà e per
questo giustamente è molto mal vista e osteggiata.
In conclusione un libro che contiene moltissimi spunti di riflessione, molto più di quanto consenta questa sintesi, e che non dovreste mancare di leggere.
In conclusione un libro che contiene moltissimi spunti di riflessione, molto più di quanto consenta questa sintesi, e che non dovreste mancare di leggere.
venerdì 8 maggio 2015
Thomas Piketty - Il Capitale nel XXI secolo- Bompiani
Parto da una premessa, questo libro è stato un grande successo editoriale e viene considerato uno dei libri economici più importanti del 2014, pertanto una recensione era dovuta, devo comunque avvertire che è un libro pieno di dati e voluminoso, circa 1000 pagine, pertanto non può essere letto tutto di un fiato, come un giallo, ma con la doverosa calma.
Detto ciò veniamo al
contenuto del libro, nella prima parte l’autore mostra che, nei paesi sviluppati,
i dati evidenziano come il capitale
(patrimoni) privato, e non quello dello Stato, dopo aver subito una
profonda riduzione dovuta alle due guerre mondiali ha ripreso a crescere e si
sta riportando ai valori che aveva a fine ‘800.
Questa andamento non può,
per Piketty, che avere la tendenza a
peggiorare data la riduzione della crescita economica e di quella demografica.
Ovviamente ci sono delle differenze con il passato, i patrimoni non sono più
terrieri ma principalmente immobiliari, finanziari e industriali, e i
possessori non sono i puri rentiers ma sostituiti ormai dalla la classe dei
super-dirigenti strapagati. Inoltre, le
diseguaglianze patrimoniali sono e restano molto più estreme e concentrate che
le diseguaglianze di reddito. In questa concentrazione ha ripreso ad avere un
ruolo importante anche l’aumento dei flussi ereditari.
Le conclusioni
dell’autore sono, quindi, logicamente che bisogna ri-aumentare, come era nel
recente passato, il livello di tassazione progressiva sul reddito e anche sulle
eredità ma, soprattutto, sul capitale. Quest’ultima non tanto per finanziare lo
Stato sociale ma con lo scopo di
regolare il capitalismo patrimoniale.
L’autore si rende conto,
realisticamente, che queste indicazioni sono difficili da realizzare, praticamente
utopie, anche perché gli Stati nazionali
non hanno più la dimensione adeguata, e quindi la forza, di produrre e
applicare regole efficaci nel quadro del capitalismo attuale, patrimonializzato
e anche globalizzato.
Conclude comunque con
auspicio:
«Affinchè la
democrazia riesca un giorno a riprendere il controllo del capitalismo bisogna
partire dal principio che le forme concrete della democrazia e del capitale
sono ancora e sempre da reinventare».
Il libro è molto interessante e comunque, pur essendo complesso e ricco di informazioni, è scritto in maniera molto chiara e semplice, con anche piacevoli riferimenti letterari, per cui credo ripaghi pienamente l’impegno di lettura.
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