Il
libro di cui parliamo oggi è Supercapitalismo (Fazi editore) di Robert Reich, economista dell’Università
di Berkeley, ex Segretario del Lavoro di Clinton e anche consigliere di Barack
Obama.
Nel libro l’autore presenta una ricostruzione, molto ben documentata, sulla evoluzione del capitalismo, soprattutto USA dal dopoguerra ad oggi, che lo trasforma in quello che appunto lui definisce “supercapitalismo”.
Nel dopoguerra, periodo che l’autore definisce “età proprio non dell’oro” per sottolineare un epoca positiva ma anche con alcune ombre, si concretizza un certo equilibrio tra democrazia e capitalismo. Infatti il mercato è caratterizzato da una moderata competizione internazionale e quindi da poche imprese oligopolistiche che, quindi, riescono a spuntare dei prezzi che gli consentono adeguati profitti, ma la presenza di un forte Stato nazionale e anche la forza dei sindacati garantisce che anche l’occupazione e i salari aumentino con conseguente crescita di una classe media. Questo equilibrio che ha i suoi difetti per il consumatore, minore possibilità di scelta, si spezza a partire dagli anni 70. Le cause di questo sono molteplici e interdipendenti. Tra queste cause ci sono: la evoluzione tecnologica, l’aumento della globalizzazione e concorrenza internazionale. Ci sono anche componenti più ideologiche e politiche, come l’affermazione delle teorie liberiste e la loro adozione da parte di politici (Reagan e Thatchter per esempio), con l’attuazione di politiche di deregulation. Tutto ciò rende la competizione sempre più forte e consente alle imprese di allargare le catene produttive verso altri paesi, a minor costo. Con il collasso dell’Unione Sovietica e, quindi, la sparizione dello spauracchio anche del comunismo, si compie l’atto finale comportando anche l’ingresso dei paesi dell’area dell’est nell’arena competitiva. Questo comporta la sempre maggiore internazionalizzazione delle imprese, con conseguenti minori vincoli verso gli Stati nazionali e le comunità locali. Da una parte questo comporta alcuni benefici per i consumatori ed investitori, con maggiori possibilità di scelta e riduzioni di costo (si pensi ad esempio ai mercati delle telecomunicazioni e a quello del trasporto aereo), questi vantaggi sono comunque più che bilanciati dalla perdite come cittadini in termini di sicurezza del lavoro e riduzione delle retribuzioni, in sintesi l’autore afferma:
Nel libro l’autore presenta una ricostruzione, molto ben documentata, sulla evoluzione del capitalismo, soprattutto USA dal dopoguerra ad oggi, che lo trasforma in quello che appunto lui definisce “supercapitalismo”.
Nel dopoguerra, periodo che l’autore definisce “età proprio non dell’oro” per sottolineare un epoca positiva ma anche con alcune ombre, si concretizza un certo equilibrio tra democrazia e capitalismo. Infatti il mercato è caratterizzato da una moderata competizione internazionale e quindi da poche imprese oligopolistiche che, quindi, riescono a spuntare dei prezzi che gli consentono adeguati profitti, ma la presenza di un forte Stato nazionale e anche la forza dei sindacati garantisce che anche l’occupazione e i salari aumentino con conseguente crescita di una classe media. Questo equilibrio che ha i suoi difetti per il consumatore, minore possibilità di scelta, si spezza a partire dagli anni 70. Le cause di questo sono molteplici e interdipendenti. Tra queste cause ci sono: la evoluzione tecnologica, l’aumento della globalizzazione e concorrenza internazionale. Ci sono anche componenti più ideologiche e politiche, come l’affermazione delle teorie liberiste e la loro adozione da parte di politici (Reagan e Thatchter per esempio), con l’attuazione di politiche di deregulation. Tutto ciò rende la competizione sempre più forte e consente alle imprese di allargare le catene produttive verso altri paesi, a minor costo. Con il collasso dell’Unione Sovietica e, quindi, la sparizione dello spauracchio anche del comunismo, si compie l’atto finale comportando anche l’ingresso dei paesi dell’area dell’est nell’arena competitiva. Questo comporta la sempre maggiore internazionalizzazione delle imprese, con conseguenti minori vincoli verso gli Stati nazionali e le comunità locali. Da una parte questo comporta alcuni benefici per i consumatori ed investitori, con maggiori possibilità di scelta e riduzioni di costo (si pensi ad esempio ai mercati delle telecomunicazioni e a quello del trasporto aereo), questi vantaggi sono comunque più che bilanciati dalla perdite come cittadini in termini di sicurezza del lavoro e riduzione delle retribuzioni, in sintesi l’autore afferma:
Il capitalismo è diventato più sensibile alle nostre richieste individuali in quanto consumatori, ma la democrazia è sempre meno sensibile alle nostre richieste collettive in quanto cittadini.
La trasformazione del capitalismo ha
anche comportato un crescente
peso delle aziende nelle decisioni politiche, rappresentato dall’autore
dalla crescente opera e spesa per l’attività di lobbying. Inoltre, il processo di trasformazione del capitalismo,
ha innescato una crescita della diseguaglianza distributiva, con la impennata
delle retribuzioni dei manager e la riduzione dei salari degli altri e, quindi,
anche una maggiore concentrazione della
ricchezza. L’autore, in parte,
assolve le aziende in quanto rispondono
solo alla richieste di maggiore competitività e di realizzare profitti e, quindi, in buona parte è soprattutto colpa nostra e del nostro atteggiamento
“schizofrenico”, che come consumatori e investitori spingiamo per risparmiare sui consumi o guadagnare di più con gli
investimenti. Nel finale, Reich, da
alcune indicazioni, ma l’aspetto più rilevante per l’autore, è che dobbiamo
aumentare la consapevolezza del nostro duplice ruolo di cittadini e consumatori
e quindi che il cambiamento dipende da noi e dalla nostra volontà di contare di
più come cittadini, infatti conclude:
possiamo farcela solo se ci assumiamo seriamente le nostre responsabilità in quanto cittadini, e salvaguardiamo la nostra democraziaNel complesso il libro è dunque molto interessante e ben scritto e consente di comprendere meglio la evoluzione del capitalismo con i suoi vantaggi e i suoi limiti. Ritengo che evidenzi comunque poco l’aspetto della enorme crescita del capitalismo finanziario che, con le su aberrazioni, ci ha regalato la crisi in cui adesso ci ritroviamo. Inoltre, manca anche un elemento evidenziato da Stiglitz nel suo libro, La globalizzazione e i suoi oppositori, ovvero che mancano quelle istituzioni globali in grado, viste ormai le difficoltà degli stati nazionali, di rappresentare la volontà dei cittadini e limitare lo strapotere del "supercapitalismo".