venerdì 22 aprile 2016

Le idee della economia - Teorie dell'interesse

Le teorie dell’interesse, da Aristotele sino alla fine del  medioevo, avevano più che altro un carattere etico-religioso, la discussione era imperniata sulla liceità di richiedere e ottenere un interesse sulle somme prestate. Da questo punto di vista le posizioni erano generalmente negative,  la richiesta di interesse si identificava di fatto con “l’usura” e quindi riprovevole dal punto di vista morale.
Con l’evoluzione economica e lo sviluppo dei commerci, a partire soprattutto dalla fine del ‘400, le posizioni  cominciano  a diventare più sfumate e si inizia a distinguere  tra la  richiesta di interesse che diviene lecita, a fronte dei rischi e come beneficio per la perdita di opportunità dovuta al prestito, e l’usura vera e propria che viene caratterizzata dal fatto di richiedere un interesse particolarmente elevato.
Nel periodo dell’economia classica l’interesse diviene la remunerazione di un fattore produttivo, il capitale, che  rende tale remunerazione lecita come per gli altri fattori produttivi, terra e lavoro, dove prende il nome rispettivamente di  rendita e  salario.
L’intuizione innovativa di Bohm-Bawerk, Eugen von Böhm-Bawerk (1851–1914) economista austriaco considerato  esponente fondamentale della scuola austriaca, è quella di inserire la dimensione temporale come giustificazione dell’interesse. In particolare Bohm-Bawerk  evidenzia che, per motivi psicologici, gli individui tendono a preferire il consumo presente a quello futuro, quindi l’interesse è la ricompensa, per chi concede il prestito, alla rinuncia al consumo presente a beneficio di colui che chiede il prestito.
La spiegazione diviene più complessa passando dalla sfera individuale a quella produttiva. La tesi che  Bohm-Bawerk sostiene è che i metodi lavorativi “indiretti” siano più efficienti di quelli “diretti” ma richiedono tempi più  lunghi.
Per spiegare tali concetti e le differenze dei due metodi facciamo un esempio banale: per fare uno scavo potrei utilizzare le mani (metodo diretto), tale metodo è immediato nel senso che posso partire subito a scavare ma evidentemente poco efficiente. Per effettuare lo scavo con maggiore efficienza devo ricorrere a qualche strumento, dalla pala e piccone sino ad arrivare a un escavatore. E’ chiaro che l’uso degli strumenti (metodo indiretto) aumenta la l’efficienza del lavoro ma in qualche modo possiamo dire che richiede “tempi più lunghi”, nel senso che per costruire tali strumenti ci vuole del tempo o, più realisticamente, richiede la loro acquisizione e quindi dei capitali per comprarli.
Pertanto, in conclusione, i metodi indiretti sono più efficienti ma richiedono un anticipazione dei capitali, pertanto la maggiore efficienza comporta un periodo di produzione più lungo e, il beneficio di una maggiore produttività, richiede l’esborso di un interesse per acquistare la disponibilità di capitali necessari per acquisire i mezzi di produzione. Come si vede si torna al concetto di produttività del capitale ma questa volta avendo evidenziando  l’aspetto temporale del problema.
Un ulteriore contributo alle concezioni delle teorie dell’interesse si deve a Wicksell, Johan Gustaf Knut Wicksell (1851–1926) economista  svedese.
Il concetto innovativo a lui dovuto è quello di distinzione tra interesse monetario e interesse “reale”.
L’interesse monetario è quello che si forma nel mercato del credito, ovvero laddove c’è una domanda di capitali da parte dei produttori e l’offerta di credito attraverso il circuito bancario. Il prezzo di acquisire la liquidità, e quindi l’interesse, varia in funzione della domanda e dell’offerta di capitali.
L’interesse “reale” è quello che si forma nella sfera produttiva e quindi connesso al “rendimento”[1] del capitale investito nel settore produttivo, se questo rendimento è maggiore dell’interesse monetario si avrà un incentivo ad effettuare investimenti, viceversa gli investimenti tendono a diminuire.
Sono quindi queste differenze di interesse che determinano la propensione ad investire, questo permette a Wicksell di proporre una teoria per la  spiegazione dei cicli economici che influirà su Keynes ed Hayek, come vedremo in seguito.
La spiegazione del ciclo è la seguente: quando l’interesse monetario cresce e supera quello reale, questo tende a sfavorire gli investimenti e di conseguenza a generare una rallentamento degli investimenti produttivi e ad innescare un ciclo economico recessivo. Al contrario, quando l’interesse monetario è inferiore a quello reale, si generano le condizioni favorevoli agli investimenti e quindi  ad un ciclo espansivo.
Irving Fisher, di cui parleremo più diffusamente nel prossimo post, riprende i concetti sull’interesse sviluppati da Bohm Bawerk ma li sviluppa con maggiore rigore matematico, per cui nei daremo solo un cenno.
Fisher conferma l’aspetto psicologico individuale di preferenza al consumo presente rispetto a quello futuro, precisando che tale tendenza è funzione del reddito atteso e dalla disponibilità di fondi e che il tasso di interesse si determina nell’equilibrio tra domanda e offerta tra agenti economici,  che hanno diverse  disponibilità e motivazioni a prendere o dare in prestito fondi.
Per quanto riguarda l’interesse nell’aspetto produttivo, quindi visto nell’ottica della convenienza  ad  effettuare un investimento, Fisher  analizza le modalità con cui avviene la scelta tra diverse opportunità di investimento. In particolare, per un dato investimento, si può ipotizzare una serie di rendimenti futuri, ad esempio se compriamo un immobile e lo affittiamo ne ricaveremo degli affitti nel tempo. Dato che queste somme, che riceviamo nel futuro, valgono meno che nel presente le dobbiamo ridurre (scontare) per aver il valore corrispondente nel presente, quindi ipotizzando un certo tasso di interesse si può valutare, mediante una formula matematica[2] e  sulla base dei flussi di reddito attesi, il valore presente (attuale) dell’investimento, questa valutazione consente il confronto tra  investimenti alternativi.
Tale analisi verrà ripresa da Keynes nello sviluppare il concetto di efficienza marginale del capitale ed evidenziare la relazione inversa  tra livello degli investimenti e tasso di interesse, infatti a parità di rendimenti attesi dell’investimento effettuato, all’aumentare del tasso di interesse, il valore (attuale) di un investimento diminuisce e quindi diviene meno conveniente fare un investimento.




[1] Per precisione si dovrebbe parlare di produttività marginale del capitale, che esprime quanto varia il prodotto per effetto della corrispondente  variazione del  capitale.
[2]Ipotizzato un certo tasso di interesse (i) e un flusso di redditi uguali (r), si può attualizzare, cioè determinare il valore attuale/presente di un investimento con la formula: valore attuale = sommatoria (per k che va da 1 a N) di r/(1+i)k, dove N sono il numero di anni o periodi temporali considerati, nel caso di N infinito il valore attuale diviene r/i, che indica la relazione inversa con il tasso di interesse.

mercoledì 20 aprile 2016

G. Akerlof, R. Shiller - Phishing for phools- The economics of manipulation and deception

Questo libro è l’ultimo lavoro di Akerlof e Shiller, entrambi economisti e vincitori del premio Nobel per l’economia.
Il titolo non è di facile traduzione, il “phishing” è una frode informatica, quella ad esempio tipica delle finte mail per carpire i tuoi dati, mentre i “phools” sono quelli che vengono “frodati”. Il senso che danno gli autori è più generale e meno illegale, ovvero è più un inganno che una frode, e coloro che vengono ingannati lo sono o per motivi psicologici o per mancanza di informazioni. Traducendo con un pò di fantasia e per assonanza potremmo dire che “phishing the phools” potrebbe sembrare come ”spennare i polli”.

Nel libro gli autori elencano e illustrano i molti modi e ambiti in cui veniamo ingannati, in quanto il fenomeno è molto diffuso.
Il punto fondamentale è che le persone prendono delle decisioni che non sono spesso nel loro vero interesse e non scelgono veramente quello che vogliono, e nel mercato se uno ha una debolezza qualcuno cercherà di sfruttarla. 
Nei mercati liberi dunque non c’è solo libertà di scegliere ma anche di “ingannare”, e si forma quello che gli autori chiamano un “phishing equilbrium”. Come detto tali inganni vengono perpetrati sia per motivi psicologici sia fornendo false informazioni che ci fanno prendere decisioni sbagliate. Il mercato non produce solo quello che vogliamo ma anche altro che ci devono vendere, pertanto veniamo indotti in tentazione.
Un altro aspetto importante che viene utilizzato nella pubblicità è la “narrazione”, in quanto siamo psicologicamente portati a ragionare in termini di narrazione e quindi influenzati dalle storie, quindi la pubblicità e il marketing sono alla ricerca del messaggio giusto e della storia giusta da proporre alle giuste persone.
L’elenco degli ambiti in cui veniamo ingannati, come detto, è ampio: si va dal mercato immobiliare a quello dell’auto, il mercato dei farmaci, quello del tabacco e degli alcolici, ma anche la stessa politica. Ovviamente non manca il mercato finanziario in cui vengono illustrati i casi di frode e bancarotta delle casse di risparmio e prestiti americane, il mercato dei junk-bond degli anni ’80 sino ad arrivare alla recente crisi finanziaria.
Gli autori dedicano anche un capitolo agli “eroi” che sono coloro i quali lavorano agli standard di qualità e chi ha contribuito a migliorare gli standard legali che proteggono dagli abusi del mercato.
Inoltre, contestano coloro che affermano che il problema sia lo Stato e che il mercato sostanzialmente produce il migliore dei mondi possibili, mentre le possibilità di essere frodati porta alla necessità di un attività di regolazione che è appunto uno dei compiti fondamentali dello Stato.
Le conclusioni della economia standard sono che il mercato funziona bene e necessita solo di limitati interventi relativi alle esternalità e alla distribuzione della ricchezza; al contrario gli autori affermano che, data la vera natura umana, il mercato non fornisce solo uno spazio per fornirci ciò che vogliamo ma anche per ingannarci, pertanto non è cosi efficiente come descritto dell’economia tradizionale, che non è in grado di capire il ruolo dell’inganno e del raggiro. Gli inganni ai danni dei clienti sono un fenomeno generale che porta appunto ad un equilibrio, in questa generalizzazione del problema per gli autori sta il punto principale del libro, superando in questo anche le teorie della economia comportamentale che, nelle sue analisi, ha elencato tutta una serie di comportamenti erronei e non del tutto razionali da parte delle persone ma non fornendo un quadro d’insieme.
Concludo con una citazione che, a mio parere, ben si adatta alla ultima crisi: «Il libero mercato rende le persone libere di scegliere. Ma rende anche liberi di ingannare ed essere ingannati. Ignorare queste verità e una ricetta per il disastro».
P.S Il libro è ora uscito anche in italiano con il titolo "Ci prendono per fessi" editore Mondadori.