venerdì 26 agosto 2022

Il meraviglioso mondo delle promesse elettorali

 Ci avviamo verso le elezioni che si preannunciano tra le peggiori degli ultimi anni, grande confusione, alleanze elettorali poco chiare e di convenienza, e soprattutto programmi elettorali infarciti, spesso, di promesse elettorali costose e spesso inutili se non controproducenti. 

Qui analizzeremo sinteticamente i programmi del Centro Destra e Lega, del Movimento 5 stelle, del PD e del terzo polo (Azione-Italia Viva), trattandosi di programmi piuttosto lunghi ed elaborati tratteremo principalmente alcuni argomenti: lavoro, fisco, riforme istituzionali e PA, politica industriale 

Centro Destra e Lega

In generale il programma del Centro destra (17 pagine) è piuttosto vago e non scende nei particolari. Sulle tasse parla genericamente della pressione fiscale e di pace fiscale, quest'ultima significa di fatto altri condoni e non cita la lotta alla evasione come sempre.  Relativamente alla flat tax parla di estensione a 100.000 euro di fatturato per partite IVA, in realtà sia Salvini e sia Berlusconi parlano di Flat Tax generalizzate che significa di fatto ridurre le risorse per lo Stato a vantaggio di pochi privando certamente i meno ricchi di servizi essenziali. Sul lavoro altro vago accenno è chi più assume meno paga che detto così non significa niente, misura molto difficile da concepire. Pensioni: innalzamento delle pensioni minime  anche qui generico mentre Berlusconi parlava di 1000 euro che sarebbe giusto  ma molto costoso soprattutto in un paese che spende già troppo per le pensioni rispetto a tutto il resto. Il programma della Lega parla giustamente anche di agricoltura che comunque rappresenta una parte molto marginale del PIL mentre parla genericamente delle PMI (quando il problema Italiano, vedi il mio libro, è che abbiamo imprese troppo piccole mentre le imprese devono avere una grandezza minima per essere efficienti). Come riforma istituzionale viene proposta la elezione diretta del Presidente della Repubblica che non risolve niente 

Riduzione del orario  di lavoro a parità di stipendio, misura  populista se non collegata ad una spinta all'aumento di produttività.

Istituzioni: sfiducia costruttiva e limiti alla decretazione di urgenza.

Politica Industriale: in particolare si concentra su agricoltura e turismo.

 Scuola e Università: aumento degli stipendi per insegnanti e fondi ricerca.


Programma del PD 

Programma di ben 37 pagine.


Politica industriale: piano Transizione 4.0 per investimenti green, piano nazionale risparmio energetico, messa in sicurezza infrastrutture. Previsto anche un grande piano di assunzione nella PA.

Tasse: franchigia di 1000 euro sui contributi Inps, abolizione IRAP

Lavoro: salario minimo, retribuzione stage curriculari, lotta al precariato (modello Spagna).

Riduzione orario a parità di salario (come 5 stelle) ma legati ad aumenti di produttività.

Revisione del reddito di cittadinanza.

Scuola e Università: allineare stipendi alla media europea (ma la qualità dell'insegnamento?), potenziare edilizia universitaria, nuovi docenti universitari.

Nel programma troviamo anche un generico maggiore flessibilità per le pensioni. Vi è anche un cenno sulla digitalizzazione della giustizia e adeguare la organizzazione (giusto ma perché si è fatto poco fino ad adesso?)

Un programma che contiene molte cose ma infarcito di piani e fondi con poche iniziative dettagliate.


Programma di Azione e Italia Viva 

Programma  molto lungo (68 pagine) e dettagliato per cui evidenzieremo solo alcune cose.

Politica industriale: zero tasse per giovani imprenditori, facilitare la crescita dimensionale delle imprese, rafforzare industria 4,0. Sostenere la nascita di aziende innovative e transizione digitale. Piano dettagliato per agricoltura e trasporti.

C'è un piano dettagliato su energia e  ambiente su breve, medio e lungo periodo per ridurre dipendenza gas e aumentare rinnovabili con inclusione del nucleare (di cui parla anche la Lega).

Lavoro: salario minimo, detassare premi di produttività, combattere la precarietà (aumento vigilanza), regolare i tirocini curriculari, riforma del reddito di cittadinanza.

Fisco: semplificazione Irpef, riduzione tassazione per giovani sino a 30 anni, abolizione Irap, Iva solo due aliquote, lotta alla evasione.

Istituzioni e PA: miglioramento giustizia con rafforzamento organico e del processo telematico, informatizzazione uffici. Efficientare PA 

Piano dettagliato per la sanità.

Superamento bicameralismo (finalmente!). Elezione diretta del Presidente del Consiglio ( misura populistica e inutile).

Scuola e Università: obbligo fino a 18 anni, potenziamento ITS, riqualificare edifici scolastici, reclutamento docenti universitari e rete per la ricerca.

Il programma è molto completo ed  impossibile citare tutto, tra tutti i programmi è quello organizzato meglio e con maggiori dettagli sulle misure.

I programmi, in generale,  contengono cose che sono anche giuste ma in genere poco dettagliate, le cose giuste vengono regolarmente dimenticate nel corso della legislatura. Ci sono alcuni punti comuni tra i programmi per cui non si capisce perché non si fanno (vedi ad es salario minimo).

Alcune considerazioni generali di cose che in questo blog e nei miei libri  ho già detto più volte. Un paese per crescere ha bisogno di alcune cose fondamentali.

Stare al passo con la evoluzione tecnologica, infatti è la tecnologia che traina la crescita, quindi bisognerebbe favorire (rendere quasi gratuite) le lauree STEM (matematica, fisica ecc.) visto cha abbiamo carenza di laureati soprattutto nelle materie scientifiche e bisogna aumentare il numero di laureati. Giusto anche potenziare gli ITS che in Germania producono 1 milione di tecnici. Favorire la ricerca di base e quella applicata aumentando le collaborazioni pubblico privato come succede in altri paesi (ad es. nascita di start up). Gestire la  evoluzione tecnologica con la formazione continua nel pubblico e nel privato e aiutare lavoratori che saranno svantaggiati  dalla evoluzione tecnologica.

Miglioramento burocrazia, piuttosto che ridurre lo Stato bisogna rafforzarlo laddove serve. Bisogna migliorare la macchina burocratica ma non con le solite manovre facili, tagli lineari o aumenti del personale, ci vuole un piano organico di riforma della organizzazione, per questo servono anni e impegno e ci vorrebbe anche la partecipazione di un sindacato  più attento alla evoluzione che al mantenimento dello status quo.

Migliorare le istituzioni e la democrazia, le istituzioni devono essere allineate alle modifiche della società, sia in termini di diritti e sia nella organizzazione delle istituzioni. Piuttosto che ridurre i parlamentari è necessario superare il bicameralismo perfetto abolendo il senato o specializzando le camere per funzioni. Bisogna far crescere il livello di partecipazione e preparazione dei cittadini, a questo servirebbe una RAI che faccia più cultura e scimmiotti meno la pessima programmazione privata, bisogna anche favorire il giornalismo indipendente e autonomo mentre adesso è troppo schiavo dei privati o dei poteri pubblici.

Infine dovremmo favorire il senso di comunità, l'aumento delle diseguaglianze negli ultimi anni è stato enorme aumentando il disagio sociale, le classi dirigenti e più abbienti dovrebbero porsi il problema di come ridistribuire la ricchezza altrimenti avremo solo un decadimento economico e sociale della nostra società, la partecipazione alla crescita e un aumento delle possibilità per tutti i cittadini è garanzia di una società più ricca e stabile.



venerdì 5 agosto 2022

Carlo Calenda -La libertà che non libera - La nave di Teseo


Carlo Calenda è stato Ministro ed è un uomo politico che ha anche fondato un suo partito: Azione. Questo è il suo terzo libro e qui ne abbiamo recensito uno.
Questo è un libro politico in un senso particolare, infatti parla essenzialmente di valori ed etica (ethos).
Il libro inizia con la affermazione che la fragilità etica dell'Occidente è dovuta a una confusione tra desideri e diritti. Non è possibile, per l'autore, creare una società senza identità e coesione sociale. L'esistenza di un ordine morale è fondamentale affinché una società libera non perda il collante sociale.
Calenda si scaglia conto la "cancel colture", la mancata considerazione dei fenomeni storici conduce le le leadership politiche alla incapacità di comprendere la portata degli eventi che si trovano ad affrontare. Una comunità è fondata piuttosto sulla trasmissione delle idee, della storia e della cultura di un popolo, inoltre è fondata sui diritti ma anche gli obblighi.
Un errore, per l'autore, dei governi occidentali è stato di subordinare l'etica alla efficienza economica, che ha determinato la subordinazione del potere pubblico al potere economico dei privati, abbiamo ridotto la idea di società liberale al liberalismo economico.
La democrazia liberale dovrebbe essere un sistema politico basato sulla combinazione dei diritti individuali con la sovranità del popolo. Le democrazie liberali hanno fallito nel riconoscimento della dignità, una sfera più potente e profonda della efficienza economica (ambito razionale).
I cambiamenti innescati dal progresso e dalla economia di mercato destrutturano l'ordine sociale e morale che regola una comunità (vedi qui). Mentre i diritti individuali progredivano, i vincoli etici collettivi che ordinano lo spazio comune, culturale e  politico   si indebolivano.
L'autore afferma che dobbiamo ricostruire un ethos capace di riportare nella maggioranza dei cittadini la convinzione di vivere in un sistema giusto, che ricrei la loro dignità e ordini lo spazio comune fondandolo su doveri e obblighi morali.
Viviamo in una società dove comunichiamo più di prima ma ci sentiamo più soli. La solitudine è il frutto del passaggio da una società fondata sull'individualismo a una fondata sul "singolarismo", singolarismo che emerge quando subentra la volontà di sfruttare ogni recesso del mondo a fini personali senza porsi alcun limite alcuno. Stiamo assistendo al passaggio da una società dei bisogni a una società dei desideri.
Viviamo inoltra la dannazione dell'uomo prospero ma vuoto di senso e vitalità, la vita viene spogliata di qualsiasi narrazione capace di generare senso. Più aumenta la capacità del progresso di forzare i limiti dell'ordine naturale più toccherà a noi stabilire i limiti di ordine naturale.
Per l'autore la felicità pubblica, la partecipazione alla vita politica di una comunità, ha un valore superiore a quella racchiusa dal desiderio individuale. Purtroppo prevale la convinzione dei politici e dei cittadini che poco o nulla ci sia da fare per gestire il progresso e il mercato. La politica è dunque debole e non vale la pena di parteciparvi. Il problema dunque è l'assenza di etica pubblica, la consapevolezza di dover svolgere un compito appropriato rispetto al ruolo che si ricopre. La crisi italiana non è economica ma etica, culturale e sociale. Dobbiamo impegnarci a far tornare l'impegno politico nella quotidianità delle persone, riportare al centro del discorso politico ciò che è giusto che non corrisponde a ciò che economicamente efficiente. Lo sviluppo del benessere materiale non può rappresentare il novanta per cento dell'agenda politica. Va riscoperto l'idealismo inteso come consapevolezza di poter incidere sul corso della storia ricercando la felicità collettiva oltre che quella individuale, la libertà di una comunità si difende talvolta rinunciando all'esercizio dei diritti individuali. Le idee sono importanti e diventano politicamente efficaci se sono sistemate all'interno di un pensiero coerente e radicato nella storia. Esser cittadini italiani non è scontato né gratuito, l'appartenenza ad una comunità comporta doveri ed obblighi.
Come si vede un libro singolare per un politico, dove si parla di etica, morale, doveri e obblighi, mentre normalmente i nostri politici sono dediti alla attualità spicciola, più preoccupati dei sondaggi e di compiacere agli elettori che ad affrontare temi ad ampio respiro.
Devo dire che sul molti temi e considerazioni sono d'accordo, ma devo anche dire che nel libro manca la parte del "come",  ad esempio come aumentare la partecipazione dei cittadini. Un libro comunque interessante pieno anche di citazioni autorevoli e di cui consiglio la lettura, ma che rimane, come detto, un poco incompiuto nella parte delle azioni pratiche da intraprendere.

 


mercoledì 3 agosto 2022

John Quiggin - Zombie Economics- Università Bocconi Editore

Pur non essendo un libro recentissimo, 2010, è un libro valido e interessante per cui vale la pena recensirlo.

Il libro è fondamentalmente una critica alle idee della teoria economica recente, idee assurte alla notorietà ma con scarsi fondamenti e risultati pratici, tanto da non potersi più considerare idee valide, idee di fatto morte ma non del tutto, zombie appunto, perché qualcuno cerca ancora di riproporle o ristabilirne la validità.
Le idee che nel corso del libro l'autore critica sono:
  • la grande moderazione, ovvero che si fosse raggiunto un periodo di stabilità economica;
  • la ipotesi dei mercati efficienti, cioè che i prezzi generati dai mercati finanziari fossero la migliore stima del valore di un investimento;
  • l'equilibrio generale dinamico stocastico (DSGE), la idea che la macroeconomia possa essere rigorosamente individuata da modelli microeconomici basati sul comportamento individuale;
  • la idea del “gocciolamento” (trickle-down), cioè che le politiche che favoriscono i ricchi finiscono per favorire tutti;
  • le privatizzazioni, ovvero che i privati possano fare generalmente meglio dello Sato in qualsiasi settore.

La grande moderazione nasce a fine anni '90, quando il boom economico produce inizialmente un periodo di crescita dei redditi dopo un periodo di stagnazione. La espressione viene coniata da Bernanke (ex capo della FED) per definire una nuova era di grande stabilità, ai più sembrava che il ciclo economico fosse stato domato. Per gli economisti liberisti la giustificazione risiedeva nel fatto che le idee del liberismo economico avevano prodotto una prolungata prosperità. In realtà, al di sotto di un apparente stabilità, giacevano equilibri insostenibili e rischi non gestiti, al contrario di quello che pensavano gli economisti mainstream per cui i mercati finanziari erano in grado di gestire i rischi grazie anche alle politiche delle banche centrali; i rischi infatti sarebbero stati gestiti meglio dagli individui e imprese piuttosto che dai governi. D'altra parte gli economisti keynesiani e non allineati (es. Minsky) ritenevano che senza una adeguata regolazione l'instabilità finanziaria sarebbe prima o poi esplosa. Secondo l'autore, sebbene gli aggregati finanziari sembravano più stabili, individui e famiglie sperimentavano rischi e instabilità crescenti. A causa di ciò le famiglie, per mantenere i livelli dei consumi a fronte di redditi sempre meno sicuri, hanno risposto indebitandosi, quando la crisi è arrivata sono arrivate le difficolta a ripagare i debiti (mutui) con la successiva esplosione della crisi economica che ha colpito tutte le attività e i paesi.
La gestione del rischio, per Quiggin, non può rimanere solo individuale ma riguarda la gestione sociale e collettiva dei rischi. Inoltre i cicli economici sono profondamente radicati nella economia di mercato e, purtroppo, certe teorie ci hanno spinto a dimenticare le lezioni del passato.
La ipotesi alla base alla idea dei mercati efficienti è che il prezzo di un attività sul mercato finanziario non solo rappresenta la stima migliore del suo valore ma anche la migliore possibile date le informazioni disponibili. I prezzi generati dalle borse, pertanto, sono la stima migliore del “giusto prezzo”. Corollario di queste idee è che non possono esserci “bolle” nei prezzi della attività finanziarie, queste idee hanno pertanto spinto la enorme crescita del mercato finanziario.
Anche se la ipotesi dei mercati efficienti presenta molte manchevolezze teoriche e soprattutto pratiche, è stata la crisi del 2008 a determinarne la morte definitiva. I mercati finanziari, asserisce l'autore, possono infatti generare bolle che la politica economica dovrebbe evitare ricorrendo a più strumenti: politiche macroeconomiche e regolamentazione. Le innovazioni finanziarie andrebbero trattate con cautela e andrebbero proibiti intrecci tra sistemi finanziari protetti e non protetti.
Una economia mista è indubbiamente migliore della pianificazione centralizzata o del totale laissez -faire, la grande difficoltà, ammette Quiggin, è determinare il giusto mix tra pubblico e privato.

La teoria dell' equilibrio generale stocastico dinamico (DSGE) parte dalle teorie dell'equilibrio generale di Arrow e Debreu che a sua volta rappresentano un evoluzione di quelle di Walras (vedi anche qui e vedi capitolo dedicato all'equilibrio sul mio libro).
I modelli di equilibrio generale prevedono mercati completi e perfettamente concorrenziali, escludendo di fatto recessioni e fenomeni reali di ciclo.
Per evitare questi problemi i modelli DSGE accettano che salari e prezzi possano essere lenti ad aggiustarsi e che vi siano squilibri fra domanda e offerta, pertanto i modelli DSGE prevedono la possibilità di disoccupazione e bolle, non prevedono però la possibilità di un collasso generale. I modelli DSGE prevedono una gestione macroeconomica basata sul controllo dei tassi di interesse (Regola di Taylor), di fatto non sono stati in grado di prevedere la crisi rivelandosi inutili ancorché molto sofisticati. 
Per costruire una teoria generale macroeconomica l'autore afferma che essa deve includere boom e depressioni, che non possono essere trattati solo come deviazioni marginali e temporanee dell' equilibrio generale. 
La economia è inserita in una complessa struttura sociale e c'è una interazione continua tra sistema economico e la società. La fiducia sociale e la confidenza negli affari non possono essere ridotti alla psicologia individuale (micro-fondazioni economiche), derivano invece da interazioni economiche e sociali fra le persone. La validità generale dell'approccio keynesiano risiede nel fatto che il comportamento macroeconomico è una proprietà “emergente” del sistema economico (vedi anche qui) piuttosto che da spiegazioni microeconomiche. Quiggin comunque avverte che le prescrizioni di politica macroeconomica vanno impiegate in maniera coerente durante tutto il ciclo sia per ridurre la domanda in eccesso nei periodi di boom e sia per stimolare la domanda durante le recessioni.

L'economia del gocciolamento è forse la idea più semplice ma anche quella con meno basi teoriche. La si può derivare dalla cosiddetta curva di Laffer, cioè che all'aumentare della tassazione sui redditi si ha una punto in cui vi è convenienza a non lavorare e produrre, con riduzione del reddito complessivo e quindi anche delle entrate fiscali. Da qui la idea che riducendo le tasse si creerebbe più crescita che, a cascata, favorirebbe anche i meno abbienti (gocciolamento). In realtà, anche se la riduzione delle tasse può produrre più risparmi e investimenti, il risultato è un aumento straordinario delle diseguaglianze, per cui i ricchi stanno ancora meglio mentre i meno abbienti no. Tutto ciò è riscontrabile nelle statistiche economiche dei paesi più avanzati, USA in testa. Anche se abbiamo avuto più disponibilità di beni sottocosto, per effetto della globalizzazione, ciò è stato più che compensato da una crescita della diseguaglianza soprattutto nei servizi cruciali (istruzione, sanità, ecc.).
La crescita della diseguaglianza ha anche eroso molto della possibilità di uguaglianza delle opportunità, e una società più egualitaria, secondo moltissimi studi, funziona meglio.

La idea sottostante le privatizzazioni è che il privato è più efficiente dello Stato nella gestione e allocazione degli investimenti, idee iniziate da Friedman e dalla teoria della Public Choice. Inoltre, questa idea rappresenta un indubbio vantaggio  per il sistema finanziario. mentre per i governi ha  rappresentato un modo per risolvere i problemi di finanza pubblica. L'idea delle privatizzazioni si sviluppa sotto la Thatcher nel Regno Unito per diffondersi a macchia d'olio. I risultati non sono stati confortanti, basti vedere, ad esempio, la privatizzazione delle ferrovie britanniche o da noi la privatizzazione delle telecomunicazioni e delle autostrade per capire che non sono state sempre un successo. Le privatizzazioni possono funzionare  se non si tratta soprattutto di monopoli naturali e in generale se il ricavato dal governo eccede il valore del flusso dei ricavi futuri, cosa che normalmente viene sottostimata a priori con in genere maggiori vantaggi per i privati che non per lo Stato. 
Nelle conclusioni al libro l'autore ribadisce le sue posizioni: i cicli economici non possono esser domati e non bisogna, per  tracotanza, ignorare le lezioni del passato. Lo Stato, con il suo welfare, ha un ruolo cruciale nella gestione del rischio e aiuta alla stabilizzazione dell'economia, il rischio lasciato agli individui porta alla diseguaglianza. 
In sintesi le sue raccomandazioni, per una futura e migliore teoria economica, sono:
  •  più realismo e meno rigidità;
  • maggiore focus sulla diseguaglianza e meno sulla efficienza;
  • più umiltà e meno tracotanza.
Il libro è molto approfondito e molto interessante. Su ogni argomento traccia la storia delle idee dalla nascita alle sue confutazioni e ai suoi fallimenti con grande dovizia di informazioni. Richiede comunque, per essere ben compreso, di una preparazione di base (che può darvi il mio libro). Nella edizione italiana ci sono per ogni capitolo dei capitoli di spiegazione degli economisti Barucci e Messori. Tali interventi sono finalizzati ad approfondire i temi ma contengono comunque le idee dei due economisti italiani, per quanto utili trovo che l'aggiunta dei capitoli appesantisca la lettura del libro piuttosto che facilitarla.