domenica 17 novembre 2024

Tagliare la spesa pubblica! Sei sicuro? Un po di artimetica.

Molti economisti sostengono che la soluzione per l'Italia sarebbe tagliare la spesa pubblica, due che cito a memoria sono ad esempio Luigi Marattin e Veronica De Romanis.

Il dato 2023 del rapporto spesa/PIL ci vede al terzo posto in Europa, quindi abbastanza alto, ma non in maniera così evidente sopra la media. Se però prendiamo la formula del PIL questo è  composto da consumi, investimenti, spesa pubblica e differenza tra export ed import, in formula PIL = C+I+G+X-M, quindi una semplice considerazione algebrica ci dice che diminuendo G, spesa pubblica, in prima battuta diminuiamo il PIL. Si potrebbe sostenere che se diminuisce la spesa pubblica e anche le tasse in pari quantità dovrebbero aumentare C, consumi e I, investimenti. Intanto non è detto che i consumi aumentino così tanto, dipende dalla propensione al consumo di chi è beneficiario del taglio di tasse, poi un aumento dei consumi potrebbe andare a innalzare le spese per prodotti di importazione, mi compro macchine elettriche cinesi per dire, andando a diminuire il saldo export meno import. L'effetto sugli investimenti è più incerto perché dipende da molte cose come la situazione di fiducia degli imprenditori sul futuro dell'economia. Quindi, se non si chiarisce bene cosa significa e quali effetti abbia il taglio della spesa pubblica a prima vista non mi sembra un operazione a saldo positivo. La spesa pubblica, solo spese correnti, è di oltre 620 miliardi di euro, quindi piuttosto sarebbe bene guardare cosa spendiamo e come spendiamo. Quindi, a prima vista, su oltre 600 miliardi ci sono grossi margini per fare aggiustamenti eliminando spese che hanno poca utilità sia sulla economia e sia sul sociale, indirizzando le spese laddove possono aumentare il PIL corrente e/o futuro: dagli investimenti sulla formazione o  incentivi a imprese innovative che crescono, ecc., sarebbe un elenco molto lungo. Questo lavoro però costa fatica, richiede preparazione, visione di medio lungo termine e soprattutto scontentare con tagli gruppi e attività che storicamente ne hanno beneficiato. Quindi cari amici, e quasi colleghi economisti, piuttosto che sparare queste frasi ad effetto, che più si addicono a politici imbonitori che vogliono catturare facile consenso, discutiamo di cosa togliere e cosa aggiungere dalla spesa pubblica per aumentare il PIL e il benessere della nazione, ve ne saremo tutti grati e forse potremmo indirizzare la discussione su qualcosa di veramente utile.

sabato 16 novembre 2024

La vittoria di Trump

 Ormai sono passati alcuni giorni dalle elezioni americane, provo anche io a fare qualche considerazione. La vittoria di Trump non mi è giunta inaspettata, quando ho visto che i sondaggi davano la parità ho capito che Trump avrebbe vinto, molte persone che votano Trump non lo ammettono pubblicamente e quindi i sondaggi tendono a sottostimare i voti della America profonda e rurale. Non mi aspettavo forse una vittoria così schiacciante ma la Harris non si è dimostrata un candidato convincente. I dati mostrano che Trump ha vinto non nelle grandi città ma nelle zone rurali, grazie al voto dei ceti operai e, sorprendentemente, anche le donne.

Ciò detto se qualcuno ha letto, anche solo una parte, dei libri che ho recensito le analisi sulla situazione occidentale sono quasi tutte unanimi. I partiti di sinistra o progressisti hanno perso buona parte del sostegno delle classi operaie e medie. In qualche caso l'appello contro le destre può ancora funzionare, vedi Biden o la Francia, ma la stigmatizzazione dell'avversario non basta più. Da una parte abbiamo la disaffezione di una parte dell'elettorato che non vota più, dall'altra parte una parte della popolazione è profondamente delusa e disperata perché non vede cambiare niente, anzi le cose peggiorano per cui sono facili perde di una certa propaganda e ormai sono disposte a votare anche quelli che, apparentemente, sono impresentabili pur di veder cambiare qualcosa. Eppure nonostante le analisi ancora la sinistra continua a sbagliare con candidati non all'altezza che non danno segni di cambiamento di una strategia politica fallimentare. 

Certo non è  facile contrastare certa propaganda che agisce sulla pancia della gente, soprattutto se alimentate dai media e social in mano a certi personaggi o a certe cordate economiche. Si continuano a fare errori, i democratici hanno atteso troppo per esautorare Biden dalla corsa e poi hanno puntato, per mancanza di alternative, sulla Harris che non aveva poi impressionato molto come vice presidente. Anche in Italia, con tutto il rispetto per la Schlein, mi sembra proprio il prototipo del radical-chic che tanto viene citato dalla destra a sproposito spesso. Servono quindi in primis candidati credibili, persone nuove che sappiano modificare le strategie finora adottate. Serve anche un modo nuovo di parlare alla gente, meno affettato e meno political correct ma che vada al cuore della gente e soprattutto ai suoi problemi, cioè bisogna tornare ad immergersi nella realtà e finire di essere troppo acquiescienti con lo status quo. La globalizzazione non è un vantaggio per molti anzi porta spesso discoccupazione e precarietà, la Unione Europea non è il migliore dei mondi possibili ma ha fatto troppi errori in termini di politiche economiche nonchè industriali, e, comunque, così non funziona diventando così un facile capro espiatorio per la destra e i populisti. Non dico di scendere allo stesso livello della propaganda di destra ma bisogna essere razionali ma anche socialmente attenti ai problemi delle persone e della società; alcuni temi come la immigrazione non devono essere lasciati alle sole destre, la immigrazione è un problema complesso e difficile, ma bisogna essere chiari che se si combatte la immigrazione indiscriminata si combatte anche per il mantenimento del welfare così faticosamente ragguinto e negli ultimi anni sempre meno finanziato, vedi sanità. 

Sono anni che scrivo che spero nell'arrivo di leadership nuove, che la situazione politica e democratica si sta deteriorando e da questa situazione non abbiamo molto da guadagnare, probabilmente neanche i ricchi, e che quindi è necessario invertire la tendenza per non svegliarsi in qualche nightmare anti democratico e anche per un peggioramento della situazione sociale e anche climatica. 

Se c'è qualche politico democratico e progressista in ascolto si dia da fare perchè non c'è molto tempo.

sabato 9 novembre 2024

Todd G. Buchholz - New Ideas From Dead Economist - An introduction to modern economic thought

 Ho letto il libro dell'economista americano  Todd Buchholz perché è un libro di storia economica che volevo confrontare con il mio: Le idee dell'economia.

Il libro parte dall economia classica trattando nell'ordine: Adam Smith, Ricardo, Malthus, Marx, e Stuart Mills. Prosegue la trattazione storica con Marshall e i marginalisti. Un capitolo è dedicato agli istituzionalisti: Veblen e Galbraith. Vengono trattati in maniera piuttosto approfondita sia Keynes e sia Friedman. Un capitolo è  dedicato alle teorie della Public Choice. Nella parte finale tratta alcune teorie più recenti come le aspettative razionali e la behavioral economics. Nel complesso è  un libro piacevole, che tratta gli argomenti in maniera semplice con esempi relativi alla vita reale, quindi è un libro che si legge bene, l'unico problema, per chi non conosce l'inglese, è  che non è tradotto in italiano e lo trovate solo in lingua originale.

Il mio libro rispetto a questo è un poco più rigoroso, con qualche formula e dettagli in più. Inoltre, nel libro di Buchholz trovo alcune mancanze importanti: Schumpeter e le teorie della crescita da Harrod sino a quelle più recenti di Solow, come pure non accenna a A. Sen, J. Stiglitz, e molto altro. Il mio libro risulta quindi più completo anche se anche io ho fatto delle scelte  tralasciando  Veblen e ho  appena accennato alle Public Choice. Comunque vi consiglio di leggerli entrambi e fatevi la vostra opinione in merito.

martedì 1 ottobre 2024

10 anni di questo blog

A maggio questo blog ha raggiunto il decimo anno di attività, sono passati velocemente neanche me ne sono accorto. Da poche decine di visualizzazioni oggi siamo a quasi 1000 al mese, non è tantissimo ma sono soddisfatto. I lettori per meno di un quarto sono italiani il resto da tutto il mondo: Stati Uniti, Europa ma anche dall'est, Singapore e Hong Kong ad esempio. Credo che dietro alcuni accessi ci siano delle macchine ma spero anche molti umani. Continuerò a pubblicare recensioni dei libri che ritengo interessanti, sempre meno purtroppo, o articoli o le mie impressioni su alcuni fatti. Spero che i lettori apprezzino questo blog, molto artigianale, se vi piace fatemelo sapere con qualche commento. Grazie a chi mi legge.

domenica 22 settembre 2024

Il rapporto Draghi sulla futura competitività europea

 Il rapporto Draghi sulla competività europea consta di due parti, la prima è una sintesi (parte A)  di 65 pagine, la seconda contiene il dettaglio delle azioni da intraprendere di oltre 300 pagine. Io ho letto la sintesi e di seguito ne riporto i punti salienti e alcune considerazioni anche perchè se ne parla ma pochi lo hanno letto.

Il rapporto parte con una visione della situazione attuale dell'Europa. L' Unione Europea è un insieme di nazioni che rappresenta il 17% del PIL mondiale, quindi con risultati economici e standard di vita elevati ma soffre di una crescita economica lenta e inferiore a USA e Cina dovuta a una produttività debole. Anche la situazione geopolitica è molto cambiata rispetto al passato con una situazione diversa del commercio, della energia e della difesa. 

L'EU deve recuperare produttività: accelerando la innovazione, mantere bassi i costi energetici continuanando a decarbonizzare, ridurre la dipendenza nei fattori strategici in un contesto geopolitico meno stabile. L' Europa soffre di una mancanza di coordinamento nelle politiche industriali. Il report quindi propone una nuova stategia industriale che chiuda il gap di innovazione accelerando la innovazione scientifica e tecnologica rimuovendo le barriere che prevengono la crescita delle industrie innovative.

Il primo blocco della strategia è la implementazione di un  Mercato Unico (Single Market), il secondo blocco sono le politiche industriali, per la competizione e il commercio, il terzo blocco è finanziare le principali aree di azione che richiede massicci investimenti, l'ultimo blocco è riformare la governance dell EU; infatti il metodo comunitario è nato quando la Unione era più piccola, oggi invece si richiede una efficiente politica coordinata per raggiungere obiettivi comuni. Importante, sottolinea il report, è non peggiorare il modello sociale europeo, la crescita della produttività e la inclusione sociale devono andare di pari passo. L'EU deve mantenere inoltre la coesione politica e imparare dagli errori fatti durante la iper-globalizzazione. Lo Stato deve essere visto dalla parte di cittadini e che aiuta questi a migliorarsi.

L'era del commercio aperto globale governato da istituzioni sembra passato e la EU dve adattarsi alla nuova realtà.

Il driver fondamentale che ha aumentato il gap di  produttività è la tecnologia digitale. L'Europa su alcuni settori digitali ha perso il treno ma può ancora salire sul carro delle nuove onde di innovazione digitale. In primo luogo occorre integrare verticalmente l'AI nella industria europea. Su questo bisogna porre attenzione ai rischi dell' AI sul modello sociale.

La struttura industriale dell'Europa è rimasta statica e gli investimenti sono rimasti concentrati su tecnologie mature. Il supporto del settore pubblico per la  Ricerca e Innovazione (RI) è in Europa insuffciente. Non ci sono abbastanza istituzioni accademiche che raggiungono livelli elevati di eccellenza e il passaggio dalla innovazione alla commercializzazione è debole.  La spesa di RI pubblica è insufficientemente focalizzata sulla innovazione dirompente, inoltre solo un decimo della spesa è a livello europeo. Abbiamo poi un mercato dei capitali piccolo  e un settore di Venture Capital (VC) poco sviluppato. Le barriere regolatorie limitano la crescita con complesse e costose procedure frammentate nei sistemi nazionali. La mancanza di un Single Market  impedisce alle imprese di aver dimensione sufficiente per adotatre le tecnologie avanzate. Una delle ragioni del basso tasso di investimenti è la presenza in Europa di in mercato frammentato. Abbiamo quindi bisogno di piccolo numero di priorità condivise e una parte incrementale di budget deve essere allocato sulle innovazioni distruttive. Inoltre, serve un migliore coordinamento della spesa pubblica in RI tra gli Stati membri. L'Europa deve rendere piu semplice per gli inventori diventare investitori e deve diventare attrattiva per gli inventori, dare alle start up la opportunità di adottare un nuovo vasto statuto legale europeo. Ancora c'è da  sviluppare un ecosistema finanziario all'interno dell'EU piuttosto che le industrie vengano finanziate dell'estero.

Per quanto rigurada la AI l'EU deve incrementare la capacità computazionale e rendere disponibile la sua rete di computers ad alte performance (federated AI model), promuovere il coordinaento tra le industrie e la condivisione di dati per accelerare la integrazione dell'AI nell'industria europea. Si rende necessario anche consolidare gli operatori TLC definendo un mercato delle TLC a livello europeo.

Abbiamo un problema di risorse e skill, vi è difficolta' nel trovare impegati con skill adeguati, anche a livello manageriale, con un sottoutilizzo dei talenti esistenti. La offerta di laureati STEM è limitatata come pure vi è un drenaggio di cervelli oltreoceano. Tutto ciò è dovuto a un declino nella formazione e nel training non adatti a formare una forza lavoro per il cambiamento tecnologico. Si deve quindi rafforzare i sistemi di intelligence usando maggiormente i dati per capire ed agire sugli skill esistenti, serve un sistema comune di certiificazione, l'EU deve diventare attrattiva per i talenti esterni. 

I costi dell'energia sono troppo alti e un ostacolo alla crescita. Serve un significativo incremento nella generazione e nella capacità di rete.  Le sorgenti di energia pulita a minori costi marginali sono rinnovabili e nucleare. Bisogna compiere scelte fondamentali nel perseguire la decarbonizzazione mantenendo la posizione competitiva delle industrie, catturando le opportunità industriali che pone  la transizione verde. L'europa manca di risorse naturali ma non ha usato bene il suo potenziale potere contrattuale collettivo. Le regole di mercato nel settore energetico non disaccoppiano completameente il prezzo di rinnovabili e nucleare dai prezzi, molto volatili, dei combustibili fossili. Vi è anche una serie di  processi incerti e lenti  per le nuove fonti energetiche che rappresentano un ostacolo alla installazione di nuove capacità. Sebbene la Europa sia leader  nelle tecnologie pulite presenta una debolezza nel suo ecosistema, il suo poteziale di innovazione non si traduce in una superiorità della manifattura, manca una strategia industriale.  Il supporto pubblico nello sviluppo delle batterie è un fattore chiave nel rafforzare la posizione europea.

Il trasporto pesa per un quarto sulle emissione di gas a effetto serra. Una mobilità sostenibile richiede un approccio integrato verso reti di energia, cambiamento  degli standard delle infrastrutture, maggior standardizzazione  della manifattira sulle TLC, fondamentalemente abbiamo una mancanza di coordinazione e di interoperabilità dell infrastrutture. 

Il settore automobilistico è un chiaro esempio di una mancanza di pianificazione europea, si è applicata una politica climatica senza una politica indistriale. Per abbssare i costi energetici servono delle partnership di lungo termine con partner affidabili commerciali, riducendo anche la volatilità assicurando una supervisione integrata dei mercati dell'energia e i suoi mercati derivati. Serve un focus collettivo sulle reti energetiche, riducendo anche i ritardi nei permessi.  Una unione energetica dovrebbe assicurare che le funzioni di mercato fondamentali per un mercato integrato siano a livello centralizzato. Inoltre, il sistema di scambio delle quote di emissione (ETS) dovrebbe essere usato per supportare la decarbonizzazione del settore dei trasporti. In particolare serve un piano d'azione industriale per il settore automobilistico, bisogna sviluppare una roadamap industriale per una convergenza orizzontale (es. elettrificazione) e verticale (es. batterie), serve una collaborazione di scala, di standardizzazione.

L'Europa ha dipendenze estere eccessive per quanto riguradi i materiali e le tecnologie avanzate. Anche la industria della difesa richiede massivi investimenti per recuperare il gap con altre potenze. Serve rafforzare la catena di fornitura dei semiconduttori. Serve dunque cooperazione a livello europeo. E' necessaria, quindi, uan politica estera per mettere al sicuro le risorse critiche, accelerando la apertura di miniere locali, accelerando i permessi, migliorando il riciclo. Lanciare una comune strategia per i semiconduttori, finanziando la ricerca in innovazione, incecentivi fiscali alla Ricerca e Sviluppo, coordinando gli sforzi con un budget centrale dedicato. Anche se nella difesa i prodotti EU sono tecnologicamente avanzate soffriamo per una minore domanda e dobbiamo focalizzare la spesa sulla innovazione, ridurre la frammentazione delle industrie anche tramite standardizzazione e interoperabilità. Anche lo spazio soffre di un gap di investimenti rispetto ai competitors, dobbiamo creare un mercato unco per lo spazio.

Si richiede per raggiungere gli obiettivi delineati un massiccio piano di investimenti di 750/800 milioni di euro annui. Le risorse devono venire dal settore privato ma necessitano anche di un supporto finanziario pubblico. Inoltre, i mercati dei capitali sono frammentati, siamo troppo dipendenti dal finanziamento bancario  che non è adatto per finanziare la innovazione. Il budget del'EU è troppo piccolo e non è allocato sulle priorità strategiche. Non si puo rinunciare a un "safe asset" comune, che creerebbe un collaterale sicuro per molte attività che creerebbe anche un grande mercato liquido per investitori internazionali. Una struttura di budget piu forte garantirebbe anche una scala sufficiente per supportare progetti strategici, inoltre potrebbe supportare e creare maggior leva per gli investimenti privati. Strumenti di emissioni comuni sono utili  per finanziare progetti di investimento di lungo termine focalizzati sulla innovazione e l'aumento della produttività.

Infine c'è il tema della governance europea che richiede grossi cambiamenti, anche perchè i veti incrociati riducono e ritardano le azioni. E' necessario sostituire alcuni strumenti di coordinamento che si sovrappongono, deve emergere un nuova stuttura di coordinamento. La Commissione Europea deve avere un mandato per azioni orizzontali ed avere competenze esclusive. Le risorse dell'EU devono focalizzarsi nel finanziare i beni pubblici che sono critici. Il voto a maggioranza qualificata dovrebbe essere esteso a molte aree applicando anche un approccio differenziato alla integrazione. Bisogna semplificare le regole, la quantita' di regole rimane troppo grande e crescono nuove regolazioni. Manca un approccio quantitativo per analizzare i costi e benefici delle nuove leggi. Le regole inoltre pongono un peso eccessivo sulle piccole e medie industrie. Servirebbe,  infine, un commissario alla semplificazione, per ridurre le sovrapposizioni e inconsistenze nella legislazione.

Come si vede gia dalla sintesi si tratta di un report complesso che affronta molti temi e illustra tutta una serie di azioni che poi vengono maggiormente evidenziate nella seconda parte. Per quanto riguarda il focus sulla innovazione tecnologica non mi sorprende, e neanche chi legge questo blog, la innovazione tecnologica da Schumpeter in poi (vedi qui) è sempre stato indicato come un fattore di crescita essenziale, vedi anche Solow. Certo anche quello che dice Draghi sulla necessità di una maggiore integrazione, di un maggior coordinamento e, soprattutto, grazie anche a una serie di politiche  industriali comuni non è nuovo, vedi ad esempio nel blog le recensioni dei libri di Rodrik. In ogni caso è un inversione a quasi 180° gradi rispetto alle politiche adesso adotatte dall EU, dove spesso si è difesa la concorrenza anche a scapito di integrazioni industriali. C'è poi il tema del budget comune e del suo finanziamento tramite emissioni di titoli di debito che costituirebbero un safe asset, anche su questo ne abbiamo parlato spesso, avere una moneta comune e non sfruttarla è un idiozia che molti economisti hanno denunciato da sempre. Infine, c'è il tema della governance europea, anche su questo in questo blog abbiamo evidenziato che questo stato di cose nella UE non può funzionare, la integrazione differenziata è necessaria, ovvero che la UE deve partire da un nucleo piu ridotto e coeso di paesi se si vuole attuare un piano per la ripresa della crescita.  Infine,  è solo accennato nel report il fatto di mantenere il modello sociale europeo pur spingendo verso la crescita. Questo approccio rischia di rendere il rapporto molto tecnocratico, indubbiamente con evidenza di criticità, ma il problema in Europa è anche la tenuta democratica. Troppi cittadini si sentono traditi da un progetto europeo che, in molti casi, non ha portato a dei miglioramenti per grossi segmenti della popolazione, questo risentimento, a volte esagerato perchè  spinto a dai movimenti politici estremi e populisti che ne traggono  vantaggio, esiste e bisogna tenerne conto se si vuole rifondare la UE. Deve essere ristabilita la fiducia nei cittadini nelle istituzioni europee se si vuole attuare un piano che abbia successo,  questo significa che bisogna aumentare la democraticità dei processi decisionali in Europa, cioè avere un almeno vero ed effettivo parlamento europeo espressione della volontà popolare. 

Questo report è comunque un buon lavoro che va rispettato, si può criticare in parte ma è un buon punto di partenza per una discussione su quale futuro vogliamo per l'UE. Detto ciò le condizioni politiche e istituzionali perchè venga veramente preso in considerazione non ci sono. Le sue indicazioni sono spesso in contrasto con quanto finora adottato dall'UE, basti pensare solo al patto di stabilità o alle forti contarietà della Germania a qualsiasi proposta di debito comune. Inoltre, proprio Germania e Francia, i principali attori europei, sono profondamente in crisi politica per la crescita delle destre alle elezioni. Anche il nostro governo in alcune sue componenti penso non sia proprio favorevole alle indicazioni di Draghi che comunque prevedono una diminuzione delle sovranità nazionali. 

Quindi Draghi si è tolto molti sassolini dalle scarpe in questo report, dovremmo tenerne conto e farne tesoro per molti aspetti, purtroppo rimarrà un bel esercizio di razionalità che non troverà applicazione, questo sarà forse il de profundis della UE.

venerdì 6 settembre 2024

Dan Davies-The Unaccontability Machine- Why Big Systems Make terrible Decisons - And How The Wordl Lost ItsMind

 Il libro che recensico oggi è un libro particolare di Dan Davies, che  è uno scrittore/attore/produttore pluripremiato e di fama internazionale, autore di vari libri di cui questo è l'ultimo. Il tema sono, come da sottotitolo, i sistemi complessi e le diffcoltà a gestirli.

Il libro si apre con una dissertazione sulla responsabilità (accountability) per cui la crisi odierna della politica e del management è una crisi di responsabilità. La prima legge della responsabilità è per l'autore: la misura in cui si è in grado di cambiare una decisione è la misura per cui si può essere ritenuto responsabile e viceversa. Riducendo l'abilità di prendere decisioni come individui, la classe manageriale e professionale ha cementato il controllo sul sistema. Pertanto, a meno che non vengano prese misure consapevoli per impedirlo, qualsiasi organizzazione, in una moderna società industriale, tenderà a ristrutturarsi in modo da ridurre la quantità di responsabilità personale attribuibile alle sue azioni. Questa tendenza continuerà fino a quando non si verificherà una crisi (principio della diminuizione di responsabilità). Da cui segue la definizione di "pozzo della responsabilità" (accountability sink): è un sistema che è pensato per fornire decisioni che non sono attribuibili a una persona identificabile e che non sono modificabili in risposta al feedback di coloro che ne sono interessati. 

Segue poi una parte relativa alla cibernetica e ad uno dei suoi fondatori: Stafford Beer. Un sistema complesso è quello in cui non puoi sperare di ottenere informazioni complete o perfette sulla struttura interna.  La cibernetica è lo studio del controllo dei sistemi, i costituenti dei sistemi cibernetici devono essere visti quindi come scatole nere, per cui per capire un sistema tutto ciò che si può fare è osservarne il comportamento, e tutto ciò che si può imparare da ciò è tutto ciò che c'è da sapere su di esso, lo scopo del sistema è cio che fa.

I sistemi non hanno desideri interiori, quindi non fanno le cose intenzionalmente. Il problema dei sistemi complessi è che la combinazione di più cose tende a moltiplicarsi piuttosto che addizionarsi. Un dato sistema ha il potenziale per raggiungere la stabilità solo se ogni fonte di variabilità dall'ambiente è accompagnata da una fonte uguale o maggiore di varietà nel sistema di regolamentazione. Quando ci troviamo di fronte a flussi di informazioni ingestibili nelle organizzazioni possiamo creare sistemi che regolano la varietà in arrivo, operando il più possibile attraverso catene di causa ed effetto piuttosto che attraverso singoli manager che devono prendere decisioni; inoltre è necessario assicurarsi che il regolatore possa disporre delle informazioni più velocemente di quanto il sistema possa generare varietà e rispondere rapidamente.

Vengono poi descritti i principali componenti di un sistema cibernetico: il sistema 1 è quello che opera nel mondo reale ovvero la parte operativa. Il sistema 2 è quello che gestisce le regole per la condivisione e programmazione. Il sistema 3, ottimizzazione e integrazione,  è quella parte del sistema che dirige la gestione di ogni singola operazione al fine di coordinare le loro attività verso uno scopo particolare, questo è il livello a cui si inizia a vedere il management, la differenza è che il Sistema 2 riguarda la prevenzione degli scontri e la gestione dei conflitti, mentre il Sistema 3 si occupa di raggiungere uno scopo. Il sistema 2 ha lo scopo di assorbire la varietà di interazioni tra le operazioni,  il sistema 3 deve essere  sufficientemente ampio per trattare questa varietà. Il sistema 4, ovvero la funzione di intelligenza e politica, ha lo scopo di indirizzare il sistema 3 affinchè possa riorganizzarsi per affrontare i cambiamenti, cioè di assicurare che tutto funzioni anche in caso di cambiamenti strutturali. Infine, abbiamo il sistema 5, cosidetto di filosofia o identità; avere una identità coerente e costante è un modo efficace di ridurre la varietà con cui bisogna trattare perchè significa che molte possibilità possono essere ignorate. 

La capacità di tradurre le informazioni in azioni è la parte più cruciale, nel sistema complesso abbiamo  dei collegamenti tra le parti di un sistema in grado di assorbire la varietà dell'altra, ma vi è la necessità  di un collegamento tra questo tipo di visione, incentrata sulle informazioni di un'organizzazione, e ciò che effettivamente fa. Ogni canale di comunicazione tra sistemi non solo deve avere una larghezza di banda sufficiente per trasportare la varietà che deve trasmettere, ma deve anche essere dotato di una capacità di traduzione sufficiente per garantire che il segnale venga compreso.

In sintesi per la cibernetica: ci sono cinque funzioni fondamentali e se una di queste manca o non ha risorse sufficienti, il flusso di informazioni non sarà bilanciato dalla capacità di elaborarla. Le informazioni contano solo se vengono fornite in una forma in cui possono essere tradotte in azioni, e questo significa che devono arrivare abbastanza rapidamente. I sistemi preservano la loro vitalità affrontando i problemi il più possibile allo stesso livello in cui arrivano, ma devono anche avere canali di comunicazione che attraversino più livelli di gestione, per gestire grandi shock che richiedono un cambiamento immediato.

Segue poi una critica agli economisti e alla disciplina della economia. In particolare gli economisti creano dei modelli caratteristici dell'economia eliminando quasi tutta la complessità;  fanno un sacco di ipotesi semplificatrici, spesso discutibili in termini di rilevanza empirica; agiscono come se le loro conclusioni fossero  dimostrate nel mondo reale, ed è un aspetto molto problematico quello di dedurre fatti da un modello, poco realistico, e poi applicarlo al mondo reale. In questo modo hanno sviluppato un metodo per ridurre la varietà del mondo reale ma così si perdono moltissime informazioni, da un punto di vista cibernetico un modello economico è un sistema dal quale sono state eliminate molte informazioni. Esiste poi il cosiddetto Vizio Ricardiano ovvero la pratica di risolvere il modello prima di aver applicato le soluzioni alla vita reale, ciò che lo rende un vizio è quindi la sua tendenza a dimostrare le cose in un modello stilizzato, e poi agire come se fossero verità ovvie del mondo reale. Il grande punto cieco dell'economia è che gli economisti hanno dedicato così tanto tempo alle loro questioni generali di ottimizzazione e scarsità, prezzo e quantità, che sembrano dimenticare che c'è molto di più nella gestione di un'azienda, per non parlare di un'intera società. Un altra critica si rivolge ai sistemi di contabilità che sono spesso fuorvianti per il management, perchè considerare un costo fisso o variabile è piuttosto una decisione strategica e qualunque costo può essere considerato variabile se ristrutturi il tuo business. Inoltre, il problema principale dei sistemi di management delle organizzazioni è che queste sono divenute sempre più complicate ad una velocità che i managers non riescono a gestire. In conclusione i punti ciechi dell'economia e i punti ciechi del management lavorano insieme per produrre un modello del mondo che tende ad allontanarsi dalla realtà e produrre cattive decisioni. 

Le critiche dell'autore si rivolgono poi a Friedman e alla sua teoria della massimizzazione del valore per gli azionisti, cioè i manager sono agenti per conto  dei proprietari-azionisti e doveno agire nell'interesse esclusivo di questi ultimi. Inoltre, si scaglia contro la moda del leveraged buyout, dove il debito diventa una strumento di controllo, e che tanti danni ha fatto alle imprese e ai lavoratori. Critica anche le forme assunte dal management, iper pagato, dove si sono cercati di abbattere i costi diminuendo il personale e il middle management, così riducendo le capacità cognitive delle organizzazioni.

 Il problema di base è che i sistemi in generale hanno bisogno di meccanismi per riorganizzarsi quando la complessità del loro ambiente diventa troppo difficile da sostenere, ma i sistemi di governo di alto livello del mondo industriale (politica economica e gestione aziendale) hanno mostrato  alcuni difetti e punti ciechi che hanno impedito che ciò accadesse. Nell'ambito delle politica il popolo dovrebbe essere considerato una entità di decisione collettiva e, quindi, il canale di comunicazione con la popolazione deve rimanere aperto per consentire a questo di esprimere la propria visione. Il meccanismo di comunicazione del popolo è la protesta o malcontento, mentre le elezioni sono diventate una corsa in cui il potere esecutivo diventa il prezzo, pertanto una società liberale dovrebbe poter rispondere al disagio di massa piuttosto che al suo contenuto. La natura della crisi è che non è una crisi in sé, piuttosto è il modo in cui il sistema raggiunge la stabilità. Il mondo diventerà sempre  più complesso, ciò significa che devono essere costruiti sistemi che assorbano la volatilità e la varietà ai livelli appropriati. Quindi è necessario ristabilire il canale di comunicazione con il popolo forzando le classi dirigenti ad ascoltarlo. Il popolo ha lanciato un allarme, dobbiamo trovare un nuovo principio organizzativo. La cibernetica gestionale, sfortunatamente, non fornisce alcun indizio su come si potrebbe ottenere un cambiamento sociale così profondo, quello che l'autore auspica è che si presti pià attenzione ai meccanismi di "allarme maniglia rossa" che indicano un risultato insopportabile per le persone.

Dalla lunga recensione e dai suoi contenuti si capisce che è un libro che affronta molti argomenti, alcuni complessi, ma l'autore è molto bravo a rendere cose difficili in maniera gradevole da leggere e comprensibili che rende il libro molto leggibile, pertanto è un libro molto interessante e di cui suggerisco calorsamente la lettura.

In merito ai contenuti, le critiche alle economia e a certe degenerzioni nelle imprese sono stati più volte affrontati in questo blog da vari autori, però l'approccio sistemico e il ricorso alla cibenetica è senza dubbio nuovo, interessante e probabilmente convincente. L'autore però non da molte soluzioni nel finale oltre alle critiche al modo di fare economia e alle storture del management. 

Che il mondo sia estremamente complesso l'ho più volte dichiarato nei  miei post e che questo richieda èlite preparate, idee e modalità nuove, anche  in democrazia. Sono d'accordo che il popolo va ascoltato e il populismo non è altro che una reazione al mancato ascolto. Sono anche d'accordo che non ci sono soluzioni semplici, abbiamo soprattutto  bisogno di modalità organizzative nuove, dobbiamo velocemente abbandonare certe storture ideologiche del liberismo sul mercato che sono servite solo a far arrichire sempre di più i ricchi, per sostituirle con una visione dove conti di più la dimensione sociale e una maggiore etica senza ricadere in vetuste idee di utopie irrealizabili.


sabato 1 giugno 2024

Dichiarazione di Berlino Forum for a New Economy

 Pubblico la dichiarazione integrale, firmata da noti economisti, al vertice di Berlino del Forum  for a New Economy, che rappresenta bene le azioni da predisporre per recuperare la democrazia e sconfiggere i populismi.

La dichiarazione del vertice di Berlino –

Riconquistare il popolo​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

PUBBLICATO

29 MAGGIO 2024

Le democrazie liberali si trovano oggi ad affrontare un’ondata di sfiducia popolare nella loro capacità di servire la maggioranza dei cittadini e di risolvere le molteplici crisi che minacciano il nostro futuro. Ciò minaccia di condurci in un mondo di pericolose politiche populiste che sfruttano la rabbia senza affrontare i rischi reali, che vanno dal cambiamento climatico alle disuguaglianze insopportabili, o ai grandi conflitti globali. Per evitare gravi danni all’umanità e al pianeta, dobbiamo urgentemente individuare le cause profonde del risentimento delle persone.

Oggi esistono ampie prove del fatto che questa sfiducia non è solo, ma in larga misura, guidata dall’esperienza ampiamente condivisa di una perdita reale o percepita di controllo sui propri mezzi di sussistenza e sulla traiettoria dei cambiamenti sociali. Questo senso di impotenza è stato innescato dagli shock derivanti dalla globalizzazione e dai cambiamenti tecnologici, ora amplificati dal cambiamento climatico, dall’intelligenza artificiale e dallo shock inflazionistico. Inoltre, decenni di globalizzazione mal gestita, di eccessiva fiducia nell’autoregolamentazione dei mercati e di austerità hanno indebolito la capacità dei governi di rispondere in modo efficace a tali crisi.

Riconquistare la fiducia della gente significa ricostruire queste capacità. Non pretendiamo di avere risposte definitive. Tuttavia, sembra fondamentale riprogettare o rafforzare le politiche sulla base di alcune delle lezioni fondamentali che possiamo trarre da ciò che ha causato tali livelli di sfiducia. Questi suggeriscono che dobbiamo:

riorientare le nostre politiche e istituzioni puntando soprattutto sull’efficienza economica per concentrarci sulla creazione di prosperità condivisa e sulla sicurezza di posti di lavoro di qualità;

sviluppare politiche industriali per affrontare in modo proattivo le imminenti perturbazioni regionali sostenendo nuove industrie e indirizzando l’innovazione verso la creazione di ricchezza per i molti;

assicurarsi che la strategia industriale consista meno nell’erogazione di sussidi e prestiti ai settori affinché restino in piedi e più nell’aiutare coloro che investono e innovano verso il raggiungimento di obiettivi come lo zero netto;

  • progettare una forma più sana di globalizzazione che bilanci i vantaggi del libero scambio con la necessità di proteggere i più vulnerabili e coordinare le politiche climatiche, consentendo al tempo stesso il controllo nazionale su interessi strategici cruciali;
  • affrontare le disuguaglianze di reddito e di ricchezza che sono rafforzate dall’eredità e dall’automatismo del mercato finanziario, sia rafforzando il potere dei mal retribuiti, tassando adeguatamente i redditi e la ricchezza elevati, sia garantendo condizioni iniziali meno diseguali attraverso strumenti come l’eredità sociale;
  • riprogettare le politiche climatiche combinando prezzi ragionevoli del carbonio con forti incentivi positivi per ridurre le emissioni di carbonio e ambiziosi investimenti infrastrutturali;
  • garantire che i paesi in via di sviluppo dispongano delle risorse finanziarie e tecnologiche di cui hanno bisogno per intraprendere la transizione climatica e le misure di mitigazione e adattamento senza compromettere le loro prospettive;
  • stabilire in generale un nuovo equilibrio tra mercati e azione collettiva, evitando l’austerità autodistruttiva e investendo in uno Stato innovativo ed efficace;
  • ridurre il potere di mercato nei mercati altamente concentrati.

Stiamo vivendo un periodo critico. I mercati da soli non fermeranno il cambiamento climatico né porteranno a una distribuzione meno iniqua della ricchezza. Il trickle-down è fallito. Ci troviamo ora di fronte a una scelta tra una reazione protezionistica conflittuale e una nuova serie di politiche che rispondano alle preoccupazioni delle persone. Esiste un intero corpus di ricerche innovative su come progettare nuove politiche industriali, buoni posti di lavoro, una migliore governance globale e politiche climatiche moderne per tutti. Ora è fondamentale svilupparli ulteriormente e metterli in pratica. Ciò che serve è un nuovo consenso politico che affronti le cause profonde della sfiducia delle persone invece di concentrarsi semplicemente sui sintomi, per non cadere nella trappola dei populisti che fingono di avere risposte semplici.

Poiché il pericolo di conflitti armati in tutto il mondo è aumentato a causa di interessi geopolitici divergenti, le democrazie liberali dovranno, come prerequisito, dimostrare la loro capacità sia di difendere i propri valori sia di disinnescare le ostilità dirette, aprendo infine la strada verso una pace sostenibile, oltre a diminuire le tensioni tra Stati Uniti e Cina.

Qualsiasi tentativo di riportare durevolmente i cittadini e i loro governi al posto di guida ha il potenziale non solo di promuovere il benessere di molti. Contribuirà a promuovere ancora una volta la fiducia nella capacità delle nostre società di risolvere le crisi e garantire un futuro migliore. Abbiamo bisogno di un’agenda che permetta alla gente di riconquistare la gente. Non c'è tempo da perdere.

Maggio 2024

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Firmatari [163 al 31 maggio 2024]

Dani Rodrik, Harvard UniversityBranko Milanovic, City University New YorkMariana Mazzucato, University College LondonAdam Tooze, Columbia UniversityLaura Tyson, UC BerkeleyThomas Piketty, EHESSGabriel Zucman, UC BerkeleyJens Südekum, Heinrich Heine University DüsseldorfIsabella Weber, University of Massachusetts AmherstOlivier Blanchard, PIIEMark Blyth, Brown UniversityCatherine Fieschi, Istituto universitario europeoXavier Ragot, OFCEDaniela Schwarzer, Bertelsmann StiftungJean Pisani-Ferry, Sciences Po/Bruegel/PIIEBarry Eichengreen, UC BerkeleyLaurence Tubiana, Fondazione europea per il climaPascal Lamy, Institut Jacques DelorsAnn Pettifor, Prime EconomicsMaja Göpel, Mission WertvollStormy-Annika Mildner, Aspen Institute BerlinKatharina Pistor, Columbia UniversityThomas Fricke, Forum New EconomyAchim Truger, Consiglio di esperti per la valutazione dello sviluppo economico complessivoAnatole Kaletsky, Gavekal ResearchAndrew Watt, IMKAnke Hassel, Hertie SchoolAnne-Laure Delatte, Université Paris-DauphineAntonella Stirati, Università di Roma TreBarbara Praetorius, HTW BerlinBettina Kohlrausch, Istituto di ricerca economica e socialeBill Janeway, Cambridge UniversityChristian Breuer, Advisory Council for la valutazione dello sviluppo economico complessivoChristian Kastrop, Global Solutions InitiativeDalia Marin, Politecnico di MonacoDirk Ehnts, Torrens UniversityDorothea Schäfer, DIW BerlinEric Lonergan, autore/economistaEric Monnet, EHESSFrancesca Bria, Fondo nazionale italiano per l'innovazioneGerhard Schick, Cittadini ' Movimento Transizione finanziariaHelene Schuberth, Confederazione sindacale austriacaHenning Vöpel , Centro per la politica europeaJay Pocklington, INETJérôme Creel, OFCEJonas Meckling, Università della California, BerkeleyMartyna Linartas, inequality.infoMichael Jacobs, Università di SheffieldPeter Bofinger, Università di WürzburgPrakash Loungani, Johns Hopkins UniversityRichard McGahey, Schwartz Center for Economic Policy AnalysisRobert Gold, IfW KielRobert Johnson, INETRohan Sandhu, Harvard UniversitySander Tordoir, CERSebastian Dullien, IMKShahin Vallée, DGAPStephen Kinsella, University of LimerickTeresa Ghilarducci, La nuova scuolaThomas Biebricher, Università Goethe di FrancoforteTrevor Sutton, Centro per il progresso americano.

venerdì 31 maggio 2024

Elizabeth Popp Berman- Thinking like an Economist: How Efficiency Replaced Equality in U.S. Public Policy

 Elizabeth Popp Berman, sociologa, è direttrice e professoressa di studi organizzativi presso l'Università del Michigan ed è l'autore di questo libro. Il tema che viene sviluppato nel libro è la storia di come il modo di pensare in stile economico sia divenuto sempre più dominante all'interno delle istituzioni degli Stati Uniti.

La storia della introduzione del modo di pensare economico nelle istituzioni si può far risalire inizialmente al cosiddetto "istituzionalismo", anni '30, che iniziò ad introdurre una varietà di uffici governativi nei quali gli economisti avevano un ruolo siglificativo. Il secondo passo fu la creazione dopo la guerra del Comitato dei consiglieri economici presso la Casa Bianca. Un ulteriore significativo avvenimento fu l'utilizzo della  Rand corporation da parte della Aviazione degli Stati Uniti per analisi sul sistema di difesa aereo tramite la System analysis. La nomina di Mac Namara come Segretario della Difesa, con l'amministrazione Kenendy, fu un ulteriore tassello per il rafforzamento dell'approccio della System AnalysisA questo seguì l'adozione, con alterne fortune, dei sistemi di programmazione e pianificazione economica (PPBS) nelle agenzie governative.

 Nonostante la Great Society di Johnson avesse dei valori in conflitto con la visione economicista questa facilitò la rapida diffusione dello stile economico nel governo federale e l'efficienza divenne un fine centrale di politica sociale. Inizialmente ci fu una certa continuità nell'uso dello stile economico nell'amministrazione Nixon, anche se i conservatori tendevano ad usare lo stile economico per raggiungere obiettivi macroeconomici.

L'approccio economico per quanto si presentasse come neutrale in realtà venne in conflitto con approcci diversi alla politica sociale. Lo stile economico e la centralità della efficenza si espanse anche nel ambito della legislazione riguardante l'antitrust e divenne quindi anche un riferimento per il quadro normativo legale. Anche con l'amministrazione Carter la efficienza e lo stile economico rimasero al centro delle politiche sociali e antitrust. Un altro ambito dove si diffuse l'approccio economicista, cambiando completamente la legislazione, fu quello dei trasporti e delle telecomunicazioni dove si diffuse la deregolamentazione. 

Con la presidenza Regan l'atteggiamento cambiò ancora, in realtà questa amministrazione non era interessata all'aspetto scientifico, piuttosto sfruttava le agenzie governative per giustificare i suoi programmi governativi. Di fatto ci fù una massiccia riduzione dei budget per gli uffici governativi che rimasero con poche risorse per le ricerche di politiche sociali. L'obiettivo di Regan era rimuovere le restrizioni governative alle aziende, e il ragionamento economico era solo un mezzo per raggiungere i suoi obiettivi politici, in questo fu essenziale la crescita di importanza e di rasppresentanza nelle istituzioni della Scuola di Chicago.

L'obiettivo iniziale degli economisti era quello di usare il regionamento economico per migliorare l'azione di governo; ma una volta che tale stile divenne maggioritario andava in contrasto con i valori puramante morali e di principio, riducendo lo spazio per approcci alternativi. Da un punto di vista politico l'adozione da parte dei Democratici del pensiero economicista ha ridotto lo spazio per politiche sociali più coraggiose nella sanità e nella tutela ambientale in particolare, anche se dopo il 2008 la sinistra del partito democratico ha riabbracciato politiche che sono al di fuori dello stile economico. Nelle conclusioni l'autrice afferma che anche se lo stile economico va incoraggiato è necessario costruire un quadro intellettuale che vada oltre l'approccio economico, e che metta al centro valori come l'uguaglianza, giustizia razziale, diritti e comunità.

Il tema del libro è senz'altro interessante, svolto con grande dovizia di particolari e ricostruzioni storiche dettagliate. Detto ciò, il fatto che si addentri in tutta una serie di nomi, sigle di amministrazioni statunitensi finisce per essere dispersivo e piuttosto faticoso da seguire. Più che un libro dedicato al grande pubblico pare un ottimo studio per addetti ai lavori, pertanto lo consiglio solo a chi è vermente interessato all'argomento e alla storia degli Stati Uniti.

martedì 28 maggio 2024

Yanis Varoufakis- Il Minotauro Globale- L' America, le vere origini della crisi e il futuro dell' economia globale

 Quello di oggi è un libro di Yanis Varoufakis, economista greco che insegna negli Stati Uniti e di cui abbiamo parlato in varie occasioni in questo blog, in particolare qui. Recensisco questo libro, non nuovissimo (2012), perchè comunque Varoufakis, per quanto si possa essere d'accordo o meno con le sue tesi, scrive bene, in modo chiaro e piacevole, nei suoi libri ci sono sempre interessanti richiami alla mitologia greca, come in questo caso, e comunque il suo punto di vista non è mai banale. 

Il libro contiene molte cose ma se vogliamo il tema principale è: come fare a mantenere il sistema economico generale in equilibrio e quindi a riciclare le eccedenze che si creano. Il problema della stabilità del sistema economico globale ed evitare il rischio di depressioni globali era uno dei principali crucci di Keynes. La crisi del '29 aveva portato alla fine del sistema di cambi fissi con l'oro (Gold Standard) a cui erano seguite svalutazioni competitive nella speranza delle nazioni di evitare la crisi depressiva che invece avevano esacerbato la crisi. Quando si presentò l'occasione di rifondare il sistema economico globale a Bretton Woods Keynes, che aveva le idee chiare, propose un sistema di cambi semi fissi affiancato da una moneta internazionale, bancor, con la creazione di alcune istituzioni che avrebbero dovuto finanziare i paesi in deficit e nel contempo colpire quelli in eccessivo surplus con inoltre un sistema di finanziamento degli investimenti (FMI, e Banca Mondiale). Le idee rivoluzionarie e anche scioccanti di Keynes sorpresero gli intervenuti ma non furono adottate, se non in parte. La guerra l'avevano vinta gli americani e quindi vinse il piano White che metteva al centro il dollaro, unica moneta ad essere agganciata stabilmente all'oro, con le altre monete con dei cambi fissi che potevano essere modificati in certe circostanze.

Il piano che Varoufakis definisce globale comunque funzionò bene all'inizio, perchè gli Stati Uniti erano gli esportatori globali sfruttando la domanda dei paesi distrutti dalla guerra, ma riciclavano le eccedenze anche con il piano Marshall reinvestendo nei paesi occidentali e il Giappone che cominciarono così un percorso di ripresa economica. Ma questo sistema non era un sistema automatico di riciclo delle eccedenze e funzionò fino a che gli Stati Uniti erano in surplus commerciale. Con il passare del tempo i paesi usciti dalla guerra divennero esportatori, in particolare Germania e Giappone, e gli Stati Uniti passarono da paese in surplus a paese in deficit commerciale con anche un debito pubblico in crescita  a causa della guerra del Vietnam. Questa situazione di debolezza del dollaro portava il cambio fisso con l'oro ad essere sottovalutato e, quando qualcuno, la Francia, provo a forzare la mano per cambiare dollari svalutati con oro, Nixon sospese definitivamente il sistema, era la fine del cosiddetto Piano Globale. 

A questo sistema si sostituì quello che Varofakis chiama Minotauro Globale. Infatti la figura mitologica del Minotauro, mezzo uomo e mezzo toro, si nutriva di giovani vittime che le venivano offerte per sfamarlo, come metafora del sistema in cui i surplus dei paesi sviluppati occidentali alimentavano gli Stati Uniti. Il sistema funzionava perchè i surplus commerciali degli altri paesi, recentemente anche la Cina, venivano reinvestiti nel sistema finanziario e industriale americano. Questo nuovo precario equilibrio funzionò per un certo tempo provocando la crescita della finanza e delle speculazioni finanziarie che, come sappiamo, si è trasformata nella terribile crisi del 2008. Il libro prosegue con una descrizione della crisi del 2008 e quindi con la conseguente  crisi in Europa e le varie vicende della zona euro, che ha visto come protagonista la Grecia e che l'autore tratta in maniera dettagliata nel libro citato all'inizio. 

Nel finale si domanda se si intravede qualche cosa che possa sostituire il meccanismo del Minotauro Globale, ora azzoppato dalla crisi del 2008, ma a questa domanda non c'è risposta in questo sistema dove la Cina sta assumendo un ruolo rilevante. 

I temi e argomenti del libro non sono nuovi, anzi ne abbiamo trattato ampiamente in questo blog, resta comunque un libro, come detto all'inizio, piacevole e interessante da leggere.

sabato 27 aprile 2024

Daron Acemoglu- James A. Robinson- La strettoia- Come le nazioni possono essere libere

Il libro che recensisco oggi è  di Daron Acemoglu, professore di Economia al MIT di Boston e James A. Robinson che insegna alla Harris School della Università di Chicago. Del primo abbiamo gia recensito qui e qui altri due libri.
Il libro parte dalla filosofia di Hobbes per cui, per evitare la guerra tra gli uomini (Homo hominini lupus), era necessario un potere dispotico il cosiddetto Leviatano. L'altra forza che gli autori considerano è quella della società, questo potere può controbilanciare il potere del Leviatano, cioè lo Stato, creando il cosiddetto Leviatano incatenato, questa è la configuazione delle democrazie dove i due poteri si bilanciano. Esiste un altro meccanismo che gli autori espongono, con una citazione letteraria da Alice nel paese delle meraviglie, la coisddetta Regina Rossa cioè, visto che le situazioni economiche e sociali si modificano, Stato e società devono adattarsi di pari passo per evitare che l' equilibrio si modifichi. 
La strettoia è lo stretto corridoio di equilibrio tra potere dello Stato e della società che conduce alla democrazia, stretto perchè è difficile imboccarlo e facile uscirne. Il libro quindi è un lungo elenco di storie di evoluzione politica e istituzionale di svariati paesi che vengono portati ad esempio dei vari equilibri che si creano  tra le due forze in gioco. 
Vengono quindi elencate le storie dei paesi che sono riusciti ad arrivare al Leviatano incatenato, cioè laddove la societa è  riuscita a imbrigliare il potere dello Stato, in questa fattispecie rientrano principalmente le democrazie occidentali. Esistono molti casi invece dove predomina il Leviatano dipostico, dove la forza dello Stato domina sulla società, gli esempi non mancano, ad esempio la Cina, dove la tradizione di autoritarismo non è mai riuscita a far emergere una forma di democrazia.  Abbiamo poi casi di Leviatano assente, cioè dove non si creano le condizioni per la costruzione di un vero Stato abbastanza forte, situazioni che degenerano spesso in forme di dipotismo. Infine, viene citato il caso del  Leviatano di carta, vedi ad esempio Argentina, dove anche esiste uno Stato e una burocrazia, ma è un potere vuoto incoerente e disorganizzato e spesso assente in alcune aree del paese. Il libro è quindi una dettagliata storia di molti paesi con le loro caratteristicche e le loro traiettorie che li hanno portati alla configurazione attuale. In particolare viene dato rilievo allo state-building negli Stati Uniti, dove il Leviatano è incatenato con una Costituzione che mantiene debole lo Stato federale, un compromesso che ha funzionato ma ha portato ad uno sviluppo squilibrato. Un altro caso interessante è l'India dove abbiamo una democrazia, grazie a una lunga storia di  partecipazione popolare, ma una democrazia problematica e frammentata resa debole dal sistema delle caste. Entrare o uscire dalla strettoia dipende da molte circostanze, storiche ed economiche, un esempio è la caduta della Repubblica di Weimer per motivi strutturali ma anche economici.
Per gli autori non ci sono regole generali per entrare nel corridoio che porta al Leviatano incatanato, dipende da molti fattori, storici, strutturali, economici e sociali che dipendono fortemente dal contesto locale. Sicuramente una condizione per il mantenimento nella strettoia è una società in grado di mobilitarsi per rispondere efficacemente alle variazioni economiche e sociali, per questo gli autori danno enfasi alla tutela dei diritti dei cittadini contro tutte le minacce dello Stato. 
Un libro molto interssante e ovviamente ricco di informazioni storiche su uno spettro molto ampio di nazioni. A mio parere il voler raccogliere così tanti esempi lo rende sicuramente più completo ma lo rende poco scorrevole e faticoso da leggere. Sicuramente questo libro può essere considerato una continuazione di quanto viene riportato nell'altro libro: Perchè le nazioni falliscono
Alcune considerazioni sulla teoria esposta, sicuramente è una teoria interessante, non del tutto nuova, ma piuttosto approfondita. Come tutte le teorie cerca di trarre conclusioni sintetiche da un modello semplificato del funzionamento della società. A mio parere quello che manca, in parte, nella loro teoria è un elemento molto importante, ovvero il potere delle èlite economiche, finanziarie e tecnologiche, che io nei miei post ho definito come potere del mercato, vedi ad esempio qui. In effetti nel corso del libro il loro ruolo delle èlite viene evidenziato, ad esempio delle èlite latifondiste, che sono state spesso un freno allo sviluppo democratico della società, o le èlite coloniali che hanno condizionato lo sviluppo di molte nazioni ex-colonie. Inoltre, in questo momento sono molto forti le èlite tecnologiche, i grandi player come Google, Facebook, Amazon ecc., e  come evidenziato da Acemoglu nel suo libro Power and Progress le scelte tecnologiche, molto importanti nel modellare la evoluzione della società, sono definite dalla visione dominante e tendono a rinforzare il potere e lo status di coloro che stanno modellando la traiettoria della tecnologia. Quindi manca nel libro una evidenziazione di una componente importante nella evoluzione di una nazione, cioè il potere del mercato e delle èlite di qualsivoglia natura. Nel libro mancano alcune indicazioni sulle modalità per avere una società pronta a mobilitarsi. Su questo punto penso che molto si potrebbe fare  sul piano istituzionale aumentando le possibilità dei cittadini di partecipare alla politica, superando il mero sistema elettorale rappresentativo, che sta mostrando i suoi limiti per effetto del sistema di cattura esercitato dalle lobby economiche, aumentando anche le possibilita e modalità dei cittadini di aggregarsi ed esprimere le proprie opinioni. Infine, dando maggiore visibilità e potere alle organizzazioni come le ONLUS sociali e recuperando il ruolo dei sindacati.

mercoledì 27 marzo 2024

Il futuro dell'Europa

 La guerra in Ucraina, ma anche la crisi mediorientale tra Israele e palestinesi, sta mostrando l'estrema debolezza dell'Europa, senza una politica estera e un esercito comune siamo dipendenti dalle scelte o non scelte degli USA. Rispetto alla guerra fredda il mondo è cambiato, la Cina è  assurta a potenza mondiale commerciale e politica, sta crescendo l'India, paese più popoloso del mondo, inoltre vediamo rigurgiti imperialisti russi. 
Gli Stati Uniti sono in difficoltà, se non altro perché alle elezioni presidenziali si sfideranno due candidati deboli o discutibili lasciando al comando della potenza, ancora leader mondiale, un presidente comunque problematico. Noi europei siamo al palo da parecchio tempo e sarebbe ora di decidersi. Nessuno ci obbliga a fare una federazione europea, nel mondo ci sono centinaia di stati che vivono benissimo da soli. Se vogliamo fare una federazione con l'intento di avere un maggior peso nello scacchiere geopolitico mondiale però dobbiamo cambiare approccio. In politica è in economia non vale la regola commutativa, cioè che invertendo l'ordine dei fattori il prodotto non cambia, anzi la storia è spesso come si dice path dependent. Errori ne abbiamo fatti, era sbagliato partire dalla unione monetaria, non lo dico io ma molti, è stato affrettato allargare cosi tanto la UE  creando una struttura ingestibile. 
Quindi, se si vuole proseguire, bisogna cambiare strategia, la moneta unica ha senso se la BCE ha gli strumenti e quindi serve anche  un debito comune per avere un budget degno di questo nome. Serve un ministro europeo per la politica estera con delega, così come serve un esercito europeo e un ministro della economia europeo. Ciò significa delegare alle Europa alcune funzioni diminuendo la sovranità nazionale e in ogni caso per fare ciò bisogna partire da un numero ristretto di nazioni. C'è la volontà politica di fare questo? Non mi sembra, a nessuno piace delegare e il nazionalismo è sempre forte, certe rivoluzioni necessitano o di gravi emergenze o leadership forti e illuminate. Certo che rimanere in mezzo al guado non serve, se la Francia smettesse di guardare alla Germania, strategia che non ha pagato, ma guardasse più verso il mediterraneo, Spagna e Italia, potrebbe essere l'inizio di un cambiamento, Macron ha perso l'occasione difficile che il prossimo si ravveda.

mercoledì 20 marzo 2024

Robert J. Shiller- Economia e narrazioni- Come le storie diventano virali e guidano i grandi eventi economici.

 Questo è l'ultimo libro di Robert Shiller, economista e premio Nobel di cui abbiamo recensito un altro libro: Phishing for Phoolos. Il libro tratta della importanza delle narrazioni nella economia. Le narrazioni, o meglio le costellazioni di narrazioni, hanno avuto importanza nella storia dell'uomo e quindi anche sulle vicende economiche. Le narrazioni economiche sono come le epidemie crescono lentamente poi raggiugono un picco per poi tendere a scomparire. L'autore riporta poi una serie di principi che regolano le narrazioni economiche. Nella seconda parte elenca e fa la storia delle principali narazioni economiche che hanno preso piede nell'ultimo periodo. Tra queste narrazioni citiamo: panico e fiducia, frugalita' vs consuno vistoso, gold standard vs bimetallismo, macchine e automazione che riduono il lavoro, bolle immobiliari e finanziarie. 
Le conclusioni dell'autore sono che sicuramente le narrazioni hanno importanza in economia, anche se la relazione tra queste e l'andamento economico è complesso, pertanto lo studio delle narrazioni andrebbe maggiormente indagato dagli economisti. 
Un libro interessante come argomento, con dettagliate ricostruzioni storiche che comunque risulta non  facilmente leggibile; a mio parere un libro molto meno riuscito dei precedenti di Shiller.



mercoledì 13 marzo 2024

Dani Rodrik- One Economics Many Recipes- Globalization, Institutions, and Economic Growth

 Dell'autore, Dani Rodrik professore di Economia Politica Internazionale presso la Università di Harvard, ne abbiamo parlato spesso in questo blog recensendo articoli e libri, diciamo che è uno dei miei autori preferiti.
Il libro che recensisco oggi non è recente, infatti  è del 2007 ma è comunque un libro importante. Di  fatto contiene molti degli argomenti che verranno sviluppati nei suoi successivi libri: La Globalizzazione Intelligente (The Globalization Paradox) e Dirla tutta  sul mercato globale (Straight Talk on Trade). A differenza dei due citati è un libro meno unitario, infatti si tratta di insieme di pubblicazioni e articoli tecnici, pertanto è anche meno dedicato al grande pubblico. 
Il primo capitolo è dedicato alla crescita dei paesi meno sviluppati e contiene dati relativi agli ultimi 50 anni. Le conclusioni sono che il menù di soluzioni per la crescita è molto ampio, le ricette che funzionano meglio sono quelle che si adattano al contesto locale. Non esiste un unica forma di istitutuzioni che funziona. Non sempre le soluzioni che funzionano sono quelle che prescrive la ortodossia economica, spesso le riforme migliori sono quelle che combinano scelte ortodosse e non ortodosse. Comunque per far partire la crescita non servono delle riforme estensive ma ne bastano alcune mirate, mentre una crescita sostenuta e continuativa è molto piu complicata da ottenersi, e una crescita nel breve non garantisce una crescita nel lungo. Una crescita a lungo termine necessita lo sviluppo di istituzioni che mantengano un produttivo dinamismo e generino resilienza agli shock esterni.
Il secondo capitolo rigurda la cosiddetta diagnostica della crescita, cioè la strategia per comprendere le priorità politiche. Una economia che non performa ha sicuramente delle imperfezioni e distorsioni di mercato. In presenza di molte distorsioni, riforme estensive in ogni area molto probabilmente falliscono, pertanto è meglio concentrarsi sulle distorsioni prevalenti e, quindi, focalizzarsi su quelle riforme dove, ragionevolmente, gli effetti diretti sono maggiori e verso i fattori che maggiormente limitano  la crescita. Segue un analisi dettagliata delle caratteristiche di alcuni paesi del Sud America dove si evidenziano le differenze sui fattori critici quali ad esempio: limitati risparmi, scarsi investimenti, alte tasse, macroinstabilità ecc., che limitano la crescita. 
Un capitolo è dedicato alle politiche industriali. La natura delle politiche industriali dovrebbe presentare la caratteristica di essere complementare alle forze di mercato. Il modello corretto di politica industriale dovrebbe prevedere una collaborazione strategica tra il settore privato e il governo con lo scopo di scoprire i maggiori ostacoli allo sviluppo e nel determinare gli interventi che possano rimuoverli. Va detto che la innovazione è limitata nei paesi in via di sviluppo piu dalla domanda che dalla offerta. Inoltre, l'assenza di opportunità economiche deprime i ritorni sull'investimento educativo. La specializzazione, secondo la teoria dei vantaggi comparati, dovrebbe essere un elemento essenziale dello sviluppo, anche se, ovviamente, la diversificazione ha molti vantaggi e diventa indispensabile con lo sviluppo. La diversificazione comunque non è un processo naturale ed è difficile che si verifichi senza l'intervento della azione pubblica. La diversificazione richiede la "scoperta" di nove attività,  queste attività per gli imprenditori prevedono costi privati ma comportano guadagni sociali (esternalità),  per questo dovrebbero essere favorite. La scoperta di nuove attività per la esportazione, per alcuni autori è positivamente connessa alle barriere alla entrata; si rivela utile anche sussidiare gli investimenti in nuove industrie e forme di protezione dal commercio.
Un altro problema è che gli investimenti su larga scala hanno grandi costi fissi, diventa quindi importante coodinare le decisioni di investimento e produzione di diversi imprenditori, in generale le nuove tecnologie richiedono qualche forma di supporto pubblico. Questo spiega perchè spesso lo sviluppo industriale nelle economie in via di sviluppo richiede assistenza governativa. Ovviamente ci sono molte controindicazioni che la letteratura economica pone all'intervento del governo. Per l'autore ci sono comunque alcuni elementi essenziali affinchè le politiche industriali funzionino:
  • gli incentivi dovrebbero andare principalmente a nuove attività;
  • ci dovrebbero essere dei chiari criteri di benchmark per valutare le attività sussidiate;
  • ci deve essere un tempo limite agli aiuti;
  • il supporto pubblico deve essere rivolto ad attività e non a settori industriali;
  • le agenzie pubbliche incaricate devono avere competenze e essere ben in contatto con il privato;
Pertanto, nonostante le restrizioni che vengono poste da piu parti alle politiche industriali (es. WTO), è difficile pensare che possano sparire dall'orizzonte dei decisori politici.
Un ulteriore capitolo è dedicato alle istituzioni per la crescita. In primo luogo l'autore ribadisce che i mercati hanno bisogno del supporto delle istituzioni non di mercato, una economia di mercato è di fatto anche integrata con le istituzioni di non mercato. Inoltre, gli investimenti sono importanti per lo sviluppo, e gli investimenti sono sensibili agli incentivi e tali incentivi potrebbero non funzionare senza adeguate istituzioni. Una definizione generale di istituzioni potrebbe essere: un insieme di regole di comportamento che governano e modellano le interazioni degli esseri umani.  Le istituzioni che contano sono: i diritti di proprietà stabili e sicuri, istituzioni regolatorie del mercato, istituzioni per la macrostabilità economica e per la assicurazione sociale  e, infine, istituzioni per la gestone dei conflitti. Una prima conclusione è che le forme istituzionali non sono determinate in maniera univoca. Un altro aspetto importante è che le istituzioni devono essere sviluppate localmente piuttosto che da un approccio top down, cioè imposte. Da una serie di dati su moltissime nazioni emerge poi che le istituzioni democratiche producono maggiore crescita nel lungo termine, una maggiore stabilità nel breve e resistono meglio agli shock e, infine, sono migliori dal punto di vista dell'equità distributiva. In conclusione non serve una trasformazione su larga scala per innescare la crescita ma basta anche un set minimo di cambiamenti, ovviamente per la crescita sostenuta nel tempo sono necessarie invece solide istituzioni.
L'ultima parte del libro è dedicata alla globalizzazione, che come sappiamo pone opportunità e sfide, da una parte la espansione del mercato ha consentito ad alcune economie di svilupparsi, d'altra parte ha posto difficoltà agli Stati nel finanziarsi le reti di sicurezza sociale. Ciò lo porta ad un abbozzo di quello  che sarà poi il famoso trilemma, cioè la impossibilità di avere contemporanemante una autonomia nazionale, una economia integrata a livello internazionale e  politiche democratiche. 
Di fatto le regole del gioco della economia globale hanno ristretto le possibilità di influenza dei movimenti popolari e le politiche attuabili a livello nazionale. Il regime di  Bretton Wood-GATT aveva rimosso alcuni restrizioni sul commercio ma mantenuto alcune restrizioni sui flussi di capitale, il sistema è stato via via abbandonato anche perchè le innovazioni delle comunicazioni e dei trasporti hanno reso la globalizzazione più estesa e facile.  D'altra parte, mentre si espandono in sempre maggiori aree le regolamentazioni sul commercio e sulla finanza, dovrebbero essere parimenti rinforzati i meccanismi di opzione di uscita temporanea dai regimi stabilti, per dare maggiori possibilità di azione ai policy-makers nazionali. Quello che auspica l'autore è una forma di federalismo globale che sappia coniugare tradizionali forme di governance locale  con istituzioni regolatorie multilaterali e standard internazionali. Promuovere lo sviluppo non è sinonimo di massimizzazione del commercio come vorrebbe il WTO, infatti non c'è nessuna evidenza convincente che la liberalizzazione del commercio sia associata con il conseguente sviluppo. La integrazione economica è più un esito auspicabile che un pre-requisito, il raggiungimento di un certo volume di scambi dipende da molte cose e, soprattutto, dalla performance generale della economia. Nessuna economia si è sviluppata semplicemente aprendosi al commercio e a investimenti esteri, anzi gli esempi di India e Cina mostrano che le riforme del commercio hanno avuto luogo una decade dopo la crescita e molte restrizioni sono rimaste. Le nazioni devono avere la opportunità di massimizzare i vantaggi e minimizzare i rischi nella partecipazione alla economia mondiale, e non bisogna sottovalutare la importanza del ruolo dello Stato nel processo di trasformazione economica. Anche gli Stati sviluppati hanno altresì il diritto di proteggere le loro organizzazioni sociali (welfare, leggi sul lavoro, ecc.). In sintesi le conclusioni sono: il commercio non è un fine a se stante, le regole del commercio devono permettere le diversità tra le istituzioni nazionali, le nazioni non democratiche non possono avere gli stessi privilegi di quelle democratiche e, infine, le nazioni devono avere il diritto di proteggere le proprie istituzioni e le proprie priorità di sviluppo.
Come si evince dalla sintesi è un libro molto ricco di informazioni e dati, in cui le tesi sono corroborate dalle evidenze di studi approfonditi. Ovviamente c'è nel libro molto di più di quanto sintetizzato da me, è un libro dunque interessante per chi vuole approfondire le tematiche affrontate: sviluppo, politiche industriali,  globalizzazione, accordi commerciali. Un libro non proprio dedicato al grande pubblico ma molto chiaro nella esposizione dei concetti.

martedì 5 marzo 2024

Carl Benedict Frey- The Technology Trap - Capital, Labor, and Power in the age of automation

 L'autore, Carl Benedict Frey, è un economista di origine svedese e tedesca che insegna Intelligenza Artificiale e Lavoro presso la Univeristà di Oxford. Il libro è una approfondita dinamica della evoluzione tecnologica e delle sue ricadute sociali a partire dalla prima Rivoluzione Industriale.
 La creatività tecnologica è esista in qualche forma nel passato, un esempio è lo sviluppo della agricoltura, tuttavia la crescita economica sostenuta si è avuta  solo negli ultimi secoli a partire dalla Rivoluzione Industriale in Gran Bretagna. Di fatto le innovazioni tecnologiche servivano per scopi pubblici piuttosto che privati e avevano pertanto un limitato impatto economico, c'era un clima politico e culturale poco propenso allo sviluppo indistriale. I progressi tecnologici durante il Medio Evo spinsero i commerci piuttosto che risparmiare lavoro. Anche il Rinascimento, epoca di idee tecniche, fu piena di immaginazione ma poco di realizzazioni pratiche. Le elìte avevano in realtà come priorità la massimizzazione della occupazione per evitare sollevamenti sociali. La difficoltà ad innescare lo sviluppo tecnologico è dovuta fondamentalmente ad un suo mancato supporto; la innovazione è rischiosa e i mercati per le innovazioni sono inizialmente locali e piccoli. Inoltre, la innovazione tecnologica richiede una base scientifica e le istituzioni proibirono piuttosto che incoraggiare le innovazioni. I primi segnali di cambiamento avvennero in Gran Bretagna, con lo sviluppo dei commerci atlantici si rafforzò il potere dei mercanti e  si iniziò a intravedere uno sviluppo industriale, le prime fabbriche furono infatti gestite dai mercanti. Lo spostamento di potere dalla corona al Parlamento comportò una maggiore salvaguardia degli interessi mercantili e industriali. La macchina a vapore fu infatti un derivato della ricerca scientifica anche se arrivò  tardi nel processo di industrializzazione, ci vollero comunque circa 100 anni per veder pienamente all'opera la Rivoluzione Industriale. Inizialmente i  vantaggi  della Rivoluzione Industriale andarano solo a vantaggio dei pionieri dell'industria. Le condizioni dei lavoratori non migliorarono, anzi all'inizio peggiorarono. I guadagni degli artigiani svanirino perchè sostituiti da lavoratori meno skillati (anche ragazzi) pertanto montò  la protesta dei luddisti che non ebbe successo. La protesta non funzionò perchè le elìte dominanti presero le parti degli innovatori, anche perchè la diffusione delle macchine accresceva il potere competitivo del commercio britannico. Fu solo successivamente che la Rivoluzione Industriale portò dei vantaggi ai lavoratori, lo sviluppo tecnologico crescente richiedeva lavoratori piu qualificati che, grazie ai sindacati, gradualmente ottennero aumenti salariali e miglioramenti delle condizioni lavorative. Le tecnologie divennero di tipo "abilitante" quindi con la creazione di nuove attività. La elettricità e il motore a combustione furono poi le tecnologie "general purpose" che condizionarono ogni aspetto della industria. Dal sistema della fabbrica si passò quindi allla produzione di massa. Inoltre, la elettrificazione modificò la organizzazione della produzione e rese piu salubri gli ambienti lavorativi. La caratteristica della Seconda Rivoluzione Industriale fu la meccanizzazione delle abitazioni. La elettrificazione rivoluzionò le case ed il lavoro delle casalinghe. La automobile cambiò la faccia del Nord America ed i moto veicoli trasformarono anche la agricoltura. La automobile divenne la piu grande industria nel 1940 e i motoveicoli furono quelli che generarono maggior lavoro di tutte le altre tecnologie.  Il periodo che va dal 1870 al 1980 circa si caratterizza come un periodo di migliormento delle condizioni dei  lavoratori con un aumento dei salari che tennero  il passo della produttività e con una crecita lenta e costante della classe media. Tutto ciò si deve al maggior potere contrattuale dei lavoratori, ad una tecnologia che crea nuovi lavori per lavoratori sempre piu skillati e l'aumento della scolarizzazione. Questo fenomeno tende ad invertirsi a partire dal 1980, in particolare aumenta la domanda di lavoratori particolarmente skillati e quindi in parte un fallimento del sistema educativo che non riesce a tenere il passo. Il periodo della automazione è distinto da quello della meccanizzazione, la tecnologia tende a diventare sostitutiva facendo sparire tutta una serie di attività ora automatizzabili; le macchine controllate dal computer tendono a ridurre la necessità di un certo tipo di addetti. Purtroppo si assiste allo spostamento da lavori piu pagati a lavori nei servizi, non automatizzabili, meno pagati, di fatto riducendo la classe media. L'automazione ha diminuito il lavoro per alcuni blue collars che facevano parte della classe media. Di fatto la produttività aumenta ma non aumentano i redditi da lavoro. La sparizione di certi tipi di lavoro ha comportato il peggioramento delle condizioni di vita in alcune zone degli USA peggiorando le condizioni delle famiglie e le possibilità di mobilità sociale (i luoghi contano), facendo crescere le differenze tra le comunità.
Dato che una diffusa classe media è un pilastro per ogni democrazia, la riduzione di essa ha avuto dei profondi effetti sulla politica. Nel passato l'allargamento della classe media è stato fondamentale per un aumento della democrazia e del welfare, le profezie marxiste non si sono avverate per la trasformazione di una buona parte del proletariato in classe media. La crescita delle ineguaglianze ha reso il sistema politico meno reattivo alle esigenze dei cittadini ordinari, la politica si è cosi polarizzata, minando la leggittimità della democrazia. I lavoratori hanno perso influenza e i lavoratori meno skillati sono divenuti sempre piu staccati dai principali partiti. Le tensioni razziali non sono diminuite tra le classi meno istruite, così anche se la teconologia, soprattutto, e la globalizzazioĺne hanno grandemente contribuito alla perdita di lavoro, la immigrazione è stata facilmente indicata come causa per opportunità politica. Le difficoltà economiche sono quindi una sicura causa degli spostamenti degli orientamenti di voto soprattutto in alcune zone degli USA. Il futuro non è scritto ma la teconolgia della IA (Intelligenza Artificiale) che sta facendo balzi in avanti,fa prefigurare scenari di ulteriore diminuzione delle opportunità lavorative per lavoratori a basso e medio skill. Gli studi prevedono che la IA potrebbe mettere a rischio una grande parte dei lavori a basso skill e bassa formazione; è probabile che i tempi siano lunghi per la sostituzione di molti lavori ma sul lungo periodo il problema si pone creando le basi per un ulteriore divisione tra vincenti e perdenti. La sfida quindi è soprattutto politica nella gestione della innovazione e sulle sue ricadute sociali. Pertanto l'autore elenca una serie di interventi che si dovranno prevedere: un maggior investimento dei governi nella educazione in particolare dei giovani e nella ri-formazione degli adulti, prevedere delle assicurazioni sul salario per garantire le possibilità di mobilità lavorative, forme di integrazione salariale o tax credit per chi è in difficoltà economiche, diminuire le barriere ai cambiamenti di lavoro, sussidi per la ricollocazione abitativa, rimuovere le   barriere alla espansione edilizia delle città in espansione lavorativa, investimenti in infrastrutture di mobilità per ridurre i costi abitativi.
Nel complesso un libro molto ben scritto e contenente molte informazioni, sui vari argomenti elenca con chiarezza studi e lavori a favore delle varie tesi, quindi ben documentato. Insieme al precedente libro di Acemoglu Power and Progress da una corretta visione della evoluzione tecnologica e da una visione del progresso tecnologico meno ottimistica, anche se il libro di Acemoglu giustamente metteva in evidenza il fatto che gli effetti della evoluzione tecnologica dipendono dai rapporti di potere. 
Aggiungo qualche mia considerazione, il progresso tecnologico è stato il motore della crescita del benessere e, fino ad oggi, ha garantito un miglioramento delle condizioni di vita di molti, ma non cè dubbio che negli ultimi trent'anni nei paesi sviluppati ci sia stato un aumento delle disuguaglianze, una concentrazione di ricchezza e di potere,  e una riduzione della classe media con le sue conseguenze politiche. 
Se il capitalismo si è salvato, sino ad esso dalle fosche previsioni di Marx, sviluppate quando le condizioni dei lavoratori erano terribili, è perchè le condizioni del lavoratori sono migliorate sia dal punto di vista lavorativo sia economico. Se il capitale continuerà ad avere la meglio sul lavoro come sta succedendo, si pone un problema direi keynesiano, cioè se diminuiscono i redditi da lavoro chi crea la domanda effettiva per la offerta sempre più automatizzata? La risposta a questo è stata la crescita delle spese statali e il welfare  che però sono in difficoltà per la sempre maggior elusione  fiscale dei ricchi e delle imprese. Quindi  se le elìte fossero illuminate capirebbero che ci vuole una maggior uguaglianza e maggior redistribuzione della ricchezza a meno che non vogliano rivedere rinascere lo spettro delle previsioni marxiste della crescita e impoverimento dell' esercito dei lavoratori di riserva con tutte le conseguenze del caso.