Oggi vorrei parlare del tema
delle banche italiane e del cosiddetto “bail-in”.
Su questo è stato scritto moltissimo e ancora si discute sulle possibilità
tecniche di gestione delle sofferenze che appesantiscono i bilanci delle banche, con conseguente polemica con la
Commissione europea. Su questi aspetti,
di cui ammetto di non essere così ferrato, non parlerò, vorrei
fare invece un discorso un poco più
generale a beneficio di coloro che sono meno preparati. Il sistema bancario, e
anche quello finanziario, sono importantissimi in una moderna economia, in
particolare il mondo bancario ha lo scopo di connettere il sistema del
risparmio privato con il sistema industriale/commerciale (in senso lato dalla
grande industria alla piccola attività) che necessita di finanziamenti.
Questo lo capiscono tutti anche i meno preparati e quindi la funzione delle banche risulta
importante e delicatissima. Che le banche in Italia, ma anche all’estero, non
abbiano svolto bene questo compito non è un mistero, basta pensare alla crisi del
2008 innescata dal sistema finanziario/bancario americano e agli scandali e disastri
che abbiamo visto in tutta Europa e di vario genere. Viene da se che l’attività
bancaria ha bisogno, per la sua delicatezza, di autorità pubbliche di
controllo, in Italia Consob e Banca d’Italia e adesso anche la BCE. Ora se in
Italia è successo quello che è successo e si è lasciato che alcune banche arrivassero
al fallimento e vendessero le famigerate obbligazioni subordinate a cittadini, più o meno ignari, mi pare
evidente che qualcosa non ha funzionato a dovere. In particolare vorrei fare un
partentesi sulla Banca d’Italia (BDI) e
la sua indipendenza. Su questo tema esprimo il mio modesto pensiero, sono d’accordo
in linea di principio che la BDI sia indipendente dal Governo (Potere Esecutivo),
questo perché quest’ultimo potrebbe essere tentato di spingerla ad azioni per motivi strettamente propri (elettoralistici) e non proprio d’interesse generale. Sono invece contrario alla
totale indipendenza della banca centrale, proprio per la delicatezza e
importanza del suo ruolo per tutta la economia, quindi a mio parere la banca centrale dovrebbe avere un mandato chiaro ma soprattutto in
linea con la Costituzione, per fare un esempio se la Costituzione dice che la
Repubblica è fondata sul lavoro, la banca centrale non può occuparsi solo di
stabilità monetaria ma dovrebbe anche preoccuparsi della disoccupazione. Quindi
dovrebbe essere soggetta al controllo di qualche altro organismo, ad esempio il
Parlamento, con modalità da stabilire, affinché sia anch’essa controllata
secondo il sano principio del check and balancing. La nostra BDI è un
istituzione di grande qualità, con personale di assoluto livello e in genere lo
sono stati anche i suoi Governatori, ma non sempre, come la storia ci ha
dimostrato. Per quanto riguarda il bail-in anche qui, in linea di principio, non
sarebbe sbagliato che i costi degli errori di una banca finiscano per colpire principalmente
chi ne ha il capitale di rischio, per evitare i soliti salassi a carico di
tutta la comunità. D’altra parte a seguito della crisi del ‘29, si è deciso di stabilire un assicurazione sui
depositi proprio per evitare le note scene di panico delle persone in fila a
ritirare i propri risparmi dalla banche, con conseguenti rischi di fallimenti bancari
a catena e conseguente disastro economico. Che in Europa, quasi ovunque, si
sia deciso di salvare con i soldi pubblici le banche non è un mistero, con
modalità diverse e, in alcuni casi, anche perché si trattava di banche
pubbliche. Ora lamentarsi con l’Europa perché
ha cambiato le regole mi sembra un poco fariseo, prima perché le regole sono state
cambiate non dall’oggi al domani e non posso credere chi i nostri politici
che le hanno approvate erano così ignoranti, e poi chi ci ha impedito, in tempi
non sospetti, di salvare le banche (qualcosa si è fatto ad esempio per MPS),
non c’è stato un errore di sottovalutazione politica e anche da parte della
dirigenza di alcune banche? Quindi, al
di la dei tecnicismi, torno sempre sullo stesso tema, abbiamo un classe dirigente
(in senso lato) che non mi pare adeguatamente preparata e pronta a rispondere
alle sfide nei modi e nei tempi migliori. E dire che non credo che manchino in
Italia le intelligenze e la preparazione, ma forse è un problema antico, se Leonardo da Vinci è morto in Francia, se
Marconi ha dovuto emigrare in Inghilterra per applicare le sue scoperte, se
Fermi se ne andato negli Stati Uniti a
costruire la prima pila atomica, a dimenticavo
Galilei è rimasto ma è stato arrestato e ha dovuto abiurare le sue idee.
Le idee degli economisti e dei filosofi politici, tanto quelle giuste quanto quelle sbagliate, sono più potenti di quanto comunemente si creda. In realtà il mondo è governato da poco altro. Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto. John Maynard Keynes
mercoledì 27 gennaio 2016
lunedì 25 gennaio 2016
Dani Rodrik - Economic Rules -The Rights and Wrongs Of The Dismal Science
Il
libro che recensiamo oggi è di Dani Rodrik, di cui abbiamo già parlato in un altro post per il suo precedente
libro, The globalization paradox.
Il
tema del libro, come è scritto nel sottotitolo, è quello di provare a
discriminare cosa ci sia di giusto e di sbagliato nella teoria
economica, e quindi in ciò che affermano gli economisti. In particolare il
libro si concentra sui modelli che sono una delle caratteristiche, per l’autore,
più importanti e caratterizzanti la scienza economica. L’accusa è che alcuni
economisti abbiano male interpretato il loro ruolo assumendo il loro modello come “il modello” mentre, giustamente, Dani Rordik evidenzia che esistono vari modelli e che ognuno
va utilizzato in base al contesto di riferimento. Il problema non è, come
affermano alcuni critici della scienza economica, che i modelli siano troppo
semplici, anzi la semplicità è un requisito essenziale se si vuole fare scienza.
Non sono un problema neanche le assunzioni
irrealistiche in generale, piuttosto se sono irrealistiche le cosiddette
assunzioni critiche, quelle correlate direttamente ai risultati, ed in questo l’autore
è in contrasto con quanto affermava Friedman che ciò che conta sono solo i
risultati. Il compito della scienza economica e dell’economista è quindi, soprattutto, di selezionare il
giusto modello in base alle condizioni specifiche in cui deve essere applicato.
L’errore commesso da alcuni economisti recentemente è stato di essere troppo confidenti in alcuni modelli a scapito di
altri. Afferma infatti inoltre: «L’economia
è una scienza sociale il che significa che la ricerca delle teoria e dei risultati
universali è futile. Un modello è al massimo contestualmente valido». Se
la scienza economica ha perso credito è stato appunto per gli eccessi di alcuni
economisti in propagandare alcune scelte politiche quando la direzione della
vita sociale non può essere predetta, un
bravo economista può fare solo predizioni “condizionali”. La scienza economica
progredisce anche grazie ad una migliore
selezione dei modelli e migliorando la correlazione tra i modelli e il mondo
reale. La realtà sociale infatti ammette un grande varietà di possibilità e i
modelli economici ci avvertono della estrema diversità degli scenari possibili. L'autore conclude
che l’economia (se giustamente intesa) ci fornisce gli strumenti analitici per
indirizzare i grandi problemi pubblici del nostro tempo. Ciò che non può
fornire è una risposta definitiva e universale,
i risultati forniti dalla scienza economica devono essere comunque combinati
e tener conto dei giudizi di valore, le valutazioni e la evoluzione
delle tematiche di natura politica, etica e pratica.
In
definitiva un libro veramente molto bello, molto ben scritto e di grande
equilibrio, che riscatta, in qualche modo, la scienza economica dal discredito in
cui è stata condotta da alcuni economisti.
Un libro che dovrebbero leggere tutti gli studenti di economia per acquisire un
giudizio più critico, ma anche più sano, sulle materie che studiano.
Aggiornamento quando ho recensito questo libro non era disponibile in italiano adesso (marzo 2016) è disponibile con il titolo Ragioni e torti dell'economia edito da Bocconi editore, quindi è stato tradotto prima di quanto pensassi.
martedì 19 gennaio 2016
Robert Reich - Come salvare il capitalismo -Fazi Editore
Di questo autore, ex segretario del lavoro durante la presidenza Clinton ed economista, abbiamo già parlato in merito al suo altro libro Supercapitalismo in cui illustrava l’evoluzione, o meglio l’involuzione, del capitalismo dal secondo dopoguerra ad oggi. In questo libro si concentra sui difetti del capitalismo attuale.
Nella
prima parte mette in evidenza come il vero tema non sia se sia meglio il governo
o il mercato, bensì sulle regole su cui si basa il
mercato.
Le regole fondamentali del mercato sono per l’autore quelle che
regolano i contratti, i monopoli, i
fallimenti e, infine, come vengono fatte rispettare le regole stesse. Il
problema è che queste regole sono state
negli ultimi tempi sempre più condizionate dai poteri economici forti, grandi
imprese e Wall Street, anche a causa della perdita di potere contrattuale dei
lavoratori e della classe media. E’ quindi la capacità del potere economico di
condizionare a proprio vantaggio le scelte politiche sul funzionamento del
mercato, più che l’evoluzione tecnologica o la globalizzazione, a consentire a
chi è più ricco di continuare arricchirsi o quelle che l’autore chiama “pre-distribuzioni
verso l’alto”.
E’ necessario quindi che non ci sentiamo vittime di forze di
mercato impersonali, il mercato si basa su regole concepite da esseri umani, la
sfida non riguarda le dimensioni del governo «bensì per chi e per che cosa
opera il governo», cioè lo scopo dovrebbe essere un mercato organizzato a
favore di una prosperità diffusa.
Il punto fondamentale è la creazione o meglio
ristabilire una serie di contrappesi, e che noi cittadini «riprendiamo ad usare
la nostra voce e le nostre energie e i
nostri voti per riconquistare il controllo economico e politico». In questo
l’autore auspica negli USA la nascita di un terzo polo, oltre ai
tradizionali partiti democratico e i repubblicani.
Complessivamente
un libro molto ben scritto e piacevole da leggere, anche se forse troppo concentrato sulla
realtà statunitense, comunque veramente interessante e con molti spunti di riflessione.
P.S Questo non è il primo libro che leggo in cui
si cerca di salvare il capitalismo, mi auguro che nei prossimi qualcuno voglia
salvare l’umanità piuttosto che il capitalismo, anche se mi rendo conto che al
momento non abbiamo alternative concrete al capitalismo in termini di organizzazione socio-economica
della società e che alcune alternative, come quella comunista, si sono rivelate ben peggiori.
sabato 9 gennaio 2016
Le idee dell'economia- L’ utilità marginale e teoria del consumatore: Hermann Gossen
Abbiamo visto, nei precedenti post, come per gli economisti classici l’utilità (valore
d’uso) di un bene venga considerata una sua caratteristica essenziale, la
loro indagine tuttavia si indirizzava sul valore
di scambio andando alla ricerca di un suo fondamento per cosi dire
“oggettivo”.
Il grande salto concettuale che caratterizza il pensiero dell’epoca successiva è quello di passare da un punto di vista “oggettivo” ad un punto di vista “soggettivo” (“soggettivismo metodologico” lo definisce Schumpeter).
Mentre nell’economia classica prevale il punto di vista
generale, l’analisi degli individui come insieme (classi sociali) e delle
dinamiche di sistema, nel periodo neoclassico la focalizzazione è sul singolo,
cosiddetto agente economico, in
particolare sul consumatore e sulla soddisfazione dei suoi bisogni.
La paternità di tale rivoluzione non è univoca, a questa
impostazione e al concetto che verrà in seguito definito come utilità marginale contribuiscono una
serie di autori, spesso in maniera indipendente, in più fasi con affinamenti
progressivi dei concetti. Su chi spetti
la palma del pioniere vi sono varie correnti di pensiero[1],
io farò la scelta di partire da Gossen.
Hermann Heinrich Gossen (1810-1858) fu un economista
prussiano, la cui opera rimase a lungo sconosciuta, solo dopo che i concetti di
utilità marginale erano stati elaborati in maniera indipendente e principalmente
da Jevons, Menger e Walras, vennero
riscoperti i suoi contributi e riconosciuto il loro valore.
Il contributo di Gossen, detta anche prima legge di Gossen,
afferma che se si consuma un unità ulteriore o supplementare di un bene (una
unità per cosi dire al “margine”), la
utilità che se ne ricava o soddisfazione aumenta ma in misura sempre minore, in
altri termini l’utilità dell’ultima dose consumata (marginale) di un bene è
decrescente[2].
Se proviamo infatti a fare una rappresentazione grafica per
rendere più chiaro il concetto, da una parte abbiamo che l’utilità totale (la
soddisfazione complessiva), ipotizzando che sia in qualche modo misurabile, è
crescente con il consumo del bene, ma la crescita di soddisfazione tende a
diminuire sino al punto di non crescere
più. D’altra parte, se invece consideriamo gli incrementi di utilità (utilità marginale), ovvero le
differenze di utilità/soddisfazione tra due punti vicini, questi risultano diminuire e quindi sono decrescenti
all’aumentare del consumo del bene.
Se qualcuno ha studiato
matematica alle superiori ricorda, probabilmente, che quando parliamo di
variazioni incrementali di una funzione in rapporto a una variabile stiamo
parlando del concetto di derivata e, quindi, l’uso della matematica incomincia a farsi sempre più largo e diventare più importante all’interno della economia.
Il problema è capire se tale utilità è effettivamente misurabile. Sul
tema le posizioni furono molteplici comunque, alla fine, prevalse il concetto che più che determinare un valore assoluto dell’utilità (cosiddetto concetto
di utilità
cardinale) sia più corretto parlarne
in termini relativi (concetto di utilità
ordinale).
Un esempio di utilizzo del concetto di utilità è quello dato da un paniere di due beni, dove
si cerca di trovare le combinazioni
delle quantità di ciascun bene che hanno pari utilità per un individuo, ad
esempio avere 2kg di pane e 1 litro di latte potrebbe essere equivalente in
termini di utilità a 1kg di pane e 3 litri di latte.
Se si uniscono questi
punti di pari utilità, dati dalla combinazione delle quantità di due beni che
hanno pari utilità per il consumatore, dove le quantità dei beni sono
rappresentate sugli assi cartesiani, si
arriva a costruire quelle
che vengono definite curve di
indifferenza[3].
Inoltre, un ulteriore concetto che dobbiamo a Gossen è quello
di bene economico, di cui una delle
caratteristiche principali, oltre all’utilità, è quella di scarsità.
Si sviluppa pertanto, in questo contesto, il concetto di “homo
oeconomicus”, in cui l’individuo è un agente razionale che cerca di
massimizzare la soddisfazione dei suoi bisogni.
[1]Come autori che hanno contribuito
per primi al concetto di utilità marginale possiamo citare: Daniel Bernoulli,
William Senior e Jules Dupuit e alcune
anticipazioni le troviamo anche in autori ancora precedenti.
[2] Banalizzando
molto, se siamo assetati il primo bicchiere d’acqua ci darà grande
soddisfazione (utilità), i successivi sempre meno fino a quando non ne
trarremmo più soddisfazione
[3]La paternità delle curve di
indifferenza la si deve ad Edgworth, su cui lavorò successivamente Pareto.
lunedì 4 gennaio 2016
Ha-Joon Chang - 23 cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo
Di questo autore abbiamo già parlato relativamente al suo precedente libro (Cattivi sammaritani), economista di origine coreana ma che vive e insegna a Cambridge.
Il titolo rivela chiaramente che il libro è una critica al capitalismo, non in se, ma soprattutto alla versione che ne da la corrente economica neo-liberista. In ognuno dei 23 capitoli cerca di dimostrare come alcuni assunti economici siano anche molto diversi da come ce li presenta la visione liberista. L'elenco è molto lungo ne citerò solo alcuni: il ruolo del libero mercato e dello Stato in economia, in particolare la efficienza del primo e le disfunzioni del secondo; che i ricchi siano sempre i più bravi e intraprendenti al contrario dei poveri (intesi anche come nazioni); che le aziende sono sempre più efficienti e che i manager sono molto ben pagati perché raggiungono dei buoni risultati. Le critiche sono ben argomentate e mettono in luce come, spesso, la realtà sia anche molto diversa da come viene dipinta e possa apparire. Complessivamente è un libro scritto molto bene e con grande chiarezza espositiva, che si legge quindi facilmente e con grande piacere.
Mark Buchanan - Previsioni
L'autore del libro che recensiamo oggi è un fisico e divulgatore scientifico, in questo suo ultimo libro si dedica alla economia. Il titolo prende spunto dalle previsioni meteorologiche, dove la scienza della meteorologia ha fatto enormi progressi nel riuscire a prevedere gli eventi atmosferici, pur essendo la dinamica degli elementi che caratterizzano l'evoluzione del tempo meteorologico estremamente complessi. L'autore si domanda perché anche l'economia non sia riuscita, nonostante la enorme mole di sforzi e di studi, ad arrivare ad una analoga capacità di previsione dei fenomeni economici? La risposta per Buchanan è che gli studi economici si sono diretti, soprattutto negli ultimi anni, nella direzione sbagliata. In primo luogo critica l'approccio basato sull'equilibrio, quando i sistemi economici sono, oltre ad essere estremamente complessi, anche molto dinamici. Inoltre, nei sistemi complessi composti da molte parti interagenti, le dinamiche possono non avere niente a che fare con la natura delle parti stesse e, in aggiunta, critica anche le ipotesi dei modelli economici basati su assunzioni troppo semplificate dei comportamenti individuali. Un ulteriore elemento di critica è relativo alla ipotesi dei mercati efficienti, a partire dalla sua definizione, ma in particolare perché il cosiddetto aumento di efficienza può condurre a situazioni decisamente molto instabili e potenzialmente catastrofiche. Nel libro l'autore cita molti studi ed elaborazioni a sostegno delle sue tesi e riporta, inoltre, molti casi di eventi finanziari non spiegabili dalle teorie economiche tradizionali.
Alla fine del libro conclude auspicando che la economia, invece di elaborare teorie economiche matematicamente molto complesse ma poco realistiche, prenda piuttosto spunto dalla atteggiamento più pragmatico della scienza come nel caso delle previsioni meteoreologiche.
Il libro è scritto in maniera divulgativa anche se non sempre di facile comprensione, comunque è ricco di argomentazioni ed esemplificazioni molto interessanti.
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