Oggi la recensione è su un libro non recente ma il cui autore è stato recentemente rivalutato e citato in merito alla ultima crisi. Qualche notazione biografica: Hyman Minsky, nasce a Chicago nel 1919, dove si laurea in
matematica. Successivamente ottiene il dottorato in economia, allievo anche di Schumpeter.
Insegnerà in varie università americane tra cui Harward e Berkley. Muore a New
York nel 1996.
Il suo libro Keynes e l’instabilità del capitalismo,
parte da una rilettura di Keynes che secondo Minsky
è stato in qualche modo travisato dalla
interpretazione neoclassica: «la sintesi neoclassica […] tradisce lo spirito e
la sostanza dell’opera di Keynes», mentre la sua intenzione è di dare una
reinterpretazione di Keynes focalizzandosi sulla instabilità finanziaria:
La mia reinterpretazione
di Keynes pone in primo piano il ruolo che le interrelazioni finanziarie, con
la loro instabilità e facile perturbabilità, svolgono nel determinare le varie
fasi del ciclo economico
Quindi Minsky si concentra sugli aspetti monetari e
finanziari, che sono i tratti essenziali di un economia capitalistica moderna,
affermando che Keynes era per lui un economista principalmente monetario. Il
carattere finanziario del capitalismo moderno è anche la ragione di fondo dell’
andamento ciclico di un economia capitalistica:
Nella teoria di Keynes
la causa immediata di ciascuna fase ciclica è l’instabilità degli investimenti
ma la causa di fondo del ciclo economico
[…] va individuata nella instabilità delle composizioni di portafoglio e delle
interrelazioni finanziarie.
Altro aspetto che mette in evidenza e recupera dall’analisi
keynesiana è quello dell’incertezza,
in quanto questa incide a sua volta profondamente sulle strutture finanziarie e,
inoltre, le stesse imprese non dipendono solo dalla attività produttiva ma sono
condizionate dall’andamento dei mercati finanziari in quanto richiedono
finanziamenti per i loro investimenti.
Un altro aspetto evidente in Minsky è la natura endogena
dell’offerta di moneta, infatti piuttosto
che dalla autorità monetarie essa è generata all’interno del sistema economico
e, in particolare, dalle banche in funzione delle necessità delle attività
imprenditoriali, dei mercati finanziari e dei percettori di reddito. All’aumentare
della richiesta di moneta si moltiplicano, quindi, anche le innovazioni
finanziarie e, qualora le banche centrali cerchino di adottare una politica
restrittiva ad esempio aumento dei tassi, il mondo finanziario supplisce con la
creazione di nuovi strumenti finanziari.
Per quanto riguarda gli investimenti, pur partendo dall’analisi
keynesiana, cerca di chiarire alcuni aspetti e integra l’analisi con alcune aggiunte significative,
mettendo comunque in evidenza che la
teoria degli investimenti di Keynes e il suo andamento ciclico sono in
relazione con alcune variabili determinate dai sistemi finanziari.
La
spiegazione di Minsky è molto più
complessa è articolata di Keynes e soprattutto della versione di Hicks
che, a suo parere, fa «una caricatura della teoria keynesiana degli
investimenti». In particolare mette in
luce le interrelazioni tra domanda dei
beni capitali, che a sua volta influisce sugli investimenti, non solo con l’interesse
e la offerta di moneta ma anche con il mercato azionario. Il livello degli
investimenti dipende dal prezzo di domanda e offerta di beni capitali, ma la
domanda di beni capitali dipende dalle aspettative dei profitti che gli
imprenditori si aspettano di guadagnare da essi e che, a sua volta, dipende dal
tasso di interesse con cui attualizzare tali rendite, tasso di interesse
influenzato dall’offerta di moneta. In particolare la enfasi di Minsky
è sui flussi di guadagni e pagamenti; le imprese basano le loro richieste di
finanziamento sulle aspettative dei loro rendimenti o guadagni, se queste
attese non vengono confermate rischiano di trovarsi in una situazione critica dal punto
della possibilità di far fronte ai pagamenti per i prestiti in essere, passando
da una posizione “coperta” a una
“speculativa”,
questo può comportare sia una riduzione degli investimenti sia la necessità di smobilitare attività che, a
sua volta, provoca una caduta dei prezzi
e dei corsi azionari e, inoltre, induce le banche a ridurre le loro posizioni e
quindi ridurre il credito, con una spirale evidentemente negativa sulla intera
economia.
La fluttuazione del livello degli investimenti va imputata
quindi principalmente alla instabilità delle relazioni finanziarie, considerando
i fenomeni di eccessivo indebitamento tra i principali fattori in grado di
scatenare una crisi finanziaria. L’instabilità finanziaria dei sistemi
capitalistici è, comunque, conseguenza di decisioni economiche decentrate:
banche, imprese. Un sistema capitalistico può quindi trasformare una fase di
boom in una depressione profonda, è pertanto un economia che procede secondo un
andamento ciclico che ne rappresenta un tratto ineliminabile.
Minsky evidenzia, inoltre, il ruolo del rischio e della sua
soggettività, che suddivide nei suoi due
aspetti: rischio del debitore e del creditore.
Quindi i cicli
economici positivi (crescita) sono caratterizzati sia dalle aspettative di profitti e sia dalla
riduzione del rischio percepito. Viceversa i cicli negativi sono caratterizzati
da aspettative sui profitti in calo e aumento del rischio percepito. L’instabilità
finanziaria deriva sostanzialmente, per Minsky, dalla pratica di finanziare
attività a lungo termine con la sottoscrizione di passività a breve scadenza. Quindi
un sistema economico è tanto più fragile quanto più sono diffuse le strutture
esposte ai rischi finanziari, in un sistema economicamente fragile anche
piccoli cambiamenti delle condizioni dei mercati finanziari possono provocare
una instabilità elevata:
In un economia
capitalistica un elemento essenziale della realtà è rappresentato dalla
interrelazione tra i vari stati patrimoniali delle unità economiche. I banchieri sono
inevitabilmente degli speculatori.
Minsky sottolinea, poi, che nel sistema economico, in
maggioranza, gli agenti economici condividono le stesse aspettative, per questo
l’euforia o il panico si diffondono rapidamente. Per cui le situazioni di
stabilità e crescita («la stabilità è destabilizzante») sono quelle che
rischiano, diffondendo l’ottimismo, di generare meccanismi di ricorso al debito
che, con il meccanismo che sopra abbiamo accennato, possono portare a delle
crisi, quando ad esempio si verifica un rialzo del tasso di interesse e un
razionamento del credito. A ciò segue infatti rapidamente una caduta degli
investimenti, dei profitti e della domanda, la gravità e durata della crisi
dipenderanno dal comportamento delle autorità economiche.
La crisi non è altro, quindi per Minsky, che il normale risultato del
funzionamento del sistema capitalistico, ovvero i rischi di crisi sono
soprattutto endogeni al sistema capitalistico
stesso e non solo quindi generati da shock esterni.
L’andamento del sistema economico dipende, come abbiamo
detto, principalmente, dalla capacità delle imprese di restituire i debiti contratti.
La Banca centrale ha quindi una funzione
importante di prevenzione del crollo tramite il suo ruolo di “prestatore di
ultima istanza”. Inoltre lo Stato, attraverso la spesa pubblica, può
prevenire o attenuare la depressione economica infatti, quando cade l’investimento privato, la
crescita della spesa pubblica può stabilizzare i profitti attesi arrestando la
discesa dei prezzi e la depressione economica.
Nella ultima parte del libro analizza i modi per contrastare
i cicli anche se l’economia capitalistica resta intrinsecamente instabile. In particolare
evidenza che una strategia volta a favorire gli investimenti privati, condotta
negli ’60, ha i suoi limiti: «una strategia per la piena occupazione fondata su
livelli elevati di investimenti e profitti conduce […] verso un sistema
finanziario sempre più instabile».
La sua ricetta economica e sociale è più complessa e
articolata:
Una economia dove i
settori guida sono socializzati, dove i consumi collettivi soddisfano una
grossa quota di bisogni privati, dove la tassazione dei redditi e della ricchezza
tende a ridurre le disparità economiche, dove esistono leggi che limitano la
possibilità di speculare sulla struttura delle passività, una tale economia
dicevo potrebbe dimostrarsi capace di raggiungere e mantenere uno stato di
piena (o quasi) occupazione senza con
ciò generare quelle tensioni e instabilità inerenti alla strategia economica
correntemente adottata.
I lavori di Minsky non ebbero all’interno dell’establishment economico una grande rilevanza e le sue
teorie rimasero confinate soprattutto
all’interno delle corrente post-keynesiana. La recente crisi, come accennato all'inzio, ha riaperto
il dibattito sul lavoro di Minsky, infatti molte delle sue idee che abbiamo esposto
sembrano descrivere molto bene la natura dello scoppio della recente crisi
economica, in particolare il generarsi di un clima che ha aumentato
l’assunzione di rischi e l’accrescersi della speculazione.
Nel caso della crisi attuale c’è da evidenziare, a
differenza di quanto sostenuto da Minsky, che questo è imputabile al fatto, come evidenziato da alcuni autori,
che
le istituzioni finanziarie hanno
alimentato il circolo perverso del finanziamento alle famiglie piuttosto che
alle imprese.
Quindi un libro assolutamente interessante anche se in alcune parti richiede un impegno notevole e un pò di conoscenza dell'economia.