Sull'articolo 18 mi sembra che si applichi il contrario di quello che dice il criterio di Pareto, che infatti afferma che si dovrebbe concentrare sul 20% di argomenti per risolvere l'80% dei problemi.
Parlare di articolo 18 significa, quindi, spendere energie su un falso problema. L'articolo 18, come sapete, di fatto è già stato ampiamente ridotto dal governo Monti e dal Ministro Fornero. Come afferma uno studio del 2006 di Oliver Blanchard, del FMI quindi non proprio marxista, non esistono comunque evidenze certe di correlazione tra aumenti di flessibilità del lavoro e aumenti della occupazione e infatti la disoccupazione in Italia dopo la riforma Fornero è aumentata. Inoltre da i dati OCSE. si rileva che il grado di flessibilità del lavoro in Italia è ormai, dopo tutte le riforme attuate, non meno flessibile della media paesi industrializzati. Quindi parlare di articolo 18 significa parlare del nulla, se poi andiamo a chiedere a 100 imprenditori in questo momento quali sono le priorità credo che quelli che metterebbero l'articolo 18 in prima fila sarebbero pochissimi, a riprova che la maggioranza degli imprenditori punta al sodo. Ciò non vuol dire che il Job Act non contenga anche cose utili, ad esempio il contratto a tutele progressive, c'è da capire, quando si sapranno i dettagli, come ad esempio questo contratto sarà incentivato rispetto alle attuali forme di precarietà che il governo Renzi ha addirittura aumentato.
Insomma sul modo del lavoro c'è molto da fare, e come dice Blanchrad nel suo studio dobbiamo passare dalla difesa del posto di lavoro alla difesa del lavoratore. Infatti non ci possiamo illudere che il mercato del lavoro sia quello di 50 anni fa, con la possibilità di avere il posto fisso a vita, questo, dato il ritmo di cambiamento tecnologico che modifica sempre più rapidamente le condizioni del mercato, non è più pensabile e quindi, ci vorrà più flessibilità. Tale flessibilità però non deve essere scaricata solo sul lavoratore, anche perchè, da che mondo e mondo, proprio il mercato ci dice che ciò che è più flessibile si paga di più. Allora perchè Renzi ha imboccato questa strada? Non credo che sia matto o stupido, probabilmente la motivazione è esclusivamente politica: attuare un ulteriore strappo con la vecchia guardia del PD e del sindacato e prendere ulteriori consensi al centro e a destra. Ma tornando ai temi veri, quelli economici, la strada è invece quella di ottenere una deroga sul limite del 3% del deficit, che ormai quasi tutti i paesi di fatto non rispettano. Questo ci può consentire un minimo di respiro in più ma, il problema di fondo è che, per uscire dalla crisi, ci vogliono politiche espansive della domanda aggregata che possono attuare principalmente i paesi che sino ad esso l'hanno risucchiata dagli altri (Germania), se vogliamo veramente costruire un progetto europeo. In parallelo l'Italia ha bisogno di uscire dalle secche dove l'ha portata una politica miope e di scarsa visione. In particolare ridefinire la spesa pubblica incentivando la ricerca e chi crea lavoro. Ribilanciare il welfare, meno spesa in pensioni ingiustificate, e più sussidi di disoccupazione per chi perde o non trova lavoro. Una burocrazia che favorisca l'impresa e non crei solo lacci e lacciuoli, compresa una vera riforma della giustizia civile come si deve. Rivedere la scuola, ma non con le solite riforme che cambiano tutto per non cambiare niente, bisogna ripensare alla formazione anche e sopratutto nell'ottica di favorire l'incontro con la domanda attuale, ma sopratutto prospettica, evitando spreco di risorse in direzioni poco utili (abbiamo bisogno di tutti questi avvocati?) e verso una formazione anche più tecnica (vedi esempio della Germania), va bene la cultura ma un po di sano realismo serve.
Parlare di articolo 18 significa, quindi, spendere energie su un falso problema. L'articolo 18, come sapete, di fatto è già stato ampiamente ridotto dal governo Monti e dal Ministro Fornero. Come afferma uno studio del 2006 di Oliver Blanchard, del FMI quindi non proprio marxista, non esistono comunque evidenze certe di correlazione tra aumenti di flessibilità del lavoro e aumenti della occupazione e infatti la disoccupazione in Italia dopo la riforma Fornero è aumentata. Inoltre da i dati OCSE. si rileva che il grado di flessibilità del lavoro in Italia è ormai, dopo tutte le riforme attuate, non meno flessibile della media paesi industrializzati. Quindi parlare di articolo 18 significa parlare del nulla, se poi andiamo a chiedere a 100 imprenditori in questo momento quali sono le priorità credo che quelli che metterebbero l'articolo 18 in prima fila sarebbero pochissimi, a riprova che la maggioranza degli imprenditori punta al sodo. Ciò non vuol dire che il Job Act non contenga anche cose utili, ad esempio il contratto a tutele progressive, c'è da capire, quando si sapranno i dettagli, come ad esempio questo contratto sarà incentivato rispetto alle attuali forme di precarietà che il governo Renzi ha addirittura aumentato.
Insomma sul modo del lavoro c'è molto da fare, e come dice Blanchrad nel suo studio dobbiamo passare dalla difesa del posto di lavoro alla difesa del lavoratore. Infatti non ci possiamo illudere che il mercato del lavoro sia quello di 50 anni fa, con la possibilità di avere il posto fisso a vita, questo, dato il ritmo di cambiamento tecnologico che modifica sempre più rapidamente le condizioni del mercato, non è più pensabile e quindi, ci vorrà più flessibilità. Tale flessibilità però non deve essere scaricata solo sul lavoratore, anche perchè, da che mondo e mondo, proprio il mercato ci dice che ciò che è più flessibile si paga di più. Allora perchè Renzi ha imboccato questa strada? Non credo che sia matto o stupido, probabilmente la motivazione è esclusivamente politica: attuare un ulteriore strappo con la vecchia guardia del PD e del sindacato e prendere ulteriori consensi al centro e a destra. Ma tornando ai temi veri, quelli economici, la strada è invece quella di ottenere una deroga sul limite del 3% del deficit, che ormai quasi tutti i paesi di fatto non rispettano. Questo ci può consentire un minimo di respiro in più ma, il problema di fondo è che, per uscire dalla crisi, ci vogliono politiche espansive della domanda aggregata che possono attuare principalmente i paesi che sino ad esso l'hanno risucchiata dagli altri (Germania), se vogliamo veramente costruire un progetto europeo. In parallelo l'Italia ha bisogno di uscire dalle secche dove l'ha portata una politica miope e di scarsa visione. In particolare ridefinire la spesa pubblica incentivando la ricerca e chi crea lavoro. Ribilanciare il welfare, meno spesa in pensioni ingiustificate, e più sussidi di disoccupazione per chi perde o non trova lavoro. Una burocrazia che favorisca l'impresa e non crei solo lacci e lacciuoli, compresa una vera riforma della giustizia civile come si deve. Rivedere la scuola, ma non con le solite riforme che cambiano tutto per non cambiare niente, bisogna ripensare alla formazione anche e sopratutto nell'ottica di favorire l'incontro con la domanda attuale, ma sopratutto prospettica, evitando spreco di risorse in direzioni poco utili (abbiamo bisogno di tutti questi avvocati?) e verso una formazione anche più tecnica (vedi esempio della Germania), va bene la cultura ma un po di sano realismo serve.
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