martedì 6 giugno 2023

Michele Salvati- Norberto Dilmore- Liberalismo inclusivo

 Gli autori del libro di oggi sono un professore di Economia Politica alla Statale di Milano (Salvati) mentre il secondo è uno prseudonimo. 

Il libro si propone di delineare una possibile strada, che gli autori definiscono liberalismo inclusivo (embedded liberalism), che superi il fallimento del neoliberismo e riavviare un nuovo patto che consenta di gestire la complessità del mondo moderno, riducendo le diseguaglianze, garantendo le libertà economiche e, sopratutto, aumentare il benessere dei cittadini.

Il libro, da una parte, delinea come il compromesso socialdemocratico, alla fine della seconda guerra mondiale, ha garantito nei paesi occidentali crescita e aumento del benessere per 30 anni ("i trenta gloriosi") ma si basava su condizioni specifiche che non sono più riproducibli, pertanto non va né mitizzato né riproposto nella stessa forma. D'altra parte l'ascesa del neoliberismo dagli anni '70, in sostituzione di politiche di stampo keynesiano (almeno in parte), ha portato inizialmente una crescita economica ma con un aumento disastroso delle diseguaglianze e, infine, ha certificato il suo fallimento con la crisi economica del 2008. Un intero capitolo è dedicato al libro di Piketty: Capitale e ideologia, che abbiamo recensito qui, gli autori più che criticare l'analisi di Piketty si concentrano sulle souzioni da lui proposte (socialismo partecipativo) che reputano un pò troppo radicali e in alcuni casi controproducenti.

Per quanto riguarda la loro proposta gli autori partono dalla analisi della situazione attuale, che si presenta mutata rispetto al primo dopoguerra, infatti il capitale è molto più fluido che in passato, meno fisico e più intangibile, più mobile e internazionale che radicato sul territorio nazionale. Il mondo del lavoro è molto più frammentato del passato, con la riduzione delle grandi aziende produttive mentre oggi siamo in un mondo di servizi e tecnologie avanzate con lavoratori piuttosto diversi e meno connessi tra loro, questo ha comportato la perdita di potere dei sindacati. Ma anche la politica è cambiata, non ci sono più i partiti "pesanti" e di massa, piu radicati sul territorio e in grado di costruire il consenso piuttosto che inseguirlo come attualmente, con un potere negoziale maggiore con gli interlocutori economici. Lo Stato, pur mantendo un elevato peso sulla economia, ha perso anch'esso la sua forza per i condizionamenti internazionali e della globalizzazione: politiche europee e potere delle multinazionali delocalizzate, con una forte riduzione della capacità redistributiva.

Le soluzioni che gli autori propongono per un nuovo patto per una crescita inclusiva e sostenibile, ammesso che vi  siano le condizioni  adatte che in parte con la crisi e la pandemia  si sono create, sono in sintesi:

  • una nuova politica macroeconomica, dove lo Stato, con  un ruolo meno diretto,  abbia comunque un ruolo di indirizzo e guida  in grado di imporre una adeguata politica fiscale grazie anche alla riduzione dei paradisi fiscali;
  • ripristinare le regole della concorrenza e la riduzione della instabilità finanziaria;
  • ridare autonomia alla politica anche tramite il finanziamento pubblico;
  • rafforzare i corpi intermedi: sindacati e associazioni industriali.
  • maggiore equità fiscale e inclusione.
In sintesi un libro ben documentato e ben scritto, che ripete alcune cose che su questo blog abbiamo ampiamente riportato, con delle proposte non del tutto nuove ma comunque nel complesso equilibrate.

Alcune considerazioni personali, purtroppo anche se alcune condizioni sono cambiate non sono ottimista al momento su possibili cambiamenti. La narrazione economica del neoliberismo fortunatamente ha perso molto appeal e molti economisti mainstream hanno ammesso che vanno rivalutati alcuni approcci economici del passato e che il mercato crea molti problemi se lasciato a se stesso, per cui da un punto di vista teorico la situazione attuale è piu favorevole al cambiamento. Anche le istituzioni europee con il piano Next Generation UE sembrano aver imboccato, seppur timidamente, un nuovo corso di politica economica anche se il patto di stabilità continua ad essere riproposto anche se modificato. Mancano comunque leadership politiche preparate che, facendo base su una nuova narrazione economica e sociale, siano in grado di indirizzare il cambiamento; tanto più che servono politiche trasnazionali (almeno europee) per poter tener testa al potere economico delle aziende globalizzate che fanno affari ed eludono le tasse.  Inoltre, la gran parte dei cittadini è delusa dalla politica non votando o votando per i partiti populisti; la cosa è anche giustificata perchè i partiti progressiti dei paesi occidentali si sono mostrati troppo proni alle politiche di austerità e alla globalizzazione dei mercati ingenerando, quindi, risentimento e rabbia in tutti quei ceti, e sono molti, che hanno perso la sicurezza del lavoro e hanno visto ridotto il loro potere di acquisto. Quindi, al momento, purtroppo non vedo le condizioni per un liberalismo inclusivo; il primo passo per noi europei sarebbe una profonda rifondazione istituzionale della Unione Europea che con la attuale situazione a 27 membri vedo difficile da realizzarsi. 



lunedì 22 maggio 2023

Jean Paul Fitoussi- La neolingua dell'economia- Ovvero come dire a un malato che è in buona salute

 Quello di oggi è l'ultimo libro dell'economista Jean Paul Fitoussi, scomparso un anno fa. Più che un libro è una intervista (a cura di Francesca Perantozzi) che copre un ampio spettro di argomenti, pertanto non è un libro sistematico e quindi difficile da sintetizzare, mi limiterò solo ad evidenziare alcuni temi e passaggi.

 Il tema del libro sono le regole, regole che limitano la libertà e che portano alla impotenza politica. Tra le regole di cui ci dobbiamo liberare ci sono le regole di linguaggio, per l'autore una "neolinguache da il titolo al libro; l'impoverimento della lingua, limitando la espessione e riducendo il linguaggio,  tende a limitare anche il pensiero (pensiero unico anche economico).

Una buona parte della intervista verte sulla Europa ed Eurozona e le sue regole. Purtroppo le regole adotatte e le politiche conseguenti sono state controproducenti. Le cosidette riforme strutturali sono in realtà delle riforme che riducono il benessere dei cittadini, mentre ci sarebbe bisogno di una riforma strutturale della Europa stessa. Le riforme finora attuate hanno finito per ridurre la protezione dei cittadini e del lavoro, riducendo gli spazi di manovra degli Stati, anche perchè una economia senza Stato è pura fantasia.  Aver pensato che il privato fosse sempre preferibile al pubblico, perchè più efficente, ha provocato la maggior parte delle crisi che abbiamo attraversato, e quando le politiche attutate non ottengono il risutato sperato bisogna decidersi a cambiarle. 

Le politiche economiche sono composte da diversi strumenti: politica della concorrenza, politica industriale, politica fiscale e la politica monetaria. Questi strumenti dovrebbero essere coordinati mentre in Europa sono indipendenti e non cooperano e non si parlano, e qualsiasi politica non coordinatata è destinata a essere una cattiva politica. Gli Stati nazionali hanno perso la sovranità monetaria, che contiene anche una parte di sovranità industriale. Il problema fondamentale è che l'Europa non è più una squadra, è un insieme di paesi che diffidano uno dell'altro. Le riforme fin qui adotatte hanno avuto per lo più un aspetto sacrificale, e far vivere le persone nella infelicità perchè si crede ai miraggi non dovrebbe essere considerata una politica.

Il nemico non sono i mercati, ma le ideologie dei mercati, i mercati non sono un entità che vive di vita propria hanno bisogno di essere inquadrati. La macroeconomia è un bene pubblico e lo è anche la stabilità, e nessuna azienda privata se ne può far carico al posto dello Stato. La precarietà, l'insicurezza economica non sono un incidente o una fatalità, sono il risultato di precise scelte politiche. L'aspetto amaramente  ironico in Europa è che le nazioni tendono a nazionalizzare i successi e nell'europizzare i fallimenti; mentre l'Europa europeizza i successi e nazionalizza i fallimenti. 

Dobbiamo cambiare le regole e archiviare la illusione tecnocratica secondo cui esiste una sola politica obbligata. Bisogna mettere al primo posto la piena occupazione mentre questa globalizzazione fondata sulla competività è una sciagura per il lavoratori. Anche se la integrazione richiede l'apertura, questa induce la volatilità che a sua volta aumenta la insicurezza che richiede la protezione, quindi la cosa più importante è che bisogna rispondere alla richiesta di protezione dei cittadini esposti alla insicurezza economica.

Il libro contiene molti spunti interessanti di cui ho solo evidenziato alcune riflessioni, per cui ne consiglio la lettura. Fitoussi si conferma un economista con una ampia visione, peccato averlo perso.  


giovedì 18 maggio 2023

Francesco Saraceno - La riconquista- Perche abbiamo perso l'Europa e come possiamo riprendercela

 Francesco Saraceno è professore di macroeconomia internazionale ed europea a Sciences PO e alla Luiss, questo è il suo ultimo libro, il precedente lo abbiamo recensito qui.

Il libro nella prima parte illustra la storia, le criticità e le debolezze insite nella creazione della Eurozona, inoltre pone in evidenza gli errori di governance europea sia nella creazione delle regole e sia nella gestione della crisi greca. 

Nella seconda parte cerca di delineare alcune soluzioni ai problemi nati dalla crezione dell'euro e alla disfunzionalità che l'euro e la regolamentazione hanno creato. Si parte dal fatto che il sogno federalista di Spinelli è al momento irrealizzabile e utopistico. Pertanto, quello che l'autore propone è un "federalismo surrogato" cioè la creazione di istituzioni e modalità per far funzionare meglio la Eurozona. Le proposte sono, la creazione di un sussidio di disoccupazione europeo, in aggiunta servirebbe un fondo di stabilizzazione europeo per sostenere le finanze pubbliche nei momenti di crisi. In particolare, sarebbe essenziale un Ministro delle Finanze della Eurozona dotato di un bilancio proprio che dovrebbe agire come linea di credito per i paesi in difficoltà e reagire alla fluttuazioni cicliche, il tutto grazie alla emissione di titoli europei. Un altra riforma urgente è una vera  unione bancaria con un meccanismo di assicurazione federale dei depositi. 

Inoltre vi è da migliorare la regolamentazione finanziaria, ad oggi c'è la ESMA che andrebbe rinforzata per evitare e ridurre la instabilità finanziaria. Bisogna anche rilanciare le politiche nazionali di bilancio con un aumento dell'investimento pubblico e riformare, pertanto, il pessimo Patto di Stabilità (ma al momento non si vede il cambiamento atteso vedi qui). 

Infine, quello che manca, è una politica industriale europea per promuovere tecnologia e innovazione investendo nei settori più promettenti. Per ultimo serve un armonizzazione fiscale e, soprattutto, porre fine alla concorrenza fiscale che è spesso all'interno dei confini europei (Lussemburgo, Irlanda, Malta, Olanda ecc.). 

Tutto cio è possibile? Fino ad ora è stata la Germania, e i suoi allaeati, a frenare le riforme, infatti la Germania si è avvantaggiata sia dalla introduzione dell'euro e anche dell'allargamento ad est della UE, avendo esportato ad est una parte della sua catena produttiva. Il Fondo per la ripresa varato dopo la pandemia Covid 19 è comunque un passo avanti verso una forma di mutualizzazione del debito e, quindi, un segnale positivo che fa sperare in un cambiamento di attteggiamento anche della Germania, che vede una situazione internazionale che si modifica erodedone le posizioni di vantaggio attuali.

Un libro ben scritto e ben informato ma chiaro e semplice nella descrizione dei problemi. Per chi legge queso blog, e ha letto qualcuno dei libri recensiti sul tema, il libro di Saraceno non contiene argomenti particolarmente innovativi, lo consiglio pertanto a chi è digiuno come sintesi particolarmente efficace. 

Per quanto riguarda il tema del libro, cioè i problemi dell'Eurozona e le sue soluzioni il discorso è complesso, sono d'accordo che il federalismo vero sia lontano e che alcune delle soluzioni proposte nel libro siano necessarie, sono meno convinto che il clima sia realmente cambiato. 

Per cambiare veramente passo e riformare le istituzioni europee la Unione a 27 è disfunzionale. Io credo che la unica soluzione sia che  alcuni dei paesi europei piu popolosi e importanti dal punto di vista del PIL (Germania, Francia, Italia e Spagna) dovrebbero decidere un impegno comune per proseguire verso un vero percorso che migliori l'attuale assetto, questo potrebbe portare, nel tempo, a qualcosa di piu vicino ad una federazione e comunque ad un assetto istituzionale e regolatorio più funzionale. Io questa volontà non la vedo, ho visto solo impegni bilaterali tra Germania e Francia che, a mio parere, non sono né sufficienti né utili. Certo il futuro è aperto e tutto può succedere, dipende dalle condizioni storiche e, soprattutto, dipende anche dalle individualità politiche di un certo rilievo e spessore che appunto mancano. Intanto, con la guerra tra Russia e Ucraina, la Europa è in difficoltà e continua a rimanere schiacciata nel confronto tra i due giganti: USA e Cina 

venerdì 5 maggio 2023

Ray Kurzweil- La singolarità è vicina

 Quello di oggi è un libro particolare, scritto da un personaggio particolare: Ray Kurzweil, ingegnere e inventore sopratutto nel campo musicale; il libro è una finestra su un futuro abbastanza prossimo in cui ci sarà un cambiamento epocale: "la singolarità"

Il tema del libro è chiaro, grazie allo sviluppo di soprattutto tre tecnologie, in un futuro non troppo lontano, l'uomo avrà la possibilità di potenziare enormemente le sue attuali potenzialità biologiche.

Le tre tecnologie in grado di cambiare il futuro della specie umana sono: la biologia, le nanotecnologie e la intelligenza artificiale.

Il libro, quindi, con grande dovizia di particolari, esempi e citazioni di studi, ci spiega quali sono le scoperte scientifiche e tecnologiche che consentiranno a queste tre tecnologie di progredire; secondo l'autore, infatti, la teconlogia è soggetta alla legge dei ritorni accelerati cioè la evoluzione delle tecnologie diventa esponenziale

Nel finale del libro, la parte piu interessante, a mio parere, risponde alle critiche e ai dubbi espressi da vari studiosi sia sulla effettiva possibilità di tali sviluppi e sia sui rischi insiti nello utilizzo di tali tecnologie che potrebbero alla fine ritorcersi contro di noi. 

Un libro interessante in teoria ma, in pratica, per lunga parte molto difficile da leggere data la mole di dati e studi che elenca che rendono, di fatto, il libro molto poco scorrevole e pesante.

Sinceramente penso che fare previsioni sul futuro sia veramente rischioso perchè, spesso, alcuni sviluppi sono sovrastimati mentre altre possibili innovazioni tecnologiche sono difficilmente prevedibili e a volte si manifestano all'improvviso senza segni premonitori (si pensi a Internet e al suo sviluppo che non si trova in nessun libro di fantscienza o futuristico di alcuni decenni fa). Infatti, alcune previsoni del libro, che risale a 15 anni fa, appaiono piuttosto ottimistiche viste ora. Il problema dei pericoli di tali sviluppi viene affrontato dall'autore ma la sua  risposta è piuttosto ottimistica, mentre la evoluzione tecnologica sta ponendo delle sfide enormi data la sua crescente capacità di modificare la realtà.

Queste problematiche le  abbiamo viste con i rischi che pongono le ricerche  biologiche, ad esempio la clonazione, le modifiche al DNA e, recentemente, anche  lo sviluppo della intelligenza artificiale. 

Io non sono così ottimista, lo sviluppo regolatorio e istituzionale non riesce al momento a mantenere il passo ai problemi che solleva  la velocità e l'impatto dello sviluppo tecnologico. L'impatto per esempio della intelligenza artificiale sul lavoro potrebbe essere devastante se governi e istituzioni non riescono a compensare i rischi di perdita di milioni di posti di lavoro. Inoltre, lo sviluppo ulteriore della intelligenza artificiale pone problemi ulteriori con scenari anche distopici alla Terminator che non sono del tutto campati in aria. Infine, il solco tra élite economiche e scientifiche e i cittadini comuni sta crescendo sempre di piu, con sempre maggiore diffidenza da parte di questi ultimi, basti pensare a cosa è successo durante la pandemia e agli attacchi dei no vax. Reazioni scomposte senz'altro, ma se non si cerca di ridurre la distanza tra élite scientifiche e cittadinanza i dubbi e perplessità non possono che aumentare. Infine,  anche il potere sempre crescente di élite economiche che possiedono le tecnologie avanzate pone problemi sociali che vanno affrontati e risolti per il bene complessivo della società. 

La evoluzione della tecnologia è un bene perchè consente di aumentare il benessere della società e la speranza di vita come abbiamo visto nel corso dell'ultimo secolo, ma la teconologia, che per se è neutra, può diventare pericolosa in funzione di chi la domina e quindi non può essere impunemente lasciata al mercato e alla iniziativa individuale quando i suoi risvolti sono potenzialmente molto pericolosi; per questo la grande sfida che abbiamo davanti non è solo tecnologica ma molto più complessa, cioè come far evolvere la società, le istituzioni e le regole al fine di sfuttare tali evoluzioni per il benessre della maggioranza dei cittadini (vedi sul tema il libro Power and Progress).

domenica 30 aprile 2023

Europa ancora non ci siamo

    La Commissione Europea ha elaborato una nuova proposta  delle nuove regole del "patto di stabilità". 

Rispetto al precedente patto il nuovo sistema è piu flessibile e da, ai paesi con rapporto debito/PIL eccessivo, la possibilità di modulare il piano avendo però l'obbligo di un percorso che riduca il suddetto rapporto in un certo numero di anni (4/7). Sicuramente è un passo avanti rispetto alle regole rigide, e direi masochistiche, del precedente patto, quello che resta sono i paletti del 3% del deficit e 60% del rapporto debito/PIL. Capisco che rivedere questi paletti sarebbe politicamente azzardato ma non capisco perchè non si prende atto che si tratta di parametri del tutto arbitrari, senza nessun fondamento scientifico, infatti questi valori sono stati presi in tempi passati basandosi, in particolare sul rapporto debito/Pil, sulla situazione media dei paesi di molti anni fa, mentre non esiste nessuno studio economico che definisca il 60% come valore ottimale. Inoltre, la crisi del 2008 e la pandemia del 2020 hanno comportato un notevole aumento del indebitamento degli stati del UE, pertanto la situazione è completamente cambiata e non solo l'Italia ha un rapporto debito/PIL maggiore del 100%. E' chiaro che da un punto di vista logico, proprio per affrontare periodi critici, sarebbe bene avere un rapporto debito/PIL più basso per avere maggiori margini di manovra ma fissare l'asticella al 60% è insensato e antistorico. Per ridurre il rapporto debito/PIL ci sono due metodi, uno è di ridurre le spese dello Stato per diminuire il numeratore e l'altro aumentare il denominatore (il PIL) con la crescita. Dato che aumentare il PIL diminuendo le spese dello Stato, la cosidetta austerità espansiva, è un metodo che rararmente funziona, anzi spesso produce effetti controproducenti vedi, ad esempio, quello che ha fatto il governo Monti, sarebbe meglio puntare sulla crescita, come si sta facendo con il PNRR. Quindi, ancora una volta la UE perde un occasione per impostare  gli obiettivi economici su un ottica di sviluppo coordinato tra tutti i paesi e persegue degli obiettivi che, in questo momento con la inflazione e la guerra in Ucraina, sembrano piuttosto velleitari. Certo il nostro paese e la  sua classe dirigente hanno dismostrato di non essere spesso alla altezza, lo vediamo con la incapacità conclamata di sfruttare a pieno e bene la occasione del PNRR, inoltre spesso le spese sono state male indirizzate (vedi ad es. i bonus) e sono anni che manca la capacità di fare adeguati investimenti, che per inciso andrebbero tolti dal debito nel calcolo del rapporto debito/PIL. Abbiamo problemi strutturali, un sistema bicamerale non funzionale, un livello di preparazione della pubblica amministrazione non alla altezza, con un personale che andrebbe ringiovanito e rinforzato, una classe politica con persone con una preparazione scarsa rispetto alla complessità del mondo attuale, e  i governi con i 5 stelle, ma anche quest'ultimo, dimostrano i grossi limiti dei ministri.

Purtroppo questo nuovo patto di stabilità, piuttosto miope, ci costringerà a fare risparmi che, unito alla incapacità di farli in maniera razionale e ragionevole (di sprechi ce ne sono tanti) ci costringerà ad una stagnazione economica che ormai stiamo sperimentando da due decenni. Non vedo all'orizzonte personaggi politici in grado di raddrizzare le sorti del nostro paese e la continua dimninuizione della partecipazione al voto e democratica, oltre a una informazione giornalistica e televisiva non all'altezza non fanno che predispormi ad un ulteriore pessimismo.

mercoledì 5 aprile 2023

Nouriel Roubini- La grande catastrofe- Dieci minacce per il nostro futuro

 Quello che presento oggi è l'ultimo libro dell'economista nato a Istambul ma naturalizzato statunitense. Dello stesso autore abbiamo già recensito un altro libro qui. Il libro verte, come da titolo, sulle minacce che incombono sul nostro futuro, pertanto è un libro piuttosto cupo e che non da molte speranze o soluzioni ottimistiche. Alcune minacce sono relative all'enorme debito sia pubblico e sia privato che si è accumulato nel mondo e che rischia di alimentare altre crisi, fallimenti pubblici e privati e cicli di boom e declino. Un altra minaccia è la trappola demografica, da una parte nei paesi avanzati le nascite non compensano l'invecchiamento della popolazione che, quindi, diventerà sempre più anziana con aggravamento dei costi sanitari e rendendo i sistemi pensionistici insostenibili. In alcuni paesi più poveri, invece, abbiamo una sovrapopolazione che spingerà sempre di piu la emigrazione come già stiamo assistendo. La incapacità della politica di gestire questi fenomeni sta già comportando gravi problemi, con le popolazioni dei paesi ricchi sempre più insofferenti e la pressione immigratoria sempre meno sostenibile. Inoltre, dopo la pandemia e la relativa depressione, in questo momento è in risalita la inflazione che, unita alla riduzione della crescita, porta alla stagflazione stirsciante. Resta inoltre incombente la possibilità di crisi finanziarie visto che le cause di queste crisi non sono state risolte (vedi ultimi fallimenti bancari). Un altro pericolo incombente è quello della deglobalizzazione, dopo un periodo di globalizzazione che ha portato alcuni vantaggi ad alcuni paesi e alcune classi la situazione sembra invertirsi, per lo scontento di quelli, nei paesi più ricchi, che hanno visto svanire i loro posti di lavoro a causa della competizione internazionale; inoltre anche la guerra in Ucraina e quella commerciale con la Cina stanno convincendo molti politici che è il caso di riportare a casa alcune produzioni ma, per l'autore, la deglobalizzazione si può rivelare una grande minaccia per l'economia globale. Un altra minaccia per i lavoratori, e non solo, è lo sviluppo della intelligenza artificiale che può sconvolgere gli equilibri lavorativi in quanto molti lavori potrebbero sparire definitivamente a causa della automazione sempre più spinta. Senza parlare dei rischi e problemi generali sulla IA sollevati recentemente anche da Elion Musk. Abbiamo poi all'orizzonte il profilarsi di una nuova guerra fredda tra USA e Cina per la supremazia mondiale economica e strategica. Una guerra fredda che, oltre a portare crisi economiche, può anche trasformarsi nel rischio di una vera guerra. Infine, abbiamo la minaccia più terribile e sicura, cioè quella generata dal riscaldamento globale che rischia di rendere inabitabili alcune zone del paese acuendo i problemi economici e di emigrazione, una crisi ambientale che in questo momento, nonostante i grandi meeting e accordi non sta riducendo, in maniera veramente efficace, l'innalzamento della temperature e della concentrazione di anidride carbonica. 

Uno scenario o serie di scenari abbastanza preoccupanti e catastrofici, non per niente Roubini si è guadagnato il titolo di Dottor Doom ovvero una specie di Cassandra. Nel finale prefigura uno scenario dispotico e poi uno moderatamente più favorevole, ma alla fine predomina il pessimismo. Nel complesso un libro interessante ma piuttosto dispersivo, molte citazioni e ricostruzioni storiche che alla fine rischiano di farti perdere il filo del discorso, per questo motivo non lo trovo un libro pienamente riuscito.

Alcune considerazioni personali, tutte le minacce sono reali e probabili. Certo se ne cito 10 alla fine è probabile che qualcuna di queste si avvererà. Penso che la sua preoccupazione sul debito pubblico sia esagerata alla fine l'ultima crisi è più dovuta al debito privato, i problemi sulla finanza invece sono sempre presenti. 

Una riflessione mi viene sulla sfida USA-Cina, io credo che da una parte l'Europa dove trovare un assetto più efficace altrimenti sarà schiacciata. D'altra parte anche agli USA converrebbe avere una Europa più forte per poter bilanciare sia la forza demografica e sia economica della Cina, ma mi pare che al momento gli USA vogliamo far giocare all'Europa  un ruolo subordinato piuttosto che paritario.

mercoledì 22 marzo 2023

Aldo Schiavone - Progresso

Ho appena finito di leggere il saggio breve dello storico italiano Aldo Schiavone sul progresso. Lo storico fa alcune riflessioni sul significato del progresso e, in particolare, si sofferma sul fatto che la fiducia nel progresso degli Illuministi e dei Positivisti poi si sia via via affievolito nel corso del XX secolo, anche in seguito alle due guerre mondiali e agli orrori del Nazismo.

Queste pagine mi spingono a riprendere alcune riflessioni già fatte in alcuni post di questo blog. In primo luogo la teoria economica distingue tra la crescita, ovvero l'aumento del PIL e il vero progresso che si intende una crescita complessiva della società in termini non solo di benessere materiale ma anche di vari altri aspetti culturali, sociali, di libertà individuali, ecc.

Ci sono società, ad esempio la Cina che hanno avuto, per fortuna, un enorme crescita economica che ha spinto fuori dalla povertà e miseria milioni di persone, questo è ovviamente un bene ma il progresso della società cinese in termini di libertà democratiche mi sembra molto ridotto rispetto alla crescita economica. La cosidetta "fine della storia" preconizzata da Fukuyama con la vittoria della democrazia ovunque non si è avverata e anche le democrazie più consolidate sono in crisi.

La tecnica e la tecnologia sono il motore del progresso come hanno affermato  Solow e Schumpeter, e tanti miglioramenti nella vita di milioni di persone sono dovute anche ad esse, vedi solo ad esempio il miglioramento nella diagnostica medica con tutti i nuovi mezzi, che permettono di anticipare la scoperta di malattie, fino a qualche decennio fa impensabili o, ad esempio, la chirurgia robotica e altro ancora. Stiamo molto meglio ora di solo qualche decennio fa, basti pensare solo agli antibiotici o come abbiamo reagito alla pandemia pur con tanti errori. Negare questo e aspirare ai bei tempi andati non è giusto e neanche razionale. 

Certo non va tutto per il meglio, come affermava Roegen abbiamo tutti i mezzi per poter far vivere la maggioranza e probabilmente la totalità della umanità in condizioni dignitose e senza miseria, ma questo non accade. I paesi ricchi rimangono ricchi e molti paesi, specie in Africa, e non solo, sono nella povertà. Inoltre, il miglioramento delle condizioni nelle società occidentali, che abbiamo visto nel dopoguerra, è rallentato e probabilmente ha anche invertito la rotta con diseguaglianze crescenti e inaccettabili.

Il problema è che insieme ad una crescita della tecnologia ci deve essere una crescita anche della società, e questo è compito della politica e della democrazia, ma il meccanismo si è inceppato. Ci sono varie ragioni, uno è la globalizzazione che ha ridotto i margini di manovra dei governi nazionali. Un altro motivo è la perdita di presa popolare dei movimenti socialisti e progressiti che si sono allineati troppo pedissequamente alle teorie pro mercato e pro globalizzazione nonostante gli avvertimenti di alcuni economisti (Stiglitz, Rodrik), portando alla disaffezione dei cittadini che non votano più o votano i partiti populisti che, almeno a parole, si rivolgono a loro.

Come ho più volte affermato manca una classe dirigente in grado di interpretare il cambiamento e dirigerlo verso il miglioramento complessivo della società. Servono uomini nuovi, fuori dagli schemi obsoleti delle ideologie ottocentesche e dalle teorie sbagliate del '900 (liberismo), che riprendano teorie troppo presto abbandonate (Keynes) o male interpretate; non mancano idee, economisti  e teorie, anche più recenti, che possono essere utili per interpetrare la complessità e indirizzare la politica (vedi il mio libro).

La tecnica e la tecnologia ci possono dare molti mezzi ma quello che serve è una politica che, oltre ad essere etica, abbia una visione del futuro, anche perchè il cambiamento climatico potrebbe peggiorare la situazione e cambiare, in peggio, per tutti, gli attuali equilibri. 

Le idee e le persone ci sono ma sono tenute fuori dalla politica, che è spesso appannaggio di personaggi egocentrici e senza preparazione (Trump è un plastico esempio), spero nei giovani che vedo troppo distanti dalla politica quando invece il nostro futuro è sempre nelle nostre mani cioè nelle mani dei cittadini.

sabato 11 marzo 2023

Zachary D. Carter- Il Prezzo della pace.

Quello di cui parliamo oggi è l’ultima biografia di John Maynard Keynes scritta da uno dei giornalisti economici e politici americani più famosi. Di Keynes abbiamo parlato molto in questo blog, in particolare qui , qui e qui; pertanto, non mi dilungherò troppo sulla teoria economica keynesiana.

Il libro abbraccia tutta la vita di Keynes che quindi comprende il primo '900, dalla prima guerra mondiale alla fine della seconda guerra mondiale. Nel corso della sua vita Keynes vede svanire il tipo di vita spensierata e bohemienne del suo periodo giovanile e, soprattutto, la fine dell impero britannico. Keynes era un genio come conferma lo stesso Bertrand Russel che afferma: " L'intelletto di Keynes era il più acuto e chiaro che io abbia mai conosciuto". Era, sopratutto nelle parole dell'autore: "L'ultimo degli intellettuali illuministi che perseguivano la teoria politica, l'economia e l'etica in un progetto unitario".

Il libro quindi ripercorre la vita privata e soprattutto pubblica di Keynes. Keynes non era inizialmente un economista i suoi studi erano indirizzati alla matematica e, infatti, il suo primo libro è il Trattato sulla probabilità. Inizia ben presto a diventare consigliere del governo inglese, prima in India e poi alla Conferenza di pace del 1919. Sarà questa esperienza e il suo caustico libro di memorie - Le conseguenze economichedella pace- a dargli la notorietà e anche una discreta fortuna economica che saprà ben gestire diventando piuttosto benestante. Nel corso della sua carriera le sue idee economiche si distaccano sempre più dalle teorie tradizionali. Inizialmente con i suoi libri sulla moneta, Saggio sulla riforma monetaria  e Trattato sulla moneta, in cui prende le distanze dal Gold Standard

Nella maturità pubblica il suo capolavoro: La Teoria generale della occupazione, dell'interesse e della moneta. In questo libro famoso, ma alquanto complesso e difficilmente intellegibile, esporrà le sue idee rivoluzionarie.  Il libro è pervaso dalla incertezza, le persone prendono le decisioni senza conoscere cosa avrebbe riservato il futuro. Stigmatizza che i sistemi finanziari hanno potentemente amplificato la capacità del denaro di trasformare la paura in sofferenza. I mercati non sono in grado di misurare con precisione il valore degli investimenti, quando gli investimenti dovrebbero avere l'obiettivo sociale di  sconfiggere le forze oscure del tempo e dell'ignoranza. 

E' la incertezza del futuro a rendere le folle soggette a calamità sia nella finanza sia nella politica. Arriva al punto di sminuire la importanza del lavoro in un economia monetaria, il lavoro è un trucco contabile per consentire il consumo. 

La Teoria generale implicava che i governi dovessero intervenire di volta in volta nelle operazioni di mercato per correggere ecccessi e squilibri. La crescita del capitale non era poi il risultato di un riparmio virtuoso da parte dei ricchi bensì un sottoprodotto della crescita del reddito delle masse. Anche le sue idee sul libero scambio erano mutate, il libero scambio rischiava di diventare una lotta a somma zero per la sopravvivenza delle nazioni. Infine, evidenzia che il problema non risiede nella scarsità e che la condizione e la organizzazione della società non erano esigenze inevitabili per risorse insufficienti, il problema non era quindi la scarsità ma la cattiva gestione.

In estrema sintesi la sua era una visione di una società che doveva entrare in un era di socialismo liberale che definiva: "Un sistema in cui possiamo agire come una comunità organizzata per scopi comuni e promuovere la giustizia sociale ed economica rispettando e proteggendo l'individuo: la sua libertà di scelta, la sua fede, la sua mente e la sua espressione, la sua impresa e la sua proprietà."

La domanda con cui l'autore chiude il libro, a cui non da risposta, è perchè  il patto keynesiano di pace, eguaglianza e prosperità, che dovrebbe essere irresistibile in una democrazia, fu effimero e fragile? Conclude comunque con una frase di speranza: " Nel lungo periodo siamo tutti morti. Ma nel lungo periodo quasi tutto è possibile".

In sintesi un libro molto ben documentato e scritto in maniera chiara, che abbraccia un periodo temporale che va dal inizio novecento sino ai giorni nostri e che merita, ampiamente,  di di essere letto.


domenica 12 febbraio 2023

J. Bradford De Long - Slouching Towards Utopia

Questo è l’ultimo libro di Bradford De Long, storico dell’economia, che insegna alla Università di Berkley. Si tratta di un libro storico economico che abbraccia quello che l’autore definisce il lungo XX secolo, che va dal 1870 al 2010. Perché parta dal 1870 è chiaro, perché a partire da quell’anno la crescita economica, sostanzialmente limitata al cosiddetto nord economico (Nord America, Europa, e poi anche Giappone), assume ritmi mai visti nei periodi precedenti. Questo aumento della crescita si deve ad alcuni fattori, in primo luogo la evoluzione tecnologica che diviene più organizzata con la nascita dei laboratori di ricerca pubblici e privati, lo sviluppo delle organizzazioni nelle industrie in grado di far crescere la produzione in modo organico e scientifico, e la globalizzazione dei mercati grazie alla diminuzione dei costi di trasporto. 
Grazie all’aumento della produzione e della produttività si riesce, almeno nel nord del mondo, a uscire dalla trappola malthusiana, cioè al fatto che l’aumento di produttività riesce a superare l’aumento della popolazione, che per Malthus era il problema che limitava le possibilità di benessere lasciando la maggioranza della popolazione nella indigenza e povertà.
La storia è fatta di idee, vedi ad esempio la citazione di Keynes nel frontespizio del mio blog, ma anche di personalità individuali che fanno la differenza. Da una parte abbiamo le idee pro mercato, in particolare Hayek, per cui è il mercato che riesce meglio di tutto a creare le condizioni per la crescita economica, che l’autore sintetizza nella affermazione: il mercato da, il mercato prende, benedetto sia il mercato. D’altra parte c’è il pensiero di Polanyi per cui il mercato tende a considerare principalmente i diritti di proprietà mentre le persone credono fermamente di avere altri diritti, questo crea tensione nella società che tende ad opporsi agli esiti del mercato lasciato a se stesso. C’è poi una via di mezzo tra queste due visioni che è quella di Keynes di cui abbiamo parlato molto in questo blog, il quale afferma che il mercato lasciato libero tende, sovente, a creare situazioni di crisi e depressione per cui necessita di un intervento dello Stato per evitare cadute di domanda e quindi disoccupazione. Abbiamo inoltre le idee nazionalistiche che sono quelle da cui è nata la I guerra mondiale. Le idee di Marx hanno anche segnato il XX secolo, in particolare la Rivoluzione Russa che, grazie a Lenin, nasce nel paese meno sviluppato industrialmente, al contrario di quanto preconizzato da Marx. La nascita del URSS ci regala la versione reale del socialismo che poi porta a Stalin, all’autoritarismo e ai suoi orrori. Come reazione si sviluppano in Europa i movimenti fascisti, in Italia, in Spagna e poi il nazismo in Germania con Hitler con lo scoppio della II guerra mondiale e ulteriori orrori, morte e distruzione. Negli Usa si sviluppa la Grande Depressione che porta disoccupazione e miseria ma crea le condizioni della presidenza di F.D Roosvelt che fa nascere  negli USA uno Stato più sociale e con legislazioni più vicine a quelle europee. Il secondo dopoguerra è caratterizzato da una parte con i paesi occidentali (e anche il Giappone) che, grazie al piano Marshall, si riprendono dalle macerie della guerra e si pongono le basi per una straordinaria crescita economica ma anche con riforme sociali e democratiche con diminuzione delle diseguaglianze, tanto che questi anni vengono chiamati i gloriosi trenta. Dall’altra parte della cortina di ferro la crescita economica sembra inizialmente tenere il passo con quella occidentale, ma con il tempo il divario di benessere e prosperità economica si fa sempre più grave fino alla implosione della URSS e di tutto il sistema di paesi dell’est. Sono comunque poche, in queste periodo, le economie che riescono a svilupparsi economicamente, in particolare le cosiddette tigri asiatiche (Corea del Sud, Singapore, Taiwan, Hong Kong) mentre rimangono indietro sia l’America Latina e soprattutto l’Africa. Con la crisi petrolifera degli anni ‘70 le idee keynesiane, che erano state dominanti nel dopoguerra, entrano in crisi non riuscendo a domare inflazione e recessione, nasce quindi la controrivoluzione Neoliberale con le idee di Friedman e Scuola di Chicago. Si apre una nuova fase di grande globalizzazione che porta alcune economie, prima relativamente depresse, a una decisa crescita economica, in particolare i paesi dell’est europeo e soprattutto la Cina, paese marxista che intraprende una trasformazione economica in senso capitalistico rimanendo sotto il controllo della establishment comunista. Inoltre, le ricette neo-liberiste che inizialmente sembrano funzionare, ci regalano con la derugulation delle attività finanziare una gravissima crisi economica nel 2008, la cosiddetta Grande Recessione. Inoltre, se a livello mondiale la crescita economica diminuisce le diseguaglianze di reddito tra i paesi, la globalizzazione porta alla delocalizzazione nei paesi occidentali di molte attività manifatturiere, si perdono molti posti di lavoro ben pagati e aumentano le diseguaglianze con i ricchi sempre più ricchi e la riduzione della classe media. Questo porta a malcontento e disaffezione per la politica incapace di dare una risposta ai problemi che la globalizzazione crea. In particolare sono i partiti progressisti a pagare di più, con politiche troppo prone al mercato e alle idee liberiste, infatti perdono consensi a favore di formazioni nuove, con la crescita dei “populismi” come ad esempio Trump negli USA o i movimenti politici variegati che vediamo nascere in Europa.
Alla fine del libro l’autore non offre soluzioni, il cammino verso la Utopia (cioè una società più ricca ma più giusta e democratica) è stato molto incerto con passi avanti e numerosi stop, il 2010 per l’autore rappresenta lo spartiacque verso qualcosa che non conosciamo.
Il libro è un bel libro, scritto molto bene, interessante e quindi vi consiglio caldamente di leggerlo.
A questo punto come ulteriore commento faccio alcune considerazioni generali visti gli ampi temi trattati dal libro. Come ho già scritto e ipotizzato qui la storia ci ha insegnato che una crescita equilibrata di una nazione si ha solo quando mercato, Stato e democrazia sono forti e si controbilanciano. Quando si afferma il mercato e le sue ideologie, aumenta la crescita economica ma aumentano anche le diseguaglianze. Inoltre, una crescita economica guidata dal mercato porta ad un uso indiscriminato delle risorse naturali senza tener conto dei limiti ambientali e fisici (Roegen), comporta anche spesso la distruzione di ecosistemi, inquinamento e, infine, come vediamo i cambiamenti climatici. La soluzione non è neanche uno Stato troppo forte, come abbiamo visto soprattutto nei paesi del socialismo reale, con una crescita economica asfittica, scarso benessere e in più al prezzo della perdita della libertà. Serve più democrazia ma non servono i populismi che cavalcano lo scontento con spesso proposte irrealistiche, servono cittadini più informati, più consapevoli della importanza del voto e della necessita del loro controllo sulle istituzioni democratiche. 
Certo non è facile riuscire a mantenere questo difficile equilibrio, le condizioni cambiano e le spinte, anche esterne, possono modificare situazioni stabili, come abbiamo visto anche nazioni progredite hanno avuto nel passato cadute in regimi totalitari. Contano anche le individualità, le élite economiche e intellettuali dovrebbero far emergere i loro migliori elementi e portarli ad assumere incarichi pubblici, a volte questo è successo in passato, forse meno nei periodi recenti. Sembra che la politica sia ultimamente appannaggio di persone poco preparate che tentano la carriera politica come unica scorciatoia per il successo senza aver svolto alcun attività pratica prima e senza neanche studi adeguati. Purtroppo il mondo contemporaneo è molto complesso e affrontarlo con politici che non hanno esperienza e neanche una preparazione culturale adeguata e molto pericoloso, e il populismo alimenta questa tendenza, anche se d’altra parte le forze economiche tendono a favorire invece persone, magari preparate, ma che sono espressione dei loro interessi particolari, mentre dovremmo avere al potere persone preparate ma animate dalla volontà di essere al servizio della comunità.

lunedì 16 gennaio 2023

Nuovo governo: benvenuti nella realtà

Con il varo della nuova manovra finanziaria del nuovo governo non sono mancate le polemiche. In particolare per quanto riguarda le accise sulla benzina, infatti  non è stato prorogato il taglio deciso dal precedente governo Draghi. Questo ha provocato un aumento della benzina che ovviamente non è piaciuto a molti. Dopo alcuni tentativi maldestri di addebitare l'aumento alle speculazioni, finalmente il premier ha chiarito che, dato che la coperta è corta, si è deciso di dedicare le risorse ad altro. Effettivamente la manovra sulle accise è regressiva, cioè favorisce i redditi più alti (i più spendenti) e quindi se si dedicano i soldi a favorire i redditi più bassi è un approccio socialmente corretto (anche se il taglio delle accise era nel programma!). Benvenuti nel mondo reale del governo, dopo per anni aver svolto il ruolo di opposizione con proposte del tutto scollegate dalle realtà, tipo quella fatta da Giorgia Meloni a inizio pandemia di dare 1000 euro a chiunque ne facesse richiesta! Diciamo che almeno questo è un passo avanti nella assunzione di un sano realismo nella gestione delle spese e del bilancio dello Stato. 

Detto questo non mi piace la manovra del nuovo governo, di cui 2/3 è frutto di continuazione di misure del precedente. Nella manovra non si vede nessun tentativo di una visione di lungo periodo, anzi ci si perde in aumento del limite al contante e riduzione del uso dei POS, e altre amenità di basso profilo.

Non c'è niente o poco per i giovani, si cerca invece di strizzare l'occhio alle fasce di età maggiori con facilitazioni al pensionamento, insomma le solite cose di una destra senza fantasia e senza ambizioni.