Michael Lind è professore alla Lyndon Johnson School of Public Affairs del Texas, analista politico economico che scrive su molte testate influenti. Il libro affronta da un punto di vista politico la situazione economico-sociale delle democrazie occidentali. Il problema principale delle nostre società è il potere, il potere sociale si esprime in tre ambiti: governo, l'economia, la cultura e in ciascuno di essi è sede di una lotta di classe.
La lotta di classe è iniziata con il processo di industrializzazione. Dopo la II guerra mondiale si è affermato nei paesi occidentali quello che l'autore definisce plurarismo democratico, grazie alla presenza di alcuni mediatori: i partiti politici di massa, i sindacati e associazioni varie (agricole e religiose). Dopo gli anni settanta questo sistema si è indebolito con la nascita di quello che l'autore definisce neoliberismo tecnocratico, grazie alle delocalizzazioni e arbitraggio globale del lavoro, portando alla riduzione del potere dei mediatori. Questa situazione sta provocando una controreazione in tutti i paesi occidentali con la nascita dei cosiddetti populismi.
La nuova divisione di classe può essere condiderata tra insider e outsider. Da una parte abbiamo una "superclasse" di manager e professionisti con istruzione universitaria, dall'altra è quella delle classi operaie locali. Abbiamo inoltre un mercato del lavoro diviso, cioè lavorotari con stipendi diversi anche a volte a parità di mansione, cioè due segmenti che sono in concorrenza (classe operaia di nativi vs immigrati). Vi è anche una divisione geografica tra chi vive nei quartieri costosi e chi vive nei quartieri perifierici e i sobborghi, che l'autore definisce rispettivamente hub e entroterra, divisione che riflette il divario sociale.
Segue una ricostruzione storica con la nascita del plurarismo democratico a partire dal New Deal (liberalismo dei gruppi di interesse) e poi nei paesi europei dopo la II guerra mondiale, grazie anche alla situazione internazionale della guerra fredda. In seguito, grazie alle idee neo liberiste, nasce la cosidetta rivolta delle èlite che con la globalizzazione permette alle aziende l'arbitraggio globale del lavoro portando all'indebolimento delle istituzioni che davano potere anche alla classe operaia, partiti politici di massa e sindacati.
Le due classi in realtà non sono compatte nello schieramento politico, da una parte la suprclasse ha una destra liberista e una sinistra con un liberismo moderato (es. Clinton e Blair), la classe operaia è divisa tra una sinistra piu tradizionale e una destra di populismo conservatore, entrambe le classi con forme di centro politco. Questo ha portato ha portato a un cambiamento nei partiti tradizionali in USA e Europa riflettendo la mutevole composizione di classe, abbiamo quindi una sinistra che rappresenta anche classi agiate e che vivono negli hub, e una destra che fa presa su molti operai che vivono nell'entroterra, basta vedere le ultime elezioni americane o anche quelle italiane. Abbiamo comunque due visioni estreme della politica tra un neoliberismo tecnocratico che vede un èlite di esperti al potere che in teoria dovrebbe garantire il benessere pubblico, e il populismo che vuole personaggi forti con un rapporto quasi mistico con le masse. L'autore comunque difende il populismo dalle demonizzazioni delle èlite tradizionali. L'ondata populista è una reazione difensiva piuttosto che semplicemente dovuta a macchinazioni dei russi o rigurgiti fascisti e autoritari (vedi ad es. idee di Polanyi sulle reazioni della società al mercato).
Varie sono le proposte fatte dalle èlite tecnocratiche per ridurre i problemi delle classi meno agiate, ad esempio il "redistribuzionismo" con crediti di imposta o reddito universale, o le teorie antimonopoliste, ma ciascuna proposta, oltre ad essere difficilemente sostenibile anche sul piano economico, non risolve il problema di fondo ovvero lo squilibrio di potere tra le classi.
Dato che il problema di sbilanciamento del potere nasce dall'indebolimento di certe forme di istutuzioni: partiti politici di massa, sindacati, ecc., vi è la necessita di nuove istituzioni associative che l'autore definisce "corporazioni" in ambito economico, "circoscrizioni" in ambito governativo e "congregazioni" in ambito culturale. Per esempio in ambito economico dovrebbe essere ricostituito il trialteralismo nella contrattazione tra manodpera e capitale. In ambito politico l'obiettivo è ricostruire un localismo permettendo alla gente comune di vivere la politica da partecipanti, e inoltre accrescere il potere della classe operaia con agenzie indipendenti, con partecipazione popolare, che compensino/controllino apparati burocratici centralizzati.
Rimane il problema della sovranità esterna cioè salvaguardare il pluralismo democratico dalle influenze della globalizzazione e degli organismi/accordi internazionali (vedi Rodrik). Questo vuol dire che gli Stati si dovrebbero impegnare anche per una globalizzazione selettiva, con ad esempio politiche selettive per la immigrazione nell'interesse della produttività nazionale e cercando di limitare il mercato del lavoro diviso.
Il libro è interessante nel fornire una visione politica e sociologica della situazione attuale dei paesi occidentali, anche se di fatto ricalca molte delle analisi che abbiamo visto in altri libri. La sua divisione delle classi è chiaramente una semplificazione di una realtà molto più complessa, i lavoratori professionisti e della conoscenza hanno sicuramente meno problemi delle classi operaie, ma i veri depositari del potere sono coloro che muovono le file delle grandi corporation industriali e finanziarie che si sono arricchiti grazie alla globalizzazione. D'altra parte anche le professioni piu elevate potranno essere a richio con lo sviluppo della Intelligenza Aritficiale. Indubbiamente il problema di fondo è la perdita di potere contrattuale di larga parte della popolazione che o non vota più o si rivolge al populismo, che non è la soluzione.
Certo bisogna creare qualcosa di nuovo per ristabilire il potere dei cittadini e rivedere la democrazia (vedi ad esempio qui) ma anche come indicato da Rajan con la suo terzo pilastro delle comunità locali. Al momento la situazione è piuttosto difficile con la vittoria del populismo ma anche con il rigurgito di destre estreme. Dato che le rivoluzioni non le fà il popolo serve un èlite che promuova il cambiamento. La sinistra democratica ha sbagliato quasi tutto negli ultimi 30 anni, perdendo il suo popolo; è stata infatti troppo acquiesciente a politiche economiche troppo pro-mercato, non avendo capito che la immigrazione era un tema da affrontare con maggiore attenzione, non avendo sottolineato che la globalizzazione creava grossi problemi. Serve, quindi in primo luogo, una profonda autocritica e presa di coscienza, servono poi persone nuove e preparate che sappiano indirizzare la politica nazionale verso una direzione che dia maggiore potere ai cittadini e gli dia speranza di un futuro migliore. Come abbiamo visto nei libri che ho recensito le analisi della situazione sono chiare e molti autori concordano sui problemi, forse le soluzioni sono più complicate ma le idee ci sono, speriamo che tra i giovani emergano nuove forze in grado di portare avanti questa battaglia, le alternative infatti sono piuttosto cupe.