giovedì 20 ottobre 2022

Yanis Varoufakis- Adulti nella stanza - La nave di Teseo -2017

 Yanis Varoufakis è un economista di nazionalità greca che ha insegnato a lungo nelle università americane. In questo libro racconta, con  dovizia di particolari, il periodo in cui è stato Ministro delle Finanze della Grecia nel 2015, fino a luglio. Eletto nelle file del partito Syriza, che vince le elezioni nel 2015, partecipa quindi  al primo governo preseduto da Alexis Tsipras, il suo principale mandato era di trattare con le istituzioni europee e FMI per rivedere i termini del debito greco generato dai due maxi salvataggi del 2010 e del 2012, di cui ben poco arrivò ai greci perché in buona parte servi a salvare i conti delle banche tedesche e francesi (che avevano allegramente prestato i soldi alla Grecia prima della crisi). 

Il libro è una moderna tragedia greca, i protagonisti sono, oltre a Varoufakis: il Primo Ministro Tsipras, il Ministro delle Finanze della Germania Wolfgang Schauble, il presidente del Eurogruppo, Joren Dijselbloem, il capo del FMI Christine Lagarde, il capo della BCE Mario Draghi, e tutto l'establishment europeo e internazionale. Impossibile fare una sintesi del libro, in cui si rivelano i retroscena degli incontri in sede europea e ai vertici delle istituzioni greche, tra tutti solo ad esempio cito uno degli episodi più evidenti della forza del' Eurogruppo e di Schauble e della debolezza della Commissione Europea. L'episodio è quello in cui Pierre Moascovici, commissario europeo agli affari economici, propone a Varoufakis una bozza di comunicato dell'Eurogruppo che accoglie alcuni emendamenti da lui proposti che ritiene possa essere senza dubbio approvato. Quando però si incontrano nell'ufficio di Joren Dijsselbloem, presidente dell'Eurogruppo e uomo di Wolfgang Schauble, questo lo umilia non prendendo minimamente in considerazione il documento del commissario.

La posizione sostenuta da Varoufakis con tenacia in tutte le riunioni e incontri è quella che il debito greco era insostenibile e quindi andava prevista una sua ristrutturazione e, inoltre, proponeva una serie di misure correttive a quelle previste dalla Troika (UE, FMI, BCE) che di fatto avevano già aggravato la situazione economica della Grecia portando alla miseria molte persone. Quella di Varoufakis era una posizione economicamente sensata e ragionevole cercando di venire incontro alle proposte della Troika evitando però le condizioni peggiori previste. Di fatto, nel corso del libro, Varoufakis racconta di aver avuto incoraggiamenti e approvazioni da parte di molti delle istituzioni europee e internazionali alle sue proposte ma senza ottenere alcun appoggio concreto nei fatti. La crisi greca e del suo salvataggio era, in realtà,  un problema politico piuttosto che economico, non si poteva cedere alle richieste della Grecia per evitare di creare un pericoloso precedente all'interno dalla UE, ciò rifletteva la posizione dura e intransigente (e vincente)  di Schauble disponibile nei fatti a dare solo due alternative alla Grecia: accettare le condizioni imposte o uscire dalla eurozona. L'epilogo della storia è noto, Tsipras propone ai greci un referendum per accettare o meno gli accordi che prevedevano ulteriore austerità e misure draconiane. Il referendum segna la vittoria dei no con oltre il 60% ma Varoufakis la sera stessa dei risultati da le sue dimissioni perché e' ormai chiaro che Tsipras, ormai  stanco, ha deciso di arrendersi e  accettare le condizioni imposte con una nuova maggioranza parlamentare. Come fa notare Adam Tooze nel libro Crashed, a sfavore della posizione di Varoufakis giocano due fatti, il primo sono le mosse di Draghi, che avevano difeso l'euro e rafforzato la BCE, che diminuiscono le paure del contagio di un eventuale uscita della Grecia dall'eurozona e quindi indeboliscono la posizione negoziale della Grecia, l'altro aspetto è che il Primo Ministro greco non mette mai in atto nessuna delle minacce che Varoufakis gli suggerisce in tutto il periodo di permanenza al Ministero delle Finanze.

Il libro è scritto dal punto  di vista  Varoufakis ma credo che sia abbastanza vicino alla realtà dei fatti. E' un libro molto interessante e istruttivo, anche se forse un poco troppo lungo; comunque leggendolo viene rabbia e sconcerto nel vedere come alla fine in Europa abbiano prevalso le posizioni più ottuse, infliggendo inutili e pesanti costi al popolo greco e dimostrando, se ancora ce ne fosse bisogno, come le istituzioni tecnocratiche europee prevalgano sulle opinioni popolari e sulla democrazia, poi certo non c'è da sorprendersi se nelle nazioni europee avanzino i partiti e le formazioni sovraniste.

venerdì 26 agosto 2022

Il meraviglioso mondo delle promesse elettorali

 Ci avviamo verso le elezioni che si preannunciano tra le peggiori degli ultimi anni, grande confusione, alleanze elettorali poco chiare e di convenienza, e soprattutto programmi elettorali infarciti, spesso, di promesse elettorali costose e spesso inutili se non controproducenti. 

Qui analizzeremo sinteticamente i programmi del Centro Destra e Lega, del Movimento 5 stelle, del PD e del terzo polo (Azione-Italia Viva), trattandosi di programmi piuttosto lunghi ed elaborati tratteremo principalmente alcuni argomenti: lavoro, fisco, riforme istituzionali e PA, politica industriale 

Centro Destra e Lega

In generale il programma del Centro destra (17 pagine) è piuttosto vago e non scende nei particolari. Sulle tasse parla genericamente della pressione fiscale e di pace fiscale, quest'ultima significa di fatto altri condoni e non cita la lotta alla evasione come sempre.  Relativamente alla flat tax parla di estensione a 100.000 euro di fatturato per partite IVA, in realtà sia Salvini e sia Berlusconi parlano di Flat Tax generalizzate che significa di fatto ridurre le risorse per lo Stato a vantaggio di pochi privando certamente i meno ricchi di servizi essenziali. Sul lavoro altro vago accenno è chi più assume meno paga che detto così non significa niente, misura molto difficile da concepire. Pensioni: innalzamento delle pensioni minime  anche qui generico mentre Berlusconi parlava di 1000 euro che sarebbe giusto  ma molto costoso soprattutto in un paese che spende già troppo per le pensioni rispetto a tutto il resto. Il programma della Lega parla giustamente anche di agricoltura che comunque rappresenta una parte molto marginale del PIL mentre parla genericamente delle PMI (quando il problema Italiano, vedi il mio libro, è che abbiamo imprese troppo piccole mentre le imprese devono avere una grandezza minima per essere efficienti). Come riforma istituzionale viene proposta la elezione diretta del Presidente della Repubblica che non risolve niente 

Riduzione del orario  di lavoro a parità di stipendio, misura  populista se non collegata ad una spinta all'aumento di produttività.

Istituzioni: sfiducia costruttiva e limiti alla decretazione di urgenza.

Politica Industriale: in particolare si concentra su agricoltura e turismo.

 Scuola e Università: aumento degli stipendi per insegnanti e fondi ricerca.


Programma del PD 

Programma di ben 37 pagine.


Politica industriale: piano Transizione 4.0 per investimenti green, piano nazionale risparmio energetico, messa in sicurezza infrastrutture. Previsto anche un grande piano di assunzione nella PA.

Tasse: franchigia di 1000 euro sui contributi Inps, abolizione IRAP

Lavoro: salario minimo, retribuzione stage curriculari, lotta al precariato (modello Spagna).

Riduzione orario a parità di salario (come 5 stelle) ma legati ad aumenti di produttività.

Revisione del reddito di cittadinanza.

Scuola e Università: allineare stipendi alla media europea (ma la qualità dell'insegnamento?), potenziare edilizia universitaria, nuovi docenti universitari.

Nel programma troviamo anche un generico maggiore flessibilità per le pensioni. Vi è anche un cenno sulla digitalizzazione della giustizia e adeguare la organizzazione (giusto ma perché si è fatto poco fino ad adesso?)

Un programma che contiene molte cose ma infarcito di piani e fondi con poche iniziative dettagliate.


Programma di Azione e Italia Viva 

Programma  molto lungo (68 pagine) e dettagliato per cui evidenzieremo solo alcune cose.

Politica industriale: zero tasse per giovani imprenditori, facilitare la crescita dimensionale delle imprese, rafforzare industria 4,0. Sostenere la nascita di aziende innovative e transizione digitale. Piano dettagliato per agricoltura e trasporti.

C'è un piano dettagliato su energia e  ambiente su breve, medio e lungo periodo per ridurre dipendenza gas e aumentare rinnovabili con inclusione del nucleare (di cui parla anche la Lega).

Lavoro: salario minimo, detassare premi di produttività, combattere la precarietà (aumento vigilanza), regolare i tirocini curriculari, riforma del reddito di cittadinanza.

Fisco: semplificazione Irpef, riduzione tassazione per giovani sino a 30 anni, abolizione Irap, Iva solo due aliquote, lotta alla evasione.

Istituzioni e PA: miglioramento giustizia con rafforzamento organico e del processo telematico, informatizzazione uffici. Efficientare PA 

Piano dettagliato per la sanità.

Superamento bicameralismo (finalmente!). Elezione diretta del Presidente del Consiglio ( misura populistica e inutile).

Scuola e Università: obbligo fino a 18 anni, potenziamento ITS, riqualificare edifici scolastici, reclutamento docenti universitari e rete per la ricerca.

Il programma è molto completo ed  impossibile citare tutto, tra tutti i programmi è quello organizzato meglio e con maggiori dettagli sulle misure.

I programmi, in generale,  contengono cose che sono anche giuste ma in genere poco dettagliate, le cose giuste vengono regolarmente dimenticate nel corso della legislatura. Ci sono alcuni punti comuni tra i programmi per cui non si capisce perché non si fanno (vedi ad es salario minimo).

Alcune considerazioni generali di cose che in questo blog e nei miei libri  ho già detto più volte. Un paese per crescere ha bisogno di alcune cose fondamentali.

Stare al passo con la evoluzione tecnologica, infatti è la tecnologia che traina la crescita, quindi bisognerebbe favorire (rendere quasi gratuite) le lauree STEM (matematica, fisica ecc.) visto cha abbiamo carenza di laureati soprattutto nelle materie scientifiche e bisogna aumentare il numero di laureati. Giusto anche potenziare gli ITS che in Germania producono 1 milione di tecnici. Favorire la ricerca di base e quella applicata aumentando le collaborazioni pubblico privato come succede in altri paesi (ad es. nascita di start up). Gestire la  evoluzione tecnologica con la formazione continua nel pubblico e nel privato e aiutare lavoratori che saranno svantaggiati  dalla evoluzione tecnologica.

Miglioramento burocrazia, piuttosto che ridurre lo Stato bisogna rafforzarlo laddove serve. Bisogna migliorare la macchina burocratica ma non con le solite manovre facili, tagli lineari o aumenti del personale, ci vuole un piano organico di riforma della organizzazione, per questo servono anni e impegno e ci vorrebbe anche la partecipazione di un sindacato  più attento alla evoluzione che al mantenimento dello status quo.

Migliorare le istituzioni e la democrazia, le istituzioni devono essere allineate alle modifiche della società, sia in termini di diritti e sia nella organizzazione delle istituzioni. Piuttosto che ridurre i parlamentari è necessario superare il bicameralismo perfetto abolendo il senato o specializzando le camere per funzioni. Bisogna far crescere il livello di partecipazione e preparazione dei cittadini, a questo servirebbe una RAI che faccia più cultura e scimmiotti meno la pessima programmazione privata, bisogna anche favorire il giornalismo indipendente e autonomo mentre adesso è troppo schiavo dei privati o dei poteri pubblici.

Infine dovremmo favorire il senso di comunità, l'aumento delle diseguaglianze negli ultimi anni è stato enorme aumentando il disagio sociale, le classi dirigenti e più abbienti dovrebbero porsi il problema di come ridistribuire la ricchezza altrimenti avremo solo un decadimento economico e sociale della nostra società, la partecipazione alla crescita e un aumento delle possibilità per tutti i cittadini è garanzia di una società più ricca e stabile.



venerdì 5 agosto 2022

Carlo Calenda -La libertà che non libera - La nave di Teseo


Carlo Calenda è stato Ministro ed è un uomo politico che ha anche fondato un suo partito: Azione. Questo è il suo terzo libro e qui ne abbiamo recensito uno.
Questo è un libro politico in un senso particolare, infatti parla essenzialmente di valori ed etica (ethos).
Il libro inizia con la affermazione che la fragilità etica dell'Occidente è dovuta a una confusione tra desideri e diritti. Non è possibile, per l'autore, creare una società senza identità e coesione sociale. L'esistenza di un ordine morale è fondamentale affinché una società libera non perda il collante sociale.
Calenda si scaglia conto la "cancel colture", la mancata considerazione dei fenomeni storici conduce le le leadership politiche alla incapacità di comprendere la portata degli eventi che si trovano ad affrontare. Una comunità è fondata piuttosto sulla trasmissione delle idee, della storia e della cultura di un popolo, inoltre è fondata sui diritti ma anche gli obblighi.
Un errore, per l'autore, dei governi occidentali è stato di subordinare l'etica alla efficienza economica, che ha determinato la subordinazione del potere pubblico al potere economico dei privati, abbiamo ridotto la idea di società liberale al liberalismo economico.
La democrazia liberale dovrebbe essere un sistema politico basato sulla combinazione dei diritti individuali con la sovranità del popolo. Le democrazie liberali hanno fallito nel riconoscimento della dignità, una sfera più potente e profonda della efficienza economica (ambito razionale).
I cambiamenti innescati dal progresso e dalla economia di mercato destrutturano l'ordine sociale e morale che regola una comunità (vedi qui). Mentre i diritti individuali progredivano, i vincoli etici collettivi che ordinano lo spazio comune, culturale e  politico   si indebolivano.
L'autore afferma che dobbiamo ricostruire un ethos capace di riportare nella maggioranza dei cittadini la convinzione di vivere in un sistema giusto, che ricrei la loro dignità e ordini lo spazio comune fondandolo su doveri e obblighi morali.
Viviamo in una società dove comunichiamo più di prima ma ci sentiamo più soli. La solitudine è il frutto del passaggio da una società fondata sull'individualismo a una fondata sul "singolarismo", singolarismo che emerge quando subentra la volontà di sfruttare ogni recesso del mondo a fini personali senza porsi alcun limite alcuno. Stiamo assistendo al passaggio da una società dei bisogni a una società dei desideri.
Viviamo, inoltre, la dannazione dell'uomo prospero ma vuoto di senso e vitalità, la vita viene spogliata di qualsiasi narrazione capace di generare senso. Più aumenta la capacità del progresso di forzare i limiti dell'ordine naturale più toccherà a noi stabilire i limiti di ordine naturale.
Per l'autore la felicità pubblica, la partecipazione alla vita politica di una comunità, ha un valore superiore a quella racchiusa dal desiderio individuale. Purtroppo prevale la convinzione dei politici e dei cittadini che poco o nulla ci sia da fare per gestire il progresso e il mercato. La politica è dunque debole e non vale la pena di parteciparvi. Il problema dunque è l'assenza di etica pubblica, la consapevolezza di dover svolgere un compito appropriato rispetto al ruolo che si ricopre. La crisi italiana non è economica ma etica, culturale e sociale. Dobbiamo impegnarci a far tornare l'impegno politico nella quotidianità delle persone, riportare al centro del discorso politico ciò che è giusto che non corrisponde a ciò che economicamente efficiente. Lo sviluppo del benessere materiale non può rappresentare il novanta per cento dell'agenda politica. Va riscoperto l'idealismo inteso come consapevolezza di poter incidere sul corso della storia ricercando la felicità collettiva oltre che quella individuale, la libertà di una comunità si difende talvolta rinunciando all'esercizio dei diritti individuali. Le idee sono importanti e diventano politicamente efficaci se sono sistemate all'interno di un pensiero coerente e radicato nella storia. Esser cittadini italiani non è scontato né gratuito, l'appartenenza ad una comunità comporta doveri ed obblighi.
Come si vede un libro singolare per un politico, dove si parla di etica, morale, doveri e obblighi, mentre normalmente i nostri politici sono dediti alla attualità spicciola, più preoccupati dei sondaggi e di compiacere agli elettori che ad affrontare temi ad ampio respiro.
Devo dire che sul molti temi e considerazioni sono d'accordo, ma devo anche dire che nel libro manca la parte del "come",  ad esempio come aumentare la partecipazione dei cittadini. Un libro comunque interessante pieno anche di citazioni autorevoli e di cui consiglio la lettura, ma che rimane, come detto, un poco incompiuto nella parte delle azioni pratiche da intraprendere.

 


mercoledì 3 agosto 2022

John Quiggin - Zombie Economics- Università Bocconi Editore

Pur non essendo un libro recentissimo, 2010, è un libro valido e interessante per cui vale la pena recensirlo.

Il libro è fondamentalmente una critica alle idee della teoria economica recente, idee assurte alla notorietà ma con scarsi fondamenti e risultati pratici, tanto da non potersi più considerare idee valide, idee di fatto morte ma non del tutto, zombie appunto, perché qualcuno cerca ancora di riproporle o ristabilirne la validità.
Le idee che nel corso del libro l'autore critica sono:
  • la grande moderazione, ovvero che si fosse raggiunto un periodo di stabilità economica;
  • la ipotesi dei mercati efficienti, cioè che i prezzi generati dai mercati finanziari fossero la migliore stima del valore di un investimento;
  • l'equilibrio generale dinamico stocastico (DSGE), la idea che la macroeconomia possa essere rigorosamente individuata da modelli microeconomici basati sul comportamento individuale;
  • la idea del “gocciolamento” (trickle-down), cioè che le politiche che favoriscono i ricchi finiscono per favorire tutti;
  • le privatizzazioni, ovvero che i privati possano fare generalmente meglio dello Sato in qualsiasi settore.

La grande moderazione nasce a fine anni '90, quando il boom economico produce inizialmente un periodo di crescita dei redditi dopo un periodo di stagnazione. La espressione viene coniata da Bernanke (ex capo della FED) per definire una nuova era di grande stabilità, ai più sembrava che il ciclo economico fosse stato domato. Per gli economisti liberisti la giustificazione risiedeva nel fatto che le idee del liberismo economico avevano prodotto una prolungata prosperità. In realtà, al di sotto di un apparente stabilità, giacevano equilibri insostenibili e rischi non gestiti, al contrario di quello che pensavano gli economisti mainstream per cui i mercati finanziari erano in grado di gestire i rischi grazie anche alle politiche delle banche centrali; i rischi infatti sarebbero stati gestiti meglio dagli individui e imprese piuttosto che dai governi. D'altra parte gli economisti keynesiani e non allineati (es. Minsky) ritenevano che senza una adeguata regolazione l'instabilità finanziaria sarebbe prima o poi esplosa. Secondo l'autore, sebbene gli aggregati finanziari sembravano più stabili, individui e famiglie sperimentavano rischi e instabilità crescenti. A causa di ciò le famiglie, per mantenere i livelli dei consumi a fronte di redditi sempre meno sicuri, hanno risposto indebitandosi, quando la crisi è arrivata sono arrivate le difficolta a ripagare i debiti (mutui) con la successiva esplosione della crisi economica che ha colpito tutte le attività e i paesi.
La gestione del rischio, per Quiggin, non può rimanere solo individuale ma riguarda la gestione sociale e collettiva dei rischi. Inoltre i cicli economici sono profondamente radicati nella economia di mercato e, purtroppo, certe teorie ci hanno spinto a dimenticare le lezioni del passato.
La ipotesi alla base alla idea dei mercati efficienti è che il prezzo di un attività sul mercato finanziario non solo rappresenta la stima migliore del suo valore ma anche la migliore possibile date le informazioni disponibili. I prezzi generati dalle borse, pertanto, sono la stima migliore del “giusto prezzo”. Corollario di queste idee è che non possono esserci “bolle” nei prezzi della attività finanziarie, queste idee hanno pertanto spinto la enorme crescita del mercato finanziario.
Anche se la ipotesi dei mercati efficienti presenta molte manchevolezze teoriche e soprattutto pratiche, è stata la crisi del 2008 a determinarne la morte definitiva. I mercati finanziari, asserisce l'autore, possono infatti generare bolle che la politica economica dovrebbe evitare ricorrendo a più strumenti: politiche macroeconomiche e regolamentazione. Le innovazioni finanziarie andrebbero trattate con cautela e andrebbero proibiti intrecci tra sistemi finanziari protetti e non protetti.
Una economia mista è indubbiamente migliore della pianificazione centralizzata o del totale laissez -faire, la grande difficoltà, ammette Quiggin, è determinare il giusto mix tra pubblico e privato.

La teoria dell' equilibrio generale stocastico dinamico (DSGE) parte dalle teorie dell'equilibrio generale di Arrow e Debreu che a sua volta rappresentano un evoluzione di quelle di Walras (vedi anche qui e vedi capitolo dedicato all'equilibrio sul mio libro).
I modelli di equilibrio generale prevedono mercati completi e perfettamente concorrenziali, escludendo di fatto recessioni e fenomeni reali di ciclo.
Per evitare questi problemi i modelli DSGE accettano che salari e prezzi possano essere lenti ad aggiustarsi e che vi siano squilibri fra domanda e offerta, pertanto i modelli DSGE prevedono la possibilità di disoccupazione e bolle, non prevedono però la possibilità di un collasso generale. I modelli DSGE prevedono una gestione macroeconomica basata sul controllo dei tassi di interesse (Regola di Taylor), di fatto non sono stati in grado di prevedere la crisi rivelandosi inutili ancorché molto sofisticati. 
Per costruire una teoria generale macroeconomica l'autore afferma che essa deve includere boom e depressioni, che non possono essere trattati solo come deviazioni marginali e temporanee dell' equilibrio generale. 
La economia è inserita in una complessa struttura sociale e c'è una interazione continua tra sistema economico e la società. La fiducia sociale e la confidenza negli affari non possono essere ridotti alla psicologia individuale (micro-fondazioni economiche), derivano invece da interazioni economiche e sociali fra le persone. La validità generale dell'approccio keynesiano risiede nel fatto che il comportamento macroeconomico è una proprietà “emergente” del sistema economico (vedi anche qui) piuttosto che da spiegazioni microeconomiche. Quiggin comunque avverte che le prescrizioni di politica macroeconomica vanno impiegate in maniera coerente durante tutto il ciclo sia per ridurre la domanda in eccesso nei periodi di boom e sia per stimolare la domanda durante le recessioni.

L'economia del gocciolamento è forse la idea più semplice ma anche quella con meno basi teoriche. La si può derivare dalla cosiddetta curva di Laffer, cioè che all'aumentare della tassazione sui redditi si ha una punto in cui vi è convenienza a non lavorare e produrre, con riduzione del reddito complessivo e quindi anche delle entrate fiscali. Da qui la idea che riducendo le tasse si creerebbe più crescita che, a cascata, favorirebbe anche i meno abbienti (gocciolamento). In realtà, anche se la riduzione delle tasse può produrre più risparmi e investimenti, il risultato è un aumento straordinario delle diseguaglianze, per cui i ricchi stanno ancora meglio mentre i meno abbienti no. Tutto ciò è riscontrabile nelle statistiche economiche dei paesi più avanzati, USA in testa. Anche se abbiamo avuto più disponibilità di beni sottocosto, per effetto della globalizzazione, ciò è stato più che compensato da una crescita della diseguaglianza soprattutto nei servizi cruciali (istruzione, sanità, ecc.).
La crescita della diseguaglianza ha anche eroso molto della possibilità di uguaglianza delle opportunità, e una società più egualitaria, secondo moltissimi studi, funziona meglio.

La idea sottostante le privatizzazioni è che il privato è più efficiente dello Stato nella gestione e allocazione degli investimenti, idee iniziate da Friedman e dalla teoria della Public Choice. Inoltre, questa idea rappresenta un indubbio vantaggio  per il sistema finanziario. mentre per i governi ha  rappresentato un modo per risolvere i problemi di finanza pubblica. L'idea delle privatizzazioni si sviluppa sotto la Thatcher nel Regno Unito per diffondersi a macchia d'olio. I risultati non sono stati confortanti, basti vedere, ad esempio, la privatizzazione delle ferrovie britanniche o da noi la privatizzazione delle telecomunicazioni e delle autostrade per capire che non sono state sempre un successo. Le privatizzazioni possono funzionare  se non si tratta soprattutto di monopoli naturali e in generale se il ricavato dal governo eccede il valore del flusso dei ricavi futuri, cosa che normalmente viene sottostimata a priori con in genere maggiori vantaggi per i privati che non per lo Stato. 
Nelle conclusioni al libro l'autore ribadisce le sue posizioni: i cicli economici non possono esser domati e non bisogna, per  tracotanza, ignorare le lezioni del passato. Lo Stato, con il suo welfare, ha un ruolo cruciale nella gestione del rischio e aiuta alla stabilizzazione dell'economia, il rischio lasciato agli individui porta alla diseguaglianza. 
In sintesi le sue raccomandazioni, per una futura e migliore teoria economica, sono:
  •  più realismo e meno rigidità;
  • maggiore focus sulla diseguaglianza e meno sulla efficienza;
  • più umiltà e meno tracotanza.
Il libro è molto approfondito e molto interessante. Su ogni argomento traccia la storia delle idee dalla nascita alle sue confutazioni e ai suoi fallimenti con grande dovizia di informazioni. Richiede comunque, per essere ben compreso, di una preparazione di base (che può darvi il mio libro). Nella edizione italiana ci sono per ogni capitolo dei capitoli di spiegazione degli economisti Barucci e Messori. Tali interventi sono finalizzati ad approfondire i temi ma contengono comunque le idee dei due economisti italiani, per quanto utili trovo che l'aggiunta dei capitoli appesantisca la lettura del libro piuttosto che facilitarla.

giovedì 21 aprile 2022

La scomparsa di Jean Paul Fitoussi

 Mi ha molto colpito la recente improvvisa scomparsa dell'economista francese Jean Paul Fitoussi. Conoscevo questo economista e infatti è suo uno dei primi libri che ho recensito in questo blog: Il teorema del lampione

Fitoussi non era un economista mainstream, anzi era profondamente contrariato dalla direzione che aveva preso la economia; come dice nel suo libro se gli obiettivi che ci poniamo sono sbagliati non potremmo risolvere i veri problemi che affliggono le persone, è inutile illuminare con il lampione laddove non c'è niente (di utile). Si lamentava piuttosto che molti economisti investissero la loro intelligenza nel costruire teorie la cui complessità è seconda soltanto all'inutilità. La economia dovrebbe essere una disciplina che cerca di comprendere la realtà sociale, cosa spesso dimenticata da molti economisti.

E' stato anche molto critico sulla costruzione della Unione Europea dove vedeva un grosso deficit democratico, dove si sono svuotate, un poco alla volta, le sedi della sovranità nazionali senza investire nella sovranità europea, facendo del governo della UE un governo più di regole che di scelte. La costruzione europea soffre di un deficit di potere con, da un lato, una legittimità senza strumenti e, dall'altro, strumenti senza legittimità. La costruzione europea è una federazione monetaria senza solidarietà di bilancio o anche un miscuglio di ferderalismo monetario e confedaralismo di bilancio totalmente  instabile. Uno dei problemi è che l'Europa affronta un problema che è essenzialmente  costituzionale come se fosse un problema puramente economico. Come afferma nel libro, che ho recensito, il suo sogno è che si smetta di imporre l'Europa ai cittadini per aiutarli invece a sceglierla, costruire  dunque una Europa fatta di solidarietà e responsabilità: solidarietà di bilancio  e responsabilità politica.

Infine, uno dei suoi motivi di insoddisfazione è legato alla nostra incapacità di misurare veramente cosa sia il benessere; le misure e le politiche si basano sui dati del PIL (Prodotto Interno Lordo) che, già per come è costruito, male rappresenta l'effettivo benessere economico di una nazione. Inoltre, quel che è peggio, è che in una situazione come quella degli ultimi anni, in cui le diseguaglianze stanno diventando sempre più marcate, un aumento del PIL che si concentra solo in una percentuale molto ridotta della popolazione come può rappresentare un miglioramento di una maggioranza che invece perde di benessere e di sicurezza. Se gli obiettivi politici, tra l'altro mal diretti da una teoria economica sbagliata, mirano solo ad una crescita del PIL senza guardare alla sua distribuzione come possiamo pensare che i cittadini siano soddisfatti delle politiche adottate dai governi nazionali e dalla Europa?

Peccato abbiamo perso un economista a tutto tondo, dove la economia non era solo arida matematica applicata a modelli teorici completamente avulsi dalla realtà, ma invece interessato alla complessità della realtà sociale ed economica:

" Il concepimento di una buona politica non può fondarsi quindi sulla separazione artificiale tra politiche sociali e politiche macroeconomiche, lo studio del mercato del lavoro e della ripartizione dei redditi deve costruire un elemento centrale dell'analisi macroeconomica che sostiene le politiche di stabilizzazione".

domenica 20 marzo 2022

Keynesiano nel breve, Schumpeteriano nel lungo

Se qualcuno mi chiede se sono keynesiano in genere, sorridendo, dico di essere keynesiano nel breve (periodo) e schumpeteriano nel lungo (periodo). Anche se è una battuta c'è del vero. Infatti, Keynes non ha mai nascosto di non essere interessato al lungo periodo con la sua  famosa frase: "Nel lungo periodo siamo tutti morti". Di fatto la sua teoria economica esposta in gran parte nel suo libro : La Teoria Generale (della occupazione, dell'interesse e della moneta), è essenzialmente una teoria del breve periodo. La analisi  di Keynes si concentra sulla domanda cosiddetta effettiva, cioè quella che si genera effettivamente nella realtà. L'elemento determinante sono gli investimenti, infatti questi sono l'elemento più variabile e sono determinati dagli imprenditori (animal spirits), la volontà di investire dipende dalle prospettive di guadagno, ovvero quanti profitti posso fare al netto degli interessi che devo pagare sull'investimento che ho intrapreso. Se le prospettive sono buone avremo investimenti sufficienti, che a loro volta guidano l'occupazione e quindi il reddito complessivo, e tutto ciò si somma in una domanda complessiva che è sufficiente a mantenere una  offerta che garantisce una piena occupazione; viceversa prospettive cattive deprimono gli investimenti e a catena reddito e occupazione creando una situazione di stagnazione. Data la importanza degli investimenti nel generare reddito e occupazione e la loro criticità, Keynes propone una "socializzazione degli investimenti", ovvero lo Stato deve assumersi il ruolo di guida degli investimenti nei periodi di crisi, direi anche perché è l'unico soggetto che ha un orizzonte di lungo termine, mentre l'investitore privato ha un orizzonte generalmente orientato al breve, soprattutto in quegli investimenti, ad esempio le reti di infrastrutture, che sono investimenti di lungo termine e che inoltre favoriscono lo sviluppo di una nazione. In questo si vede un aspetto di Keynes che non è di breve termine. Infatti, anche se è vero che propone al limite di scavare e coprire buche nei periodi di crisi pur di creare lavoro e reddito, Keynes aveva in mente soprattutto gli investimenti, piuttosto che le spese correnti, per favorire la crescita, mentre forse alcuni suoi epigoni si sono fatti prendere troppo la mano sulla effettiva efficacia di tutte le spese del governo. Detto questo, quindi, che fa di Keynes un economista non solo interessato al breve termine, Schumpeter  non si pone minimamente il  problema di come risolvere le crisi che assillava  Keynes. Per Schumpeter la economia è per sua natura ciclica, infatti nel suo poderoso libro, Business Cycles, illustra che vi sono ben quattro cicli dell'economia, alcuni più brevi e alcuni più lunghi, tali cicli sono determinati essenzialmente dalle evoluzioni tecnologiche. La spiegazione della nascita dei cicli è in parole semplici la seguente: gli imprenditori, che sono l'elemento fondamentale per Schumpeter, sono alla ricerca di innovazioni tecnologiche o di processo, se riescono a trovarne di efficaci, questo gli da un vantaggio competitivo che spiazza i concorrenti. Si genera, alimentato anche dalla finanza (vedi Carlota Perez), un periodo di crescita economica, ma la crescita economica e le innovazioni tendono, col tempo, ad affievolirsi e così anche la crescita, dando luogo a un rallentamento che sfocia poi in una crisi, tale crisi pone le basi per un ulteriore ciclo di innovazione. Quello che descrive Schumpeter è abbastanza vicino alla realtà, forse i cicli economici non sono così precisamente determinati in termini temporali, ma che sia la tecnologia a produrre la crescita è ormai abbastanza assodato, vedi ad esempio l'analisi della crescita di Solow, anche se, come abbiamo visto in molti dei libri e articoli che abbiamo recensito, la crescita economica e lo sviluppo tecnologico funzionano bene solo  se sono accompagnati da un miglioramento istituzionale e culturale della società. Quindi, qualsiasi analisi economica seria non può prescindere dalle idee e dalle intuizioni schumpeteriane, anche se è pur vero che senza le idee keynesiane le crisi durerebbero di più, vedi la differenza tra la crisi del 1929 e quella del 2008. Inoltre, le idee keynesiane sono servite a creare nei paesi democratici occidentali, e non solo, le condizioni di stabilità economica e finanziaria per tutto il primo periodo del dopoguerra. Quindi se la teoria economica oggi è un poco meno cieca ed è più capace di interpretare i fatti economici lo dobbiamo a questi due grandissimi economisti del '900.

martedì 8 marzo 2022

La guerra in Ucraina

 Non c'è nessuna giustificazione possibile a questa guerra insensata e ingiusta verso un paese libero e indipendente. Chi cerca giustificazioni o attenuanti al gesto di Putin non mi trova d'accordo. Detto ciò  dobbiamo analizzare la situazione dal punto di vista razionale.  La posizione dei paesi della Unione Europea non  è stata molto efficace e razionale. La dipendenza dal gas russo negli ultimi anni è ulteriormente aumentata, di fatto considerando Putin un partner commerciale affidabile, dimenticandosi chi è Putin, come gestisce e conserva  il potere in Russia. Pertanto, se ti leghi sempre di più alla Russia per il tuo approvvigionamento energetico, non puoi sorprenderti se sei in posizione debole strategicamente. D'altra parte anche Zelensky, conoscendo chi aveva come vicino di casa, poteva fare una politica più accorta. Molte nazioni europee non fanno parte della Nato, non c'era nessuna necessità impellente di forzare i tempi e la mano, poteva avvicinarsi commercialmente sempre di più alla UE e consolidarsi così all'interno e all'esterno. Vedo molti errori, quindi, da parte dell'occidente che ha sottovalutato Putin, nessuno si aspettava un attacco diretto alla Ucraina, d'altra parte Putin ha ormai alle spalle un lungo periodo di potere e probabilmente sa che non potrà mantenerlo molto a lungo e, quindi, forse ha meno scrupoli e remore nel fare cose che in passato non avrebbe azzardato a fare. Cosa succederà adesso è difficile dirlo e non mi sento così bravo per azzardare ipotesi. Credo che comunque Putin, pur essendo un ottimo calcolatore, forse ha ecceduto in ottimismo e l'atteggiamento verso la Russia, da ora in poi, sarà diverso. Questo tragico evento potrebbe rappresentare un altro momento di riflessione per lo sviluppo futuro della UE. Il covid sembra averci insegnato che non si può evitare di fare una politica economica più integrata e comune nella UE. La guerra potrebbe insegnarci che non si può fare a meno di una politica estera comune e anche di una difesa comune e integrata. Come ho detto più volte, su questo blog, non credo che questo si possa immaginare in UE a 27 membri ma, tale integrazione, debba essere attuata con un nucleo ridotto di paesi più vicini culturalmente ed economicamente.

martedì 1 febbraio 2022

Steve Keen - The New Economics- A Manifesto

Questo libro è l'ultimo lavoro di Steve Keen, economista australiano, non allineato con il mainstream economico, che insegna a Sidney. Di lui abbiamo già recensito: Debunking Economics e Can We Avoid Another Financial Crisis.
Nella introduzione inizia con una critica alla economia neo-classica o mainstream che si è dimostrata incapace di riformarsi, nonostante la  evidente incapacità di prevedere l'ultima e grave crisi finanziaria del 2008. Inoltre, la scienza economica, contrariamente a quanto ipotizzato da Khun per le discipline scientifiche, non presenta cambi di "paradigmi" ogni volta che i presentano fatti nuovi o anomalie non spiegate dalla teoria corrente, le anomalie sembrano dunque dimenticate ponendo forti dubbi sulla scientificità della economia stessa. La rivoluzione keynesiana, per esempio, è stata addomestica da Hicks con il suo modello IS-LM.
Quindi, delinea quali sono le tematiche su cui muoverà la sua critica alla economia nel libro con i relativi capitoli:
  • la teoria monetaria;
  • la teoria della complessità in opposizione alla teroria dell'equilibrio;
  • la necessità di ancorare la teoria economica alla leggi della Termodinamica;
  • la necessità che la economia sia fondata sul empirismo;
  • l'utilizzo di nuove tecniche di analisi come la system dynamics.
Per quanto riguarda la teoria monetaria la teoria neoclassica male interpreta il ruolo delle banche, del debito e della moneta nella economia reale, dando un ruolo fondamentale alla banca centrale nella creazione di moneta. L'autore, invece, evidenzia il ruolo delle banche in base alla cosiddetta “teoria endogena della moneta”, secondo cui credito e moneta sono creati dalla complessa interazione tra banche e la banca centrale. La sua interpretazione della moneta non si discosta molto da quella della MMT (vedi Kelton che infatti cita), anche se Keen utilizza una modellistica diversa utilizzando il suo programma (Minsky) e  le tecniche utilizzate da Godley. In sostanza ripercorre la teoria che la moneta è creata dallo Stato dal nulla per via della sua autorità. La moneta assume la forma di deposito bancario piuttosto che di banconote, depositi bancari che sono passività. Inoltre, ribadisce che il deficit dello Stato incrementa la moneta nel settore privato, è il deficit stesso che crea la moneta e lo Stato non prende in prestito dai privato bensì incrementa i risparmi privati. Assume un ruolo centrale il debito che è fonte sia della domanda e sia del reddito aggregato. Infatti, piuttosto che al debito dello Stato, bisogna porre attenzione al debito privato che non deve diventare troppo alto e la domanda basata sul credito bancario non deve assumere un ruolo preponderante nella domanda aggregata, in questo si allinea alle posizioni sia di Fisher che di Minsky sul ruolo del debito nella analisi macroeconomica. Infine, visto l'elevato e pericoloso livello del debito privato propone una forma di giubileo del debito, sul cui funzionamento nella realtà ho delle perplessità. Propone poi una forma diversa di funzionamento delle azioni delle aziende quotate, il cui valore, per quelle trattate nel mercato secondario, dovrebbe avere un termine temporale per evitare il rischio della elevata speculazione.
Il secondo capitolo è dedicato alla complessità del mondo economico reale. L'approccio della economia mainstream si basa  sulle  teorie dell'equilibrio le quali assumono che le oscillazioni economiche finiscono per smorzarsi ristabilendo l'equilibrio, mentre nei sistemi complessi l'equilibrio è uno stato che il sistema non raggiungerà mai. I cicli nel mondo reale, come lo è l'economia, sono fondamentalmente aperiodici. Le teorie della complessità (Lorenz)  dimostrano che l'equilibrio a cui tende il sistema si rivela essere repulsivo (strange attractor), bastano infatti tre variabili per generare cicli aperiodici.  Nell'analisi,  meno sofisticata dal punto di vista matematico, di Minsky si evidenzia già che la crescita stabile è inconsistente in quanto gli investimenti sono determinati dal finanziamento a debito che dipende dal mercato. La analisi e il modello  di Keen sono determinati da una serie di catene causali: il capitale determina l'output, l'output determina la occupazione, il tasso di occupazione determina il tasso di cambiamento dei salari, l'output meno i salari e gli interessi determinano i profitti, il tasso di profitto determina il livello di investimenti e infine la differenza tra investimenti e profitti determina il tasso di cambiamento del debito privato. Dalla simulazione di un tale modello si producono dei cicli molto realistici, cicli in cui si verificano innalzamenti del livello di debito, cicli economici e distribuzioni ineguali di reddito. Un altro aspetto della complessità dei sistemi deriva dalle cosiddette proprietà emergenti, cioè che emergono dalla interazioni delle variabili, questo comporta che la presunzione di far derivare la macroeconomia dai fondamenti microeconomici è completamente fuorviante e futile, quindi è piuttosto la struttura di un economia che determina il suo comportamento.
Un ulteriore aspetto che viene analizzato nel libro è il rapporto tra economia, energia ed ambiente. La energia viene completamente trascurata dai modelli economici tradizionali,  mentre dovrebbe far parte dei modelli di produzione. Inoltre, per produrre si creano  automaticamente rifiuti che non possono essere completamente eliminati. Inoltre, nella produzione bisogna tener conto delle leggi della Termodinamica per cui la produzione diminuendo la entropia da una parte deve necessariamente aumentarla da qualche altra parte,  il lavoro utile genera un aumento di dissipazione di energia. La economia neoclassica, inoltre, nelle sua analisi tende a sottostimare i pericoli e conseguenze dei cambiamenti climatici, vedi ad esempio le analisi di Nordhaus sugli impatti dei cambiamenti climatici sulla economia che prevedono impatti contenuti sul PIL mondiale, quando invece un innalzamento elevato di temperature potrebbe creare in alcune aree dei veri e propri sconvolgimenti delle attività umane.
L'ultimo capitolo riguarda gli errori della economia neoclassica che accetta assunzioni semplificatrici che si rivelano palesemente false nonostante la evidenza contraria, ad esempio la teoria dei costi marginali  di impresa quando è stato dimostrato che nella realtà i costi marginali sono costanti o decrescenti e, pertanto, non  c'è una curva dei costi marginali al di sopra dei costi variabili. Addirittura Friedman è arrivato ad affermare che le affermazioni irrealistiche sono indicative di una buona teoria. Sta di fatto che nel processo di validazione degli articoli le assunzioni irrealistiche nel ambito delle teorie neoclassiche vengono accettate mentre quelle contrarie al mainstream vengono rifiutate rinforzando la egemonia della economia neoclassica nei giornali economici.
Nelle conclusioni auspica una nuova economia che superi gli errori e i paradigmi della economia neoclassica, in particolare un economia con una fondazione monetaria, la necessità di comprendere la complessità, la necessità di essere basata sulla biofisica della produzione usando energia e materia. Infine, indica come metodologia più promettente per fondare la nuova economia la System Dynamics di Forrester.
In sintesi, come si vede dalla recensione è un libro molto ricco di spunti e di approfondimenti, alcune tematiche  riportate nel libro  non sono nuove se leggete questo blog, pur non essendo un libro specialistico non è un libro semplice e richiede una buona preparazione, vi consiglio di leggere prima l'altro suo libro Debunking Economics.
Le sue critiche alla eonomia neoclassica le troviamo anche nel libro di Skidelski What's Wrong With Economics.
Infine, per quanto riguarda la fiducia dell'autore sulla System Dynamics sono meno convinto; ho infatti studiato la System Dyamics proprio perché convinto della sua validità. Indubbiamente è uno strumento molto potente e più adatto dei modelli di equilibrio adottati attualmente dalla stragrande maggioranza degli economisti; comunque applicare i modelli alla economia non è semplice, bisogna fare delle assunzioni sulle variabili le loro relazioni, e quando si tratta di variabili economiche non solo è difficile capirne le relazioni ma tali relazioni sono variabili nel tempo e dipendono dalle condizioni storiche. Pertanto, la presenza della incertezza, tanto cara a Keynes, aleggia sempre nel affrontare le questioni economiche, e rimane, quindi,  la necessità, oltre che a metodologie più adatte, di conoscenze molto vaste e interdisciplinari (storiche, psicologiche, sociologiche, politiche, ecc.) per non commettere gli stessi errori di "hubris" che sono tipici di molti  economisti neoclassici.