Le idee degli economisti e dei filosofi politici, tanto quelle giuste quanto quelle sbagliate, sono più potenti di quanto comunemente si creda. In realtà il mondo è governato da poco altro. Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto. John Maynard Keynes
mercoledì 14 dicembre 2016
Thomas Fazi, Guido Iodice –La battaglia contro l’Europa- Fazi Editore
martedì 6 dicembre 2016
Commento sul referendum costituzionale
mercoledì 23 novembre 2016
K. Polanyi - La grande trasformazione
E’ un libro complesso, è infatti in parte storico, sociologico, economico e politico, ovvero ricostruisce la storia della evoluzione (la grande trasformazione) della società occidentale evidenziando la interrelazione profonda tra i piani economici, politici e sociali.
Si parte da una visione del periodo che va dal 1815 alla prima guerra mondiale, un periodo di sostanziale pace (la pace dei cent'anni) tra le grandi potenze con solo qualche guerra a carattere locale.
Tornando al periodo di pace questo terminò quando i contrasti tra le grandi potenze per il dominio coloniale superarono la capacità, soprattutto della alta finanza, di contrastare le rivalità tra i paesi.
"La tensione sorgeva dal mercato di lì passava alla sfera politica e quindi a tutta la società. Quando la base aurea cadde la tensione all'interno delle nazioni si liberò".
Quali sono le lezioni ancora valide di Polanyi?
Primo che il mercato autoregolato è una pericolosa illusione, infatti, se il secondo dopoguerra è stato anche caratterizzato da una certa stabilità e prosperità lo dobbiamo alle politiche keynesiane del dopoguerra e dall'intervento dello Stato come regolatore e moderatore dell'economia. Quando la furia iperliberista dagli anni '70 ha cominciato a propagandare l'idea che lo Stato è male e sarebbe meglio ridurlo al minimo le crisi economiche e sociali sono aumentate.
Secondo, l'idea che la moneta non sia neutrale, come succede per l'euro che di fatto rappresenta il gold standard europeo e infatti costringe i paesi deboli del sud alla deflazione e svalutazione del lavoro.
Inoltre, l'idea che il mercato autoregolato costringa la società a trovare soluzioni per evitare le conseguenze negative che questo comporta, cosa che vediamo con l'avanzata del cosiddetto populismo, che non è altro che una normale reazione della società a forze che tendono a distruggerla.
Concludo con un suo monito alle classi dirigenti :
"Nessuna classe che difenda rozzamente soltanto i suoi interessi può mantenersi al potere."
sabato 12 novembre 2016
Elezioni americane
Se infatti pensa di risolvere i problemi con minori tasse per i ricchi, basta guardare il grafico sopra per capire come il cosiddetto trickle-down non abbia funzionato, anzi la concentrazione di ricchezza è la causa anche dei problemi dell'economia americana e non solo. Ha promesso maggiori investimenti in lavori pubblici e questo è senza dubbio positivo, in realtà cosa fanno i presidenti americani una volta eletti è difficile dirlo spero tanto di sbagliarmi su Trump.
giovedì 20 ottobre 2016
Simon Wren Lewis - Una teoria generale dell’austerità
sabato 15 ottobre 2016
J.Stiglitz - La grande frattura- Einaudi
lunedì 3 ottobre 2016
Perchè voterò No al Referendum
- · Non voterò No perché voglio mandare a casa Renzi, sinceramente una riforma costituzionale dovrebbe avere un respiro più lungo di un governo e anche di una legislatura, d’altra parte chi ha sbagliato (come ora ammette) per aver impostato la questione come una ordalia, un pò ricattatoria, agli elettori è stato Renzi;
- · Non voterò No perché abbiamo la costituzione più bella del mondo (pura retorica), anzi credo che andrebbe migliorata in alcuni aspetti;
- · Non voterò No perché vorrei una riforma perfetta o sono un conservatore, vorrei una riforma almeno decente che migliori l’attuale senza peggiorarla.
Per concludere una citazione di Popper:
«Abbiamo bisogno non tanto di uomini validi quanto di buone istituzioni. Anche l’uomo migliore può essere corrotto dal potere, le istituzioni, che permettono ai governati di esercitare un certo controllo efficace sui governanti, costringeranno quelli cattivi a fare ciò che i governati giudicano nel loro interesse. Per questo è tanto importante elaborare istituzioni che impediscano anche ai cattivi governanti di provocare danni eccessivi»
giovedì 29 settembre 2016
Keynes, Schumpeter, Roegen
Tutto bene? Mica tanto, fintanto che la crescita tecnologica viene moderata, nel breve termine, da politiche keynesiane di redistribuzione del reddito, con tassazione progressiva, va tutto bene, ma quando le imprese assumono valenza sempre più extra nazionale crescono i profitti (sempre più sfuggenti al dominio dello Stato nazionale) e diminuiscono i redditi da lavoro (almeno nei paesi sviluppati). Al momento qualcosa ci guadagnano i paesi poveri, dove vengono esportate le lavorazioni, ma quando la tecnologia renderà non più conveniente produrre anche ai prezzi stracciati dei paesi poveri chi avrà il reddito per consumare la produzione? Quindi la intuizione di Schumpeter sulla innovazione teconolgica è importante, ma resta il problema della domanda e quindi della distribuzione del reddito, questa non è semplicemente una questione di legge di mercato, come sostengono i neoclassici, ma una questione di rapporti di forza tra classi (Marx).
L'unica differenza è che oggi nessuno, dopo la fine della URSS e la transizione della Cina, crede più che il modello di pianificazione centralizzata possa funzionare nel lungo termine, per cui l'unica alterenativa ragionevole ad una concentrazione di ricchezza, che conduce alla stagnazione e alla rivolta sociale, ritorna ad essere la scelta keynesiana, ovviamente in salsa moderna e soprattutto evitando alcune storture. Per Keynes, infatti, il problema non era il capitalismo in se ne tanto meno gli "animal spirits", piuttosto i "rentiers" e la accumulazione sfrenata di ricchezza, ed inoltre una finanza incontrollata che produce bolle che si sgonfiano (Minsky). A tutto ciò aggiungiamo un altro tassello che riguarda il lunghissimo periodo: la crescita infinita in un mondo finito è un assurdità logica e termodinamica come diceva Roegen, la tecnologia ci può aiutare ma non può fare miracoli di fronte ad un uso sconsiderato di risorse, a meno di non pensare di trovare qualche altra Terra da sfruttare nello spazio. Insomma la tecnologia non risolve tutti i problemi e il capitalismo lasciato a se stesso rischia di generare concentrazioni di ricchezza e dilapidazione di risorse, quindi serve anche intelligenza politica e istituzionale; purtroppo non possiamo fare a meno di governare i processi, con buona pace di quelli che sbandierano la capacità del mercato di autoregolarsi, vedi solo ultima crisi del 2008.
Il futuro è aperto, spetta a noi cittadini di riprendere in mano la situazione e riappropriarci della nostra vita e della democrazia, che costantemente ci viene scippata dalle forze economiche, democrazia che significa scelta ponderata delle élite e soprattutto il loro controllo, che presuppone conoscenza e coscienza dei meccanismi economici, e inoltre impegno costante.
Non esistono demiurghi che possano risolvere tutti i problemi, ma almeno cerchiamoci menti non del tutto impreparate (Trump) a guidarci, forse se ci guardiamo intorno ci saranno sempre nuovi Keynes (ma anche Schumpeter e Roegen) a indicarci la strada.
venerdì 23 settembre 2016
Francesco Sylos Labini - Rischio e previsione – Laterza
mercoledì 21 settembre 2016
La moneta
Oggi pubblico un estratto dal mio libro: Le idee della economia.
Una definizione breve di moneta potrebbe essere la seguente: «la moneta è ciò
che usiamo per pagare le cose»[1]; ma la sua
definizione più completa coincide con l’elenco delle sue funzioni che sono:
- strumento di pagamento, quindi mezzo di scambio e intermediario nella compravendita di beni e servizi;
- unità di conto, dunque misura del valore;
- riserva di valore, in altri termini un modo come mantenere la ricchezza.
Successivamente si diffuse l’uso dei metalli, le monete più antiche sino ad ora ritrovate risalgono a fra la seconda metà del VII e gli inizi del VI sec. a.c., per la caratteristica principalmente di non essere deperibili.
Il passaggio ai metalli preziosi, oro e argento principalmente, segna l’inizio di quella che viene definita moneta merce, ovvero dotata di un valore intrinseco.
Anche l’utilizzo delle monete in metallo prezioso presenta alcuni problemi pratici cioè legati al peso di grosse quantità di moneta e, inoltre, al rischio nel loro trasferimento, questo porta alla nascita delle banconote e anche di altri strumenti sostitutivi (ad esempio lettere di cambio).
Un altro aspetto legato alle monete in metalli preziosi è quello della disponibilità, abbondanza o scarsezza dei metalli in funzione, ad esempio, della scoperta di nuove miniere o all’esaurimento di quelle vecchie.
L’eccesso di moneta se non
accompagnato da uno sviluppo economico può infatti portare, come avevano capito anche i primi economisti, a
spinte inflazionistiche (aumento dei prezzi); al contrario una mancanza di mezzi
monetari può frenare lo sviluppo economico e portare viceversa a deflazione.
Con la comparsa
delle banconote nasce in seguito la necessità che tale attività sia regolata, e
che ci sia un legame tra la emissione di banconote e presenza di adeguate
riserve d’oro. Quindi, la attività di emissione della banconote passa nel tempo
dalle banche private ad una banca centrale, che diventa l’unica ad emettere
banconote e tenuta ad avere una determinata quantità di riserve auree a
copertura delle emissione di banconote.
Il sistema
monetario divenne quindi il cosiddetto Gold Standard[3], nel
quale il valore della moneta corrispondeva ad una determinata quantità di oro
stabilita dalle autorità monetarie, senza necessità di una totale convertibilità
tra banconote e riserve auree, dando così la possibilità di maggiore
flessibilità monetaria all’interno, mentre rimane lo scambio di riserve per
regolare le transazioni tra paesi.
Il passaggio dalla moneta metallica, con valore
intrinseco, alle banconote a corso legale garantite dallo Stato segna la
evoluzione dalla moneta merce alla moneta
segno, cioè ad una moneta fiduciaria basata sulla fiducia nell'emittente[4].
Il secondo
dopoguerra si caratterizza, con gli accordi di Bretton-Woods, per la nascita
del cosiddetto Gold Exchange Standard, in cui la moneta per gli scambi
internazionali rimane il dollaro che è l’unico a poter essere convertito in
oro.
Quindi il dollaro
diviene il punto centrale ma anche dolente di tutto il sistema e la sua
presunta convertibilità in oro termina, con decisione di R.Nixon nel 1971,
lasciandoci in un sistema non ben definito.
Abbiamo parlato
nel corso del libro dei concetti di moneta
endogena o esogena, cioè se la offerta
di moneta è creata e controllata solo dalla banca centrale o, se invece,
non è creata anche dal sistema bancario e finanziario per esigenze della
economia. Considerando che le banche private possono emettere prestiti o dare
credito sulla base anche delle riserve dei depositi, ma che non sono vincolate
a prestarli in rapporto 1 a 1 con i depositi (moltiplicatore dei depositi), è chiaro
che anche loro sono in grado di generare moneta. Per i sostenitori della teoria
della moneta endogena in realtà sono proprio i prestiti a creare la moneta e le
banche, nel loro insieme, non sono quindi vincolate nel concedere prestiti
dall’ammontare del denaro precedentemente depositato; pertanto la banca centrale non è in grado di controllare
direttamente la quantità di moneta, può solo fissare il tasso d’interesse al quale rifinanzia le banche ed è tale tasso d’interesse che influisce “indirettamente”
sulla offerta di moneta.
In pratica la
moneta è oggi una forma di debito, un debito di tipo speciale che è
accettato come mezzo di pagamento nella economia[5].
In particolare la cosiddetta massa monetaria (o moneta legale) viene
suddivisa in alcune componenti, detti aggregati monetari. Questi aggregati sono in ordine decrescente di liquidità :
- M0 insieme di tutte le banconote e le monete, dette moneta legale, e le riserve obbligatorie delle banche presso la banca centrale che costituiscono la cosiddetta base monetaria;
- M1 che comprende oltra alle banconote circolanti anche i depositi di conto corrente e postali (trasferibili con assegno);
- M2 che oltre a ricomprendere quanto detto per M1 comprende anche i depositi di conto corrente e postali più vincolati dei precedenti;
- ·M3 che comprende ulteriormente altri titoli a breve come le obbligazioni e i titoli di stato a breve termine.
Infine concludiamo con le politiche monetarie: lo scopo delle politiche monetarie è di controllare la quantità di moneta in generale, questo avviene da parte della autorità monetaria di un paese attraverso, principalmente, le cosiddette operazioni di mercato aperto, cioè la vendita
o acquisto da parte della banca centrale di titoli. Acquistando titoli, titoli di Stato, per la maggior parte, la banca centrale ottiene due effetti: da una parte riduce la quantità di moneta in circolazione; dall’altra, acquistando titoli, ne aumenta il valore (aumento della domanda) e per la relazione inversa tra valore dei titoli e interesse fa quindi diminuire il tasso di interesse. Quando queste operazioni avvengono su larga scala e i titoli interessati sono anche altri titoli, come ad esempio obbligazioni private emesse dalle aziende, queste operazioni prendono il nome di quantitative easing.
Un altro campo di azione della banca centrale è quello di modificare, in rialzo o in ribasso, il valore del tasso ufficiale di sconto, che determina i tassi di interesse applicati dalle banche per i prestiti.
Infine, un altro modo per controllare la emissione di moneta è attraverso il sistema di regolamentazione delle banche, ad esempio agendo sulla cosiddetta riserva frazionaria, che è la percentuale dei depositi bancari che per legge la banca è tenuta a detenere, sotto forma di contanti o di attività facilmente liquidabili. Tale riserva determina quanto un istituto di credito può erogare per i prestiti e, quindi, un aumento o una sua diminuzione possono variare l’offerta di credito e l’offerta di moneta.
La teoria economica ci dice, in generale, che la banca centrale dovrebbe stabilire la politica monetaria, espansiva o recessiva, in funzione dello stato dell’economia. Ad esempio in una fase di recessione dovrebbe aumentare la quantità di moneta è ridurre il tasso di sconto per favorire la ripresa, mentre in una fase espansiva dovrebbe fare il contrario per frenare il possibile rischio di spirale inflazionistica. Questo vale in generale, ci sono comunque molte divergenze sulle modalità e sulla importanza di tali politiche che variano a seconda delle correnti di pensiero: i monetaristi propendono per un controllo stretto della politica monetaria con minori interventi dello Stato, mentre le correnti keynesiane e post-keynesiane credono che non si possa far a meno di accompagnare tali politiche con un maggior intervento statale anche sul fronte della spesa pubblica o politiche fiscali.
[1] A. Lerner, Money as a creature of the State, The American Economic Review, Vol. 37, No. 2, 1947, p. 313.
[3] In realtà si distinguono tre diversi sistemi aurei: nel primo l'oro viene usato direttamente come moneta (circolazione aurea), nel secondo viene usata cartamoneta totalmente convertibile in oro, infine, nel terzo caso, le banconote sono convertibili solo parzialmente, risultando il valore della quantità di banconote emessa un multiplo del valore dell'oro posseduta dallo stato (circolazione cartacea convertibile parzialmente in oro).
venerdì 2 settembre 2016
Equilibrio dei poteri
martedì 30 agosto 2016
Nils Gilman - The Twin Insurgency
Durante la cosiddetta era modernista sociale (1945-1971), gli Stati, sia capitalisti e sia comunisti, industrializzati o in via di sviluppo cercavano di legittimarsi servendo gli interessi della classe media che miravano ad espandere.
La costruzione del "welfare state" aveva lo scopo di promuovere il benessere generale, per cui le tasse verso i ricchi non erano richieste da un ostilità di classe; il risultato anche di tali politiche fu la decrescita delle ineguaglianze e la Guerra Fredda, rappresentando una alternativa al capitalismo, spinse le élite occidentali a un maggior impegno sociale.
A partire dagli anni '70 divenne chiaro che lo Stato modernista stava iniziando a non mantenere le promesse. Nell'occidente la inflazione e la stagnazione erodevano il consenso verso le politiche keynesiane di regolazione della domanda, mentre le economie dell'Est, oltre ad essere repressive, si mostravano economicamente inefficienti. Con la fine del Comunismo venne meno anche la concezione di sviluppo come responsabilità centrale dello Stato; molti Stati non pretesero neanche più di voler creare una società maggiormente egualitaria quanto piuttosto di massimizzare le opportunità individuali. Questa trasformazione del ruolo dello Stato, con la fine della Guerra Fredda, ha di fatto drammaticamente incrementato la precarietà nella vita delle classi medie e generato nuove forme di insicurezza. Allo stesso tempo, a livello ideologico, la crisi dello stato sociale nazionale ha minato l'abilità della classe media di organizzarsi per affrontare collettivamente le nuove minacce.
La insurrezione della plutocrazia
La ritirata strategica dello Stato modernista sociale rappresenta l'abilitatore principale della insurrezione plutocratica. Il successo di tali élite è drammaticamente poco connesso con le fortune dei loro connazionali, come lo era nelle precedenti generazioni, inoltre la grande accumulazione di ricchezza del 21 secolo è dovuta alla alta tecnologia e ai servizi finanziari, che non prevedono l'utilizzo di masse di lavoratori. Il collasso del comunismo ha rimosso le precedenti limitazioni, con un cambiamento di come gli ultra ricchi concepiscono la loro relazione con la società, le loro personali fortune sono distinte dal successo della società nazionale nella quale risiedono. I plutocrati hanno fondato "think thanks" impegnati a creare un corpo di idee e proposte politiche con lo scopo di smantellare cosa è ancora rimasto della modernità sociale. La strategia politica associata alla insurrezione plutocratica è l'uso della austerità per affrontare gli shock economici per riscrivere i contratti sociali sulla base di più ridotte obbligazioni sociali, con lo scopo ultimo di de collettivizzare i rischi sociali. Il prezzo che lo Stato chiede loro di pagare come tasse o peso regolatorio sorpassa i benefici che essi credono di ricevere per il fatto di vivere in tale Stato, il risultato è un disinvestimento morale e un disimpegno sociale.
La insurrezione criminale
Lo Stato ha perso la sua capacità di fornire una vita decente ai suoi cittadini, portando a un collasso nelle aspettative popolari che esso possa garantire il progresso. La debolezza degli Stati post-comunisti e post-sviluppo rappresenta un grave problema per le classi medie e ha offerto un vantaggio comparato per i commerci illeciti. Imprenditori deviati hanno capito che l'arbitraggio tra le differenze morali e regolatorie che esistono nel mondo costituiscono una fantastica occasione di business e cercano, quindi, di proteggere le loro rendite di mercato. Questi soggetti cercano di indebolire selettivamente lo Stato in modo da creare delle zone di autonomia economica e proteggere i loro traffici illeciti. L'uso della violenza porta gli imprenditori deviati in conflitto con le fonti di legittimità dello Stato trasformandoli da businessman devianti a criminali. La insurrezione criminale e quindi la forma che assume la globalizzazione deviata quando si espande e diventa consapevole della sua forza politica. D'altra parte tanto più la industria deviante cresce quanto più danni fa alla legittimità dello Stato in cui opera. Così, anche se gli insurrettori criminali non desiderano eliminare lo Stato ospite, essi favoriscono il processo catastrofico di implosione.
Il collasso della capacità e della legittimità dello Stato sociale ha dato vita non alla utopia post-storica di un consenso universale a favore di un capitalismo liberale e democratico (Fukuyama) ma piuttosto a un mostro a due teste nella forma di una secessione plutocratica e di globalizzazione deviata. Ciò che rappresentano entrambe le insurrezioni è la sostituzione della idea liberale di una autorità uniforme e di diritti all'interno dello spazio nazionale con un insieme caledoscopico di "microsovranità" di fatto e de jure. In queste enclavi la sorgente dell'autorità e lealtà è solamente il denaro.
Alcune riflessioni sull'articolo: l'analisi della evoluzione della società e dello Stato negli ultimi decenni sostanzialmente non è nuova (vedi ad esempio i libri di Reich), anche se in questo articolo viene ben evidenziato il ruolo e la importanza della criminalità, che spesso viene trascurata. Il finale è molto pessimista, mentre Reich ad esempio sprona i cittadini a riprendersi il controllo politico del loro destino. Certo vista la storia degli ultimi decenni non è facile invertire la rotta, come al solito il primo passo è essere consapevoli di quello che sta succedendo e non farsi distrarre da bersagli creati ad hoc (ad esempio gli immigrati, il modo islamico, ecc..) e soprattutto la unione degli sforzi da parte di tutti i cittadini e degli intellettuali, mentre vedo troppe divisioni che come sempre favoriscono il controllo delle élite.
martedì 12 luglio 2016
Dani Rodrik - The political economy of liberal democracy
L' articolo inizia con una interessante definizione dei diritti, in particolare si suddividono in:
- Diritti di proprietà, che proteggono i possessori di beni (assets) e investitori dalle espropriazioni dello Stato o altri gruppi;
- Diritti politici, che garantiscono libere e corrette competizioni elettorali e permettono ai vincitori di tali elezioni di determinare la politica soggetti solo alle limitazioni di altri diritti ( qualora ci siano);
- Diritti civili, che assicurano la eguaglianza davanti alla legge, nella amministrazione della giustizia e la fornitura di altri beni pubblici come la istruzione e la salute.
- non ci devono essere chiare e identificabili divisioni etiche, religiose o di altro tipo che dividano la minoranza dalla maggioranza;
- le due divisioni che distinguono la maggioranza dalla minoranza e dalle élite alle non-élite devono essere strettamente collegate; in questo caso le élite cercheranno un accordo sui diritti civili e politici (vedi il caso del Sudafrica);
- la maggioranza risulta debole o esigua e quindi cerca un accordo con la minoranza per sfidare la élite.
Mentre la democrazia ha le radici nell'antica Grecia, la sua variante moderna è emersa a causa della Rivoluzione Industriale in Gran Bretagna e dell'Europa occidentale.
Quando gli agricoltori si sono mossi verso le città, le possibilità di azioni collettive di massa sono aumentate e il lavoro organizzato è divenuto una forza politica. La spinta verso la democrazia nel 19° secolo è dovuta, essenzialmente, alla domanda di espansione dei diritti elettorali dei non proprietari. I primi liberali facevano parte delle élite proprietarie, latifondisti e ricchi, cui obiettivo primario era di prevenire che la massa esercitasse un potere arbitrario su di essi. Il fatto che i liberali in Occidente erano in larga parte proprietari portò alla unione dei due diritti: di proprietà e civili.
In Occidente il liberalismo ha preceduto le democrazie elettorali. Dove il liberalismo ha preceduto la democrazia, la democrazia si è mostrata più resistente.
In altre parti del mondo la politicizzazione delle masse è arrivata non con la industrializzazione ma con la decolonizzazione o con le guerre di indipendenza nazionali.
Questo spiega le differenze tra le democrazie occidentali e le altre che non si sono formate a causa del processo di industrializzazione e le divisioni di classe da questa generate.
Le divisioni di classe e di identità evolvono come risultato di sviluppi esogeni nell'economia e nella società come pure le strategie politiche messe in atto dai gruppi che si contendono il potere.
La democrazia liberale è quindi una strana bestia. Non sorge se non in una particolare situazione politica. Il liberalismo deve avere delle proprie "gambe" per ottenere credibilità. Le condizioni politiche generali che sono ritenute necessarie per una democrazia producono democrazie elettorali piuttosto che liberali.
Dei tre diritti, quelli di proprietà sono importanti per le élite, i diritti politici sono importanti per le masse, mentre i diritti civili proteggono le minoranze.Una democrazia liberale richiede tutti e tre i diritti mentre le democrazie elettorali producono solo i primi due.
La transizione verso la democrazia richiede la risoluzione del conflitto tra élite e masse. Divisioni aggiuntive, divisioni di identità in particolare, rendono più difficile la promozione di politiche liberali. Per questo la rarità delle democrazie liberali non è sorprendente.