Abbiamo visto, nei precedenti post, come per gli economisti classici l’utilità (valore
d’uso) di un bene venga considerata una sua caratteristica essenziale, la
loro indagine tuttavia si indirizzava sul valore
di scambio andando alla ricerca di un suo fondamento per cosi dire
“oggettivo”.
Il grande salto concettuale che caratterizza il pensiero dell’epoca successiva è quello di passare da un punto di vista “oggettivo” ad un punto di vista “soggettivo” (“soggettivismo metodologico” lo definisce Schumpeter).
Mentre nell’economia classica prevale il punto di vista
generale, l’analisi degli individui come insieme (classi sociali) e delle
dinamiche di sistema, nel periodo neoclassico la focalizzazione è sul singolo,
cosiddetto agente economico, in
particolare sul consumatore e sulla soddisfazione dei suoi bisogni.
La paternità di tale rivoluzione non è univoca, a questa
impostazione e al concetto che verrà in seguito definito come utilità marginale contribuiscono una
serie di autori, spesso in maniera indipendente, in più fasi con affinamenti
progressivi dei concetti. Su chi spetti
la palma del pioniere vi sono varie correnti di pensiero[1],
io farò la scelta di partire da Gossen.
Hermann Heinrich Gossen (1810-1858) fu un economista
prussiano, la cui opera rimase a lungo sconosciuta, solo dopo che i concetti di
utilità marginale erano stati elaborati in maniera indipendente e principalmente
da Jevons, Menger e Walras, vennero
riscoperti i suoi contributi e riconosciuto il loro valore.
Il contributo di Gossen, detta anche prima legge di Gossen,
afferma che se si consuma un unità ulteriore o supplementare di un bene (una
unità per cosi dire al “margine”), la
utilità che se ne ricava o soddisfazione aumenta ma in misura sempre minore, in
altri termini l’utilità dell’ultima dose consumata (marginale) di un bene è
decrescente[2].
Se proviamo infatti a fare una rappresentazione grafica per
rendere più chiaro il concetto, da una parte abbiamo che l’utilità totale (la
soddisfazione complessiva), ipotizzando che sia in qualche modo misurabile, è
crescente con il consumo del bene, ma la crescita di soddisfazione tende a
diminuire sino al punto di non crescere
più. D’altra parte, se invece consideriamo gli incrementi di utilità (utilità marginale), ovvero le
differenze di utilità/soddisfazione tra due punti vicini, questi risultano diminuire e quindi sono decrescenti
all’aumentare del consumo del bene.
Se qualcuno ha studiato
matematica alle superiori ricorda, probabilmente, che quando parliamo di
variazioni incrementali di una funzione in rapporto a una variabile stiamo
parlando del concetto di derivata e, quindi, l’uso della matematica incomincia a farsi sempre più largo e diventare più importante all’interno della economia.
Il problema è capire se tale utilità è effettivamente misurabile. Sul
tema le posizioni furono molteplici comunque, alla fine, prevalse il concetto che più che determinare un valore assoluto dell’utilità (cosiddetto concetto
di utilità
cardinale) sia più corretto parlarne
in termini relativi (concetto di utilità
ordinale).
Un esempio di utilizzo del concetto di utilità è quello dato da un paniere di due beni, dove
si cerca di trovare le combinazioni
delle quantità di ciascun bene che hanno pari utilità per un individuo, ad
esempio avere 2kg di pane e 1 litro di latte potrebbe essere equivalente in
termini di utilità a 1kg di pane e 3 litri di latte.
Se si uniscono questi
punti di pari utilità, dati dalla combinazione delle quantità di due beni che
hanno pari utilità per il consumatore, dove le quantità dei beni sono
rappresentate sugli assi cartesiani, si
arriva a costruire quelle
che vengono definite curve di
indifferenza[3].
Inoltre, un ulteriore concetto che dobbiamo a Gossen è quello
di bene economico, di cui una delle
caratteristiche principali, oltre all’utilità, è quella di scarsità.
Si sviluppa pertanto, in questo contesto, il concetto di “homo
oeconomicus”, in cui l’individuo è un agente razionale che cerca di
massimizzare la soddisfazione dei suoi bisogni.
[1]Come autori che hanno contribuito
per primi al concetto di utilità marginale possiamo citare: Daniel Bernoulli,
William Senior e Jules Dupuit e alcune
anticipazioni le troviamo anche in autori ancora precedenti.
[2] Banalizzando
molto, se siamo assetati il primo bicchiere d’acqua ci darà grande
soddisfazione (utilità), i successivi sempre meno fino a quando non ne
trarremmo più soddisfazione
[3]La paternità delle curve di
indifferenza la si deve ad Edgworth, su cui lavorò successivamente Pareto.
Nessun commento:
Posta un commento