venerdì 26 aprile 2019

Wolfgang Streek- Tempo guadagnato – La crisi rinviata del capitalismo democratico-Feltrinelli

Wolfgang Streek è direttore del Max Planck Institut per gli studi sociali e professore di Sociologia alla Università di Colonia. 
Il libro ricostruisce la storia dalla seconda guerra mondiale; il patto sociale del secondo dopoguerra si interrompe all'inizio degli anni '70, patto che prevedeva un alleanza tra governi e grandi imprese sotto l'egida di una guida tecnocratica per assicurare una crescita stabile e bassa disoccupazione (regime keynesiano). Dalla fine degli anni '60, con il rallentamento della crescita e le manifestazioni studentesche e dei lavoratori, si acuisce la insofferenza del capitale verso la mixed economy e incomincia una nuova fase, sostenuta dalle idee del liberismo (Hayek e suoi seguaci) per liberarsi dall'economia sociale di mercato. I primi segni sono i governi di Reagan e Thatcher che rappresentano una discontinuità col passato. 
Per evitare il peggio e il conflitto sociale si adottano delle politiche di compensazione (tempo guadagnato del titolo). Inizialmente è la politica monetaria ad essere utilizzata per far crescere i salari ma con la crescita anche della inflazione. Questo periodo finisce con una stretta monetaria ma, ancora una volta, si usa un ulteriore espediente temporaneo, l'aumento del debito pubblico. Anche questo periodo finisce e la preoccupazione del debito porta, nella maggiore economie, a programmi di consolidamento del bilancio che comportano tagli delle spese sociali. Anche in questo caso si ricorre ad un altro intervento per evitare ulteriori tensioni, si sostituisce l'indebitamento pubblico con quello privato (keynesismo privatizzato) ovvero la diffusione di un potere di acquisto anticipato provocando un aumento del debito complessivo. Ma questa piramide di debiti crolla nel 2008 con il collasso del sistema bancario e finanziario che abbiamo vissuto. La situazione attuale l'autore la descrive come contrapposizione tra il “popolo dello stato”, i cittadini ed elettori a livello nazionale, e “il popolo del mercato” gli investitori a livello internazionale. Lo Stato non è più in grado di esigere e aumentare le tasse (elusione ed evasione internazionale e concorrenza fiscale tra gli Stati) diventando uno Stato debitore sottomesso alla disciplina dei mercati finanziari, con conseguente indebolimento della democrazia, disaffezione degli elettori sempre meno partecipi e aumento delle diseguaglianze e della povertà nei paesi sviluppati, quelli meno sviluppati crescono grazie alla globalizzazione del lavoro ma con pochi diritti e democrazia. 
La parte finale del libro è dedicata alla Unione Europea e monetaria. Per l'autore Unione Europea è caratterizzata da un deficit democratico anche per le limitate competenze del parlamento europeo, con una svalutazione delle istituzioni nazionali senza che ci sia stata una contropartita a livello di istituzioni internazionali. L'Unione Europea è diventata una struttura internazionale in cui la democrazia è addomesticata, con un declino degli investimenti sociali (austerità) e un declino da parte dei cittadini delle aspettative verso la politica, i cittadini contano sempre meno. Definisce l'euro come un esperimento “frivolo” che ha voluto imporre una moneta unica a una società eterogenea e multinazionale. Per l'autore non è praticamente realizzabile una democratizzazione dell'Europa anzi è probabile e auspicabile un ritorno alla monete nazionali. Infatti, costituire una Europa democratica dovrebbe significare costruire istituzioni in grado di sottoporre i mercati al controllo sociale e quindi evitare l'errore compiuto fino ad ora di trattare economia e società indipendentemente l'una dall'altra. Non può nemmeno essere solo un progetto di omogeneizzazione istituzionale ma, cosa molto complicata, dovrebbe essere in grado di fare rientrare nel proprio ordinamento le differenze nazionali con una suddivisone federale e un ampia autonomia a tutela dei diritti delle minoranze, ciò avrebbe bisogno di molto tempo e una democrazia sovranazionale non può nascere certo da un parto intellettualistico volontario come è stato sino ad ora. 

Anche se molte delle riflessioni del libro non sono del tutto nuove per chi legge questo blog, il libro è scritto molto bene con grande chiarezza e capacità espositiva e merita una lettura.

mercoledì 3 aprile 2019

Barry Eichengreen-Hall Of Mirrors-The Great Depression, The Great Recession and the uses and misuse of history-Oxford Univeristy Press

E' un libro molto approfondito e dettagliato in cui vengono spiegate in parallelo le due grandi crisi: la Grande Depressione degli anni '30 e la Grande Recessione del inizio del XXI secolo
Il libro descrive, con grande dovizia di particolari, fatti e personaggi della storia delle crisi evidenziando parallelismi e differenze tra le due crisi sia nel nascere che nella gestione. Ovviamente non posso descrivere facilmente tutto quanto viene riportato nel libro, che comunque consiglio di leggere, anche se non è un libro facile in quanto molto complesse e intricate sono le questioni analizzate. 
Quali sono le conclusioni dell'autore? Sicuramente la lezione degli anni '30 è servita principalmente negli USA e meno in Europa. Le conoscenze degli errori della Grande Depressione hanno infatti consentito di salvare dal disastro finanziario e hanno evitato livelli di disoccupazione troppo elevati. Gli interventi di salvataggio hanno evitato il peggio, anche se il fallimento di Lehman-Brothers è stato sottovalutato nei suoi impatti, inoltre le politiche fiscali espansive si sono interrotte troppo presto rallentando la ripresa. In Europa, invece, oltre ad aver fatto un unione monetaria senza unione fiscale e bancaria, la reazione ha portato presto a strette fiscali e controllo della spesa pubblica costringendo a una ripresa molto asfittica se non situazioni di grave recessione, come in Grecia (ma anche in Italia) a seguito degli interventi della Troika. Inoltre, per quanto riguarda le riforme, mentre dopo la Grande Depressione le riforme (Steagall-Grass) sono state molto profonde ed efficaci, anche perché la crisi è stata più pesante, di converso l'evitare il peggio ha prodotto riforme (Dodd-Frank) molto ridotte, anche in Europa le riforme che ci sono state sono parziali e anche tardive.
In sintesi quello che ne esce è un quadro a tinte chiare e scure in cui la storia insegna ma non abbastanza. 
Se avete la possibilità (è solo in inglese) leggetelo perché molto istruttivo e approfondito.