L’alba di tutto è di due autori: l’antropologo David Graeber e l’archeologo David Wengrow, lo scopo del libro è di contestare la narrazione tradizionale secondo cui l’umanità sarebbe passata in modo lineare dallo “stato di natura” alle società complesse, gerarchiche e diseguali che conosciamo oggi, questa narrazione nasce sostanzialmente da Rousseau per poi essere stata ripresa e ampliata da molti autori.
Nel corso del libro gli autori sostengono, infatti, che la storia umana è stata caratterizzata da una straordinaria varietà di esperimenti politici e sociali, e che le disuguaglianze non sono un destino inevitabile, ma il risultato di precise scelte storiche.
Le società del passato non erano né paradisi né inferni primitivi, ma realtà estremamente diverse e creative, in cui gli esseri umani sperimentavano costantemente nuove forme di vita collettiva. Gli autori elencano nel corso del libro quelle scoperte archeologiche e antropologiche le quali dimostrerebbero che gli esseri umani, sin dai tempi più antichi, hanno avuto la capacità di organizzarsi in molti modi differenti: a volte egalitari, altri gerarchici, a volte stanziali in altre nomadi. Gli esempi che citano sono ad esempio quelli della valle dell’Indo o di Çatalhöyük in Anatolia, che erano grandi centri urbani ma privi di forti disuguaglianze sociali, che convivevano con società di cacciatori-raccoglitori con strutture politiche complesse e forme di autorità temporanea o simbolica.
Un aspetto che viene evidenziato è che molte società antiche alternavano stagionalmente diversi sistemi politici; ciò indica la capacità di passare da un modello politico all’altro era una delle libertà fondamentali dell’umanità. Solo in tempi relativamente recenti, gli esseri umani avrebbero perso questa flessibilità, rimanendo “intrappolati” in forme rigide di organizzazione statale e burocratica. Un altro mito che gli autori contestano è il passaggio dalla civiltà dei cacciatori-raccoglitori alla civiltà agricola, passaggio che gli autori mostrano fu un processo lento, discontinuo e spesso reversibile. Tutti questi esempi, e molti altri elencati nel libro, sono volti a dimostrare che la complessità non implica necessariamente gerarchia o dominio, che la visione tradizionale e occidentale ha spesso schematizzato in maniera eccessiva la evoluzione delle società umane e che invece le prime forme urbane e politiche umane erano spesso fondate su principi di libertà, partecipazione e rotazione del potere.
Tutto il libro è quindi rivolto a dimostrare che gli esseri umani non sono mai stati semplicemente “determinati” dalle loro condizioni materiali o biologiche: hanno sempre avuto la capacità di immaginare e costruire mondi diversi. Gli autori quindi ci invitano a guardare al passato con occhi diversi e senza stereotipi, soprattutto per scoprire quante altre vie siano state possibili e dunque lo siano ancora oggi.
Un libro indubbiamente interessante e che pone, con molti esempi, una forte critica al modo convenzionale con cui si è guardato alla storia della evoluzione umana. Devo comunque fare una critica a questo libro, la quantità di dati storici, archeologici che vengono portati a suffragio delle loro tesi è enorme, ovviamente sintomo di una grande preparazione, il problema per un libro che vuole essere comunque divulgativo è che rimane di difficile lettura, io vi ho messo molto a leggerlo e, alla fine, ho dovuto rileggerlo per riuscire a farne una sintesi che non fosse troppo dispersiva. A mio parere libri così validi dovrebbero porsi dei limiti di lunghezza, magari tralasciando esempi o mettendoli in appendice, rimango infatti convinto che un libro rivolto al grande pubblico dovrebbe rimanere leggibile evitando di voler dimostare per forza la proria erudizione,