Carlo Calenda è ormai un personaggio noto, ex Ministro del Governo Gentiloni, appare, infatti, molto spesso in televisione ed è anche molto attivo sui social, questo è il suo primo libro.
Nella prima parte del libro affronta alcuni temi generali, in particolare: la globalizzazione, l'immigrazione, la rivoluzione tecnologica. Questi grandi tematiche sono state trattate in maniera sbagliata e superficiale dai progressisti, avendo questi passivamente accettato dei dogmi che sono propri della cultura liberista piuttosto che liberale. Infatti la globalizzazione, anche se ha portato dei vantaggi nei paesi in via di sviluppo, ha determinato la perdita di molti posti di lavoro e maggiore precarietà nei paesi occidentali. La rivoluzione tecnologica, anche se inevitabile, non è foriera di un futuro magnifico per tutti ma potrebbe ridurre ulteriormente le opportunità di lavoro per le fasce più deboli. Infine, la immigrazione, pur non del tutto evitabile, non è stata gestita finendo per diventare una arma a favore del populismo. C'è quindi (finalmente!) la consapevolezza e la ammissione di errori di valutazione e comunicazione da parte dei rappresentanti della ala progressista o liberal-democratica, che non hanno capito l'insorgere di paure e scontento in quella larga parte della popolazione che non è stata avvantaggiata dal fenomeno della globalizzazione. Il problema è quindi della incapacità culturale delle classi dirigenti di capire e gestire la complessità della trasformazione e le conseguenti paure dei cittadini, in buona parte giustificate, piuttosto che della ignoranza o incomprensione dei cittadini stessi:
Le classi dirigenti liberal-democratiche sono state bocciate non perché le persone sono "ignoranti"ma perché i risultati oggettivi delle politiche di questi ultimi trent'anni sono stati deludenti.Questo è avvenuto in quasi tutti i paesi occidentali, con aumento delle derive populiste e autoritarie mettendo a rischio le democrazie liberali.
Una delle soluzioni per l'autore è il rafforzamento dello Stato che ha subito un indebolimento a favore del mercato e dell'economia globalizzata in grado di approfittare delle catene globali per aumentare i profitti e diminuire le tasse. Inoltre, propone un maggiore investimento nella cultura e nella formazione continua ("istruzione di cittadinanza"), per garantire migliori opportunità di lavoro in rapporto alla evoluzione tecnologica e diminuire l'analfabetismo funzionale. In particolare per l'Italia espone varie proposte tra cui: recupero della evasione, redistribuzione del reddito, miglioramento dei processi della P.A, miglioramenti istituzionali, aumento della partecipazione dei lavoratori nella gestione delle imprese ecc.; in definitiva uno Stato più forte in grado di gestire la complessità delle trasformazioni e ridurre le diseguaglianze.
In ambito europeo auspica un accordo e maggiore integrazione tra le principali nazioni europee (Germania, Francia, Italia e Spagna) per superare l'impasse dell'attuale Unione Europea troppo allargata.
Nel complesso è un libro interessante e ben scritto, che finalmente ammette gli errori della sinistra e del PD (superando il "rancorismo" Renziano) e fa un analisi delle criticità delle trasformazioni in atto nell'occidente, con alcune proposte con cui in larga parte concordo, inoltre trovo corretto il rispetto che mostra, ad esempio per i corpi intermedi (sindacati), cosa su cui ha sbagliato Renzi.
Questo libro conferma la mia simpatia per l'autore che, oltre ad essere preparato, mi appare intellettualmente onesto.
Va anche detto che le sua analisi delle criticità le trovate negli autori che ho recensito ( Rodrik ad esempio) e quindi non sono una novità, il tema della necessità di gestire le trasformazioni è poi il tema del libro di Polanyi.
Non mi trovo d'accordo su alcune cose, ad esempio quando parla di eurozona affermando che l'Italia sarebbe una delle nazioni più avvantaggiate. Infatti, in primo luogo andrebbe osservato che l'Europa fondata sull'euro è un errore da un punto di vista economico e sociale come ammettono molti, cosa molto diversa dal progetto iniziale dei fondatori. Che siamo stati avvantaggiati in parte dallo scudo della eurozona, ad esempio per i tassi di interesse, è vero, però bisogna ammettere che questa architettura con i suoi limiti ha anche creato parecchie difficoltà al nostro paese con un cambio sopravalutato. Inoltre, non c'è nessun accenno agli errori commessi dalla "Troika": nella gestione della recessione, alle politiche suicide del Fiscal Compact, alle regole senza senso del 3%, agli errori commessi con la Grecia. Infine, non c'è alcun ammissione che anche l'Europa con la sua costruzione soffre di un deficit democratico evidente. Sono d'accordo, come ho sempre sostenuto, che una soluzione possibile è un accordo a 4 (e non solo Franco-Tedesco) se si vuole salvare l'Europa, ma su questo punto credo che il percorso sarà molto difficile e forse impossibile, per come si sono messe le cose. Dire che la costruzione europea è insoddisfacente e che l'euro non funziona non significa automaticamente essere no-euro o che l'uscita sia una passeggiata, ma non evidenziare i limiti di questo sistema con le sue pesanti ripercussioni che ha avuto ed ha per il nostro paese mi sembra una mancanza significativa e grave se si vuole dare una rappresentazione complessiva della storia recente.
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