lunedì 11 dicembre 2017

Siamo prigionieri del dilemma del prigioniero

La teoria economica ha come fondatore riconosciuto Adam Smith, il quale era convinto che in fondo la spinta dell’uomo al proprio interesse poteva essere conveniente per tutti, secondo la famosa metafora della “mano invisibile”, per cui le azioni interessate e non coordinate degli esseri umani alla fine producevano una situazione positiva per la società. Ovviamente Smith era un filosofo non banale e non era tenero con le élite produttive e dominanti (“I mercanti e padroni sono comunemente rivolti al loro interesse [...] che all’interesse della società”) e che si rendeva conto che i lavoratori avevano meno forza contrattuale (“I padroni, essendo in numero minore, possono coalizzarsi più facilmente”) ma alla fine era moderatamente ottimista sul futuro della società. Molti anni dopo Nash (quello del bel film di Haward: A beautiful mind) riusciva a dimostrare che non era cosi scontato che perseguire gli interessi personali porti a situazioni vantaggiose per tutti. Le sue conclusioni sono rappresentabili dal cosiddetto dilemma del prigioniero in cui due ladri sono indagati e indotti a confessare i reati. La soluzione teorica è che dati i vantaggi e svantaggi prospettati, e non potendo accordarsi prima, gli indiziati (o prigionieri) finiscono per tradire il compagno. Tale soluzione è razionale, ma di fatto non confessando i due complessivamente prenderebbero meno anni di prigione. Questo dimostrerebbe che non è vero che perseguendo i propri interessi si facciano meglio i propri interessi o l’interesse generale. Questo è anche il motivo che spinge alcune aziende in competizione, non potendo eliminare il concorrente, a fare accordi collusivi sui prezzi. Ovviamente questa è una strategia vincente per le imprese che non sono costrette a farsi competizione al ribasso sui prezzi, mentre non lo è per i clienti. 
In definitiva chi crede che il mercato sia un bene assoluto nega la realtà. D’altra parte le élite dominanti dovrebbero essere sufficientemente consapevoli che un eccessiva avidità e arricchimento a danno degli altri cittadini non è cosi conveniente. Un esempio di lungimiranza è rappresentato da Henry Ford che pagava bene i suoi dipendenti per farli divenire acquirenti delle automobili da loro prodotte. D’altra parte la storia ha mostrato che nel tempo i lavoratori si sono coalizzati (sindacati) per ottenere maggiori salari o hanno cercato di influire sulle politiche adottate dallo Stato come elettori, politiche che portavano anche una redistribuzione dei redditi o a regolamentazioni del lavoro e della sua remunerazione. 
Al momento siamo vittime del dilemma del prigioniero infatti, grazie alla globalizzazione, le aziende multinazionali possono cercare le condizioni di lavoro al minor costo e fare sempre più profitti, godendo anche dei vantaggi di poter eludere il fisco grazie alla elusione legale rappresentata da nazioni che fanno dumping fiscali o ricorrendo ai veri e propri paradisi fiscali. Infatti, quello che si vede da alcuni decenni è che aumentata la quota profitti e diminuita la quota salari e la ricchezza tende sempre di più a concentrarsi. Le élite dominanti dovrebbero essere più lungimiranti e capire che, se limitano la loro avidità, avrebbero la possibilità di stare comunque bene e con una situazione sociale meno drammatica, ma a quanto pare il monito di Polanyi (“Nessuna classe che difenda rozzamente soltanto i suoi interessi può mantenersi al potere”) non li scalfisce e questo stato di cose potrebbe perdurare o forse anche peggiorare. Siamo noi cittadini che invece di arrabbiarci con le solite vittime sacrificali (emigranti) dovremmo riprenderci il nostro potere e la democrazia; purtroppo non sono ottimista, buona parte della popolazione, ormai  esasperata da una politica non in grado di invertire la rotta, finisce per cercare facili illusioni populistiche, spesso di destra, e il baratro si fa sempre più profondo.