venerdì 13 gennaio 2017

Weitzman-L’economia della partecipazione: sconfiggere la stagflazione

Il libro che recensiamo oggi non è recentissimo, è uscito nel 1985 e non è facilmente reperibile nuovo, risulta comunque interessante perché mi consente di parlare di un tema sempre attuale ovvero cercare di trovare forme di retribuzione salariale che siano partecipative ovvero legate alle performance della impresa.
Nella prima parte l’autore riesce in maniera semplice e brillante a delineare i fondamenti della microeconomia e quindi del funzionamento della impresa; la situazione normale dell'economia è comunque caratterizzata da eccedenza di offerta e le imprese tendono a reagire, in presenza di incrementi di costi, aumentando i prezzi e riducendo la produzione. D'altra parte il modello salariale prevalente è sostanzialmente rigido, per cui lo scenario macroeconomico è che l'impresa a fronte di problemi tende principalmente a ridurre la produzione e meno i prezzi, con  un salario rigido si ha quindi  aumento di disoccupazione (ovvero salario rigido e occupazione variabile). Inoltre, la soluzione keynesiana di una aumento della domanda per risolvere i problemi di disoccupazione comporta il rischio della inflazione che se unita alla stagnazione diventa stagflazione (tipico problema del periodo in cui esce il libro). Per uscire da questa impasse la soluzione, per Weitzman, che consente di mantenere maggiormente stabile l'occupazione senza incorrere nel rischio di inflazione è quella di un salario che sia in parte legato alle performance dell'impresa (ad es. ricavi). I vantaggi teorici di un sistema del genere sono vari, uno è che l'impresa tenderebbe ad assumere di più perché il costo marginale del nuovo assunto risulterebbe più basso, quindi in definitiva il sistema crea maggiore domanda e soprattutto in un momento di crisi tende a licenziare meno in quanto i salari si adeguerebbero automaticamente ad un calo dei ricavi, oltre al fatto che tendenzialmente i sistemi a partecipazione tendono a coinvolgere maggiormente i lavoratori e quindi ad aumentare la produttività. Il problema, come evidenzia l'autore,  è che tali sistemi non risultano attrattivi per i lavoratori già impiegati, perché il sistema comparta una potenziale riduzione del salario (rischio), tipico problema di una vantaggio pubblico (maggiore occupazione) in contrasto con il vantaggio individuale. La sua proposta è pertanto di favorire l'adozione di tali contratti con delle agevolazioni fiscali per i lavoratori per la parte variabile che quindi dovrebbe spingerli a trovare convenienza in questi contratti. Tutto apparentemente molto chiaro e sembrerebbe l'uovo di colombo. In realtà questo libro mi ha spinto a documentarmi su questo argomento e il conseguente dibattito tra gli economisti. In particolare un altra proposta interessante avanzata sul tema è quella di Meade in cui, ad una quota di  salario fisso, ai lavoratori vengono aggiunte della azioni (azioni di lavoro non negoziabili sul mercato);  non mi dilungo oltre segnalo invece, per chi vuole approfondire, un analisi su questi sistemi di Giulio Zanella dell'Università di Siena: Partecipazione con avversione al rischio e coordination failures: riconsiderazione e tentativo di sintesi dei modelli di Weitzman e Meade, che trovate su internet.

Credo che comunque in Italia su questi temi  e sulla partecipazione alla impresa il nostro sindacato sia rimasto per troppo tempo arroccato su posizioni troppo arretrate rispetto ad altri paesi europei, ed è anche uno dei motivi per cui la nostra produttività  è cresciuta poco o meno di quanto avrebbe potuto. 

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