Questo è l’ultima libro di Bradford De Long, storico dell’economia, che insegna alla Università di Berkley. Si tratta di un libro storico economico che abbraccia quello che l’autore definisce il lungo XX secolo, che va dal 1870 al 2010. Perché parta dal 1870 è chiaro, perché a partire da quell’anno la crescita economica, sostanzialmente limitata al cosiddetto nord economico (Nord America, Europa, e poi anche Giappone), assume ritmi mai visti nei periodi precedenti. Questo aumento della crescita si deve ad alcuni fattori, in primo luogo la evoluzione tecnologica che diviene più organizzata con la nascita dei laboratori di ricerca pubblici e privati, lo sviluppo delle organizzazioni nelle industrie in grado di far crescere la produzione in modo organico e scientifico, e la globalizzazione dei mercati grazie alla diminuzione dei costi di trasporto.
Grazie all’aumento della produzione e della produttività si riesce, almeno nel nord del mondo, a uscire dalla trappola malthusiana, cioè al fatto che l’aumento di produttività riesce a superare l’aumento della popolazione, che per Malthus era il problema che limitava le possibilità di benessere lasciando la maggioranza della popolazione nella indigenza e povertà.
La storia è fatta di idee, vedi ad esempio la citazione di Keynes nel frontespizio del mio blog, ma anche di personalità individuali che fanno la differenza. Da una parte abbiamo le idee pro mercato, in particolare Hayek, per cui è il mercato che riesce meglio di tutto a creare le condizioni per la crescita economica, che l’autore sintetizza nella affermazione: il mercato da, il mercato prende, benedetto sia il mercato. D’altra parte c’è il pensiero di Polanyi per cui il mercato tende a considerare principalmente i diritti di proprietà mentre le persone credono fermamente di avere altri diritti, questo crea tensione nella società che tende ad opporsi agli esiti del mercato lasciato a se stesso. C’è poi una via di mezzo tra queste due visioni che è quella di Keynes di cui abbiamo parlato molto in questo blog, il quale afferma che il mercato lasciato libero tende, sovente, a creare situazioni di crisi e depressione per cui necessita di un intervento dello Stato per evitare cadute di domanda e quindi disoccupazione. Abbiamo inoltre le idee nazionalistiche che sono quelle da cui è nata la I guerra mondiale. Le idee di Marx hanno anche segnato il XX secolo, in particolare la Rivoluzione Russa che, grazie a Lenin, nasce nel paese meno sviluppato industrialmente, al contrario di quanto preconizzato da Marx. La nascita del URSS ci regala la versione reale del socialismo che poi porta a Stalin, all’autoritarismo e ai suoi orrori. Come reazione si sviluppano in Europa i movimenti fascisti, in Italia, in Spagna e poi il nazismo in Germania con Hitler con lo scoppio della II guerra mondiale e ulteriori orrori, morte e distruzione. Negli Usa si sviluppa la Grande Depressione che porta disoccupazione e miseria ma crea le condizioni della presidenza di F.D Roosvelt che fa nascere negli USA uno Stato più sociale e con legislazioni più vicine a quelle europee. Il secondo dopoguerra è caratterizzato da una parte con i paesi occidentali (e anche il Giappone) che, grazie al piano Marshall, si riprendono dalle macerie della guerra e si pongono le basi per una straordinaria crescita economica ma anche con riforme sociali e democratiche con diminuzione delle diseguaglianze, tanto che questi anni vengono chiamati i gloriosi trenta. Dall’altra parte della cortina di ferro la crescita economica sembra inizialmente tenere il passo con quella occidentale, ma con il tempo il divario di benessere e prosperità economica si fa sempre più grave fino alla implosione della URSS e di tutto il sistema di paesi dell’est. Sono comunque poche, in queste periodo, le economie che riescono a svilupparsi economicamente, in particolare le cosiddette tigri asiatiche (Corea del Sud, Singapore, Taiwan, Hong Kong) mentre rimangono indietro sia l’America Latina e soprattutto l’Africa. Con la crisi petrolifera degli anni ‘70 le idee keynesiane, che erano state dominanti nel dopoguerra, entrano in crisi non riuscendo a domare inflazione e recessione, nasce quindi la controrivoluzione Neoliberale con le idee di Friedman e Scuola di Chicago. Si apre una nuova fase di grande globalizzazione che porta alcune economie, prima relativamente depresse, a una decisa crescita economica, in particolare i paesi dell’est europeo e soprattutto la Cina, paese marxista che intraprende una trasformazione economica in senso capitalistico rimanendo sotto il controllo della establishment comunista. Inoltre le ricette neo-liberiste, anche se inizialmente sembrano funzionare, ci regalano con la derugulation delle attività finanziare una gravissima crisi economica nel 2008, la cosiddetta Grande Recessione. Inoltre, se a livello mondiale la crescita economica diminuisce le diseguaglianze di reddito tra i paesi, la globalizzazione porta alla delocalizzazione nei paesi occidentali di molte attività manifatturiere, si perdono molti posti di lavoro ben pagati e aumentano le diseguaglianze con i ricchi sempre più ricchi e la riduzione della classe media. Questo porta a malcontento e disaffezione per la politica incapace di dare una risposta ai problemi che la globalizzazione crea. In particolare sono i partiti progressisti a pagare di più, con politiche troppo prone al mercato e alle idee liberiste, infatti perdono consensi a favore di formazioni nuove, con la crescita dei “populismi” come ad esempio Trump negli USA o i movimenti politici variegati che vediamo nascere in Europa.
Alla fine del libro l’autore non offre soluzioni, il cammino verso la Utopia (cioè una società più ricca ma più giusta e democratica) è stato molto incerto con passi avanti e numerosi stop, il 2010 per l’autore rappresenta lo spartiacque verso qualcosa che non conosciamo.
Il libro è un bel libro, scritto molto bene, interessante e quindi vi consiglio caldamente di leggerlo.
A questo punto come ulteriore commento faccio alcune considerazioni generali visti gli ampi temi trattati dal libro. Come ho già scritto e ipotizzato qui la storia ci ha insegnato che una crescita equilibrata di una nazione si ha solo quando mercato, Stato e democrazia sono forti e si controbilanciano. Quando si afferma il mercato e le sue ideologie, aumenta la crescita economica ma aumentano anche le diseguaglianze. Inoltre, una crescita economica guidata dal mercato porta ad un uso indiscriminato delle risorse naturali senza tener conto dei limiti ambientali e fisici (Roegen), comporta anche spesso la distruzione di ecosistemi, inquinamento e, infine, come vediamo i cambiamenti climatici. La soluzione non è neanche uno Stato troppo forte, come abbiamo visto soprattutto nei paesi del socialismo reale, con una crescita economica asfittica, scarso benessere e in più al prezzo della perdita della libertà. Serve più democrazia ma non servono i populismi che cavalcano lo scontento con spesso proposte irrealistiche, servono cittadini più informati, più consapevoli della importanza del voto e della necessita del loro controllo sulle istituzioni democratiche. Certo non è facile riuscire a mantenere questo difficile equilibrio, le condizioni cambiano e le spinte, anche esterne, possono modificare situazioni stabili, come abbiamo visto anche nazioni progredite hanno avuto nel passato cadute in regimi totalitari. Contano anche le individualità, le élite economiche e intellettuali dovrebbero far emergere i loro migliori elementi e portarli ad assumere incarichi pubblici, a volte questo è successo in passato, forse meno nei periodi recenti. Sembra che la politica sia ultimamente appannaggio di persone poco preparate che tentano la carriera politica come unica scorciatoia per il successo senza aver svolto alcun attività pratica prima e senza neanche studi adeguati. Purtroppo il mondo contemporaneo è molto complesso e affrontarlo con politici che non hanno esperienza e neanche una preparazione culturale adeguata e molto pericoloso, e il populismo alimenta questa tendenza, anche se d’altra parte le forze economiche tendono a favorire invece persone, magari preparate, ma che sono espressione dei loro interessi particolari, mentre dovremmo avere al potere persone preparate ma animate dalla volontà di essere al servizio della comunità.