sabato 21 novembre 2020

Uno spettacolo preoccupante

 Lo spettacolo della politica italiana, in questo ultimo e drammatico scorcio di anno, è desolante e preoccupante. Lo scontro tra Regioni e Governo è piuttosto sconfortante, molti presidenti di regione non sono alla altezza, hanno scaricato le responsabilità delle chiusure sul governo centrale per poi piagnucolare quando sono stati messi in zona rossa. Certo il Governo con i suoi 21 parametri poco chiari non è  stato il massimo della trasparenza, per non parlare della magra figura sulla Calabria. Conte è un cittadino prestato alla politica che fa del suo meglio ma se abbiamo questa classe politica è  colpa nostra. Come ho detto più volte la democrazia funziona bene se i cittadini sono preparati e consapevoli delle loro scelte, in più servono delle buone leadership. Purtroppo una parte della cittadinanza non è  sufficientemente informata, colpa anche di un sistema giornalistico che fa acqua da più parti, con i social che  amplificano e diffondono le fake news che hanno peggiorato le cose. Sulla leadership ho scritto qui quel che sognerei ma, comunque, in Italia ci sono tantissime persone preparate che a fatica assurgono a cariche politiche, anche perché la battaglia politica non è  più una battaglia di idee ma una guerra per bande dove ognuno difende la  propria fazione a prescindere.

Dall'altra parte dell'oceano, Stati Uniti, le  cose sono comunque complicate. Hanno votato in tanti, ed è un bene,  ma 70 milioni di voti per uno che non  mi sembra tanto equilibrato (è un eufemismo per definire Trump) sinceramente non riesco a giustificarlo se  non per pura ragione di schieramento, d'altra parte la scelta di Biden, ottima persona ma molto in la con gli  anni, non mi è sembrata la scelta migliore, staremo a vedere. Comunque i segnali che si vedono in giro sono preoccupanti con vecchie democrazie che arrancano e nuove che sconfinano diventando solo democrazie sulla carta, vedi ad esempio Turchia e altro. 

Un altra aspetto che mi preoccupa e il dilagante negazionismo e complottismo, abituati da decenni di film sui complotti, che possono anche talvolta essere  veri, si è superato il limite, si vedono macchinazioni dappertutto arrivando a esternazioni fantasiose e assurde che rimbalzano sui social, arrivare a dire che la pandemia non esiste e che sia tutto preordinato per sopprimere la libertà è pericoloso per tutti, se queste persone rimangono delle piccole frange è fisiologico ma a me pare che non sia così, e allora Houston abbiamo un problema

sabato 14 novembre 2020

Robert A. Dahl -Sulla democrazia

 Torniamo a parlare di democrazia recensendo un libro piacevole e interessante. Si tratta di un libro non recente, edito in Italia nel 2000, di Robert Dahl (scomparso nel 2014) professore di scienza politica all'Università di Yale. 

Il libro inizia con una breve storia della democrazia nell'antichità con la nascita della democrazia in Grecia ad Atene e la res pubblica romana.

Successivamente passa ad elencare quali siano i criteri che definiscono e caratterizzano una democrazia:

  • partecipazione effettiva
  • parità di voto
  • diritto all'informazione
  • controllo dell'ordine del giorno
  • universalità del suffragio
spiegando le ragioni di tali scelte.

Elenca poi quali siano i vantaggi della democrazia:

  • ostacola la tirannia
  • diritti essenziali
  • libertà generale
  • autodeterminazione
  • autonomia morale
  • progresso umano
  • tutela di interessi personali essenziali
  • uguaglianza politica
  • tendenza alla pace
  • prosperità.
spiegando anche qui brevemente le ragioni di questi vantaggi.

Un capitolo è dedicato a smontare la tesi dei "custodi", cioè che sarebbe meglio delegare le decisioni  agli esperti; qui la sua posizione è chiara, ogni decisione politica è anche etica e il governo non è una scienza ma serve anche incorruttibilità e altro, in conclusione nessuno è meglio qualificato dei cittadini stessi per conferirgli un potere definitivo.

Un ulteriore capitolo è dedicato ai requisiti minimi necessari affinché un paese sia considerato democratico:

  • amministratori eletti
  • libere e frequenti elezioni
  • libertà di espressione
  • accesso a fonti alternative di informazione
  • autonomia associativa 
  • cittadinanza allargata, 
andando poi a definire le relazioni tra questi requisiti e i criteri che definiscono una democrazia.

Un capitolo è dedicato alla discussione sulle diverse forme costituzionali adottate nei vari paesi, di fatto non esistono soluzioni costituzionali da preferire in assoluto, la sua conclusione sintetica è che una costituzione ben fatta può aiutare le istituzioni democratiche a sopravvivere mentre una costituzione mal fatta può invece favorirne il crollo.

Passa poi ad esaminare i sistemi elettorali, da quelli proporzionali a quelli maggioritari e  le soluzioni miste, anche qui non esiste un sistema perfetto anche se il sistema maggioritario pur avendo alcuni vantaggi non sembra incontrare i favori dell'autore, mi preme invece evidenziare invece quando afferma che una riforma costituzionale non va presa alla leggera ma richiede i migliori talenti del paese.

Infine elenca quali sono le condizioni essenziali alla democrazia:

  • funzionari eletti controllano la polizia e l'esercito
  • idee e cultura politica democratiche
  • assenza di ingerenze esterne da parte di paesi ostili alla democrazia
mentre risultano favorevoli alla democrazia:

  • un economia di mercato e una società moderna 
  • scarso pluralismo subculturale
Due capitoli sono dedicati al controverso rapporto tra capitalismo e democrazia, da una parte il capitalismo favorisce, in genere, la crescita economica e il miglioramento delle condizioni economiche e anche culturali dei cittadini, formando una numerosa classe media, d'altra parte il capitalismo crea disuguaglianze notevoli ed è necessario l'intervento dello Stato per compensarne gli effetti e, soprattutto, per la regolamentazione che si rende necessaria; quindi  democrazia e capitalismo sono in perenne contrasto   e questo rappresenta una sfida per le società democratiche.
Un libro scritto in maniera molto chiara e schematica adatto ad un grande pubblico, questo ovviamente va a scapito del approfondimento ma riamane un libro che vale la pena leggere e tenere in libreria.

sabato 24 ottobre 2020

Thomas Piketty - Capitale e ideologia

Ho finito di leggere, lettura non breve, il monumentale (1200 pagine) ultimo libro di Thomas Piketty, economista francese, del quale abbiamo recensito nel blog il libro Il Capitale del XXI secolo

Rispetto al suo precedente libro, tra l'altro di grande successo,  questo è forse meno economico e più sociale. In pratica, per lunga parte, è la storia della evoluzione economica, sociale e istituzionale di moltissime nazioni, partendo dall'Europa medioevale sino alla Cina e India moderne; in particolare come afferma l'autore è la storia e l'evoluzione dei regimi basati sulla diseguaglianza. Inoltre, mette in evidenza, sin dall'inizio, come sia anche una storia soprattutto di ideologie, in ogni epoca la  società produce ideologie finalizzate a legittimare la diseguaglianza e, nelle società contemporanee, la ideologia è una narrativa "proprietarista" 3e meritocratica.

In primo luogo definisce la ideologia come un insieme di idee o narrazioni intese a descrivere come si dovrebbe strutturare una società. Inoltre, i problemi di regime politico e quelli di regime di proprietà sono intimamente connessi da cui ne consegue, per l'autore, che la diseguaglianza non è economica o tecnologica ma ideologica e politica e, quindi, le ideologie contano nel modellare le società. In particolare negli ultimi decenni si sta verificando un aumento della diseguaglianza in maniera inequivocabile  quasi ovunque dopo una sua diminuzione nel XX secolo, frutto della globalizzazione e della incapacità della sinistra (e io direi forse grande difficoltà) nel riorganizzare la redistribuzione economica su base transnazionale.

Segue l'analisi storica partendo dalle società ternarie (Nobiltà, Clero e terzo Stato) ovviamente diseguali, e dove diritti di proprietà e funzioni sovrane sono inestricabilmente legati. La evoluzione dello Stato moderno avviene tramite il logoramento di quest'ordine.

Con la Rivoluzione Francese si pongono le basi per la nascita della società borghese e proprietarista, con il  proprietarismo emerso grazie anche alla formazione di uno Stato centralizzato. Rimane, comunque, evidente il  fallimento nella soluzione del problema della diseguaglianza della proprietà, che non diminuisce anzi finisce per crescere, il vero calo della concentrazione dei patrimoni inizia dopo la prima guerra mondiale. Nel libro vengono poi evidenziate le traiettorie storico istituzionali delle varie nazioni europee.

Nella seconda parte delinea la storia delle società schiaviste e coloniali (Europa e Stati Uniti)  che hanno influito sulla evoluzione economica e politica delle società extraeuropee, India, Cina, Giappone ecc.

La terza parte è incentrata sulla grande trasformazione nelle società occidentali dalla fine della prima guerra mondiale sino agli anni '70; in questo periodo la diseguaglianza diminuisce grazie al tracollo dei patrimoni privati per distruzione, espropriazione e inflazione, cioè per motivi in parte accidentali ma anche politici grazie alla introduzione del suffragio universale che sposta gli equilibri politici e quindi ideologici (vedi anche influenza della Rivoluzione Russa). La introduzione della progressività fiscale ha permesso di sostenere il welfare ma anche le spese fondamentali per lo sviluppo (istruzione, ricerca, infrastrutture). L'autore mostra anche i limiti delle società contemporanee negli ultimi decenni nel affrontare i cambiamenti che hanno portato ad un aumento della diseguaglianza e al ritorno di un alta concentrazione della proprietà. Oltre alla globalizzazione questo fenomeno di aumento di diseguaglianza si deve alla narrativa/ideologia neo proprietarista che esalta il merito e gli imprenditori ma sotto tale copertura vengono perpetuati i privilegi sociali.

Affronta poi il tema delle elezioni mostrando come, in Europa e Stati Uniti, a una divisione "classista elettorale", cioè i ricchi e proprietari (e in genere i più istruiti) che votavano  a destra e le classi meno agiate a sinistra, sia succeduta una stratificazione multipolare. La sinistra tradizionale è passata, sorprendentemente, da partito dei lavoratori a quello delle élite laureate, mentre la destra tradizionale (destra mercantile) rimane con la élite dei proprietari. Crescono a fianco di queste due suddivisioni negli ultimi anni, per effetto della insoddisfazione delle classi popolari, dei partiti cosiddetti social-nativisti con collocazioni spesso a destra (ad esempio Lega o Front National) o miste (5 stelle). In altri paesi extra europei, come l'India, la traiettoria delle suddivisioni elettorali è stata diversa sviluppando, nel tempo, una forma peculiare di divisione classista/religiosa con le classi (caste) alte indù divise elettoralmente dalle caste più basse e di appartenenti ad altre religioni (musulmani).

Nel finale l'autore delinea alcune ricette, per quanto egli ammetta essere imperfette e fragili, perché lo scopo dell'autore è piuttosto aprire il dibattito e non quello di chiuderlo.

Le proposte sinteticamente sono:

  • condividere il potere nelle imprese aumentando la partecipazione dei lavoratori (cogestione);
  • istituire norme che impediscano la concentrazione incontrollata di ricchezza tramite imposte progressive sul reddito, successioni e una tassa annuale sul patrimonio globale;
  • tassazione progressiva dei singoli consumatori per la CO2 emessa;
  • aumentare in maniera sostanziale le risorse investite negli istituti di formazione più svantaggiati;
  • promuovere  una democrazia partecipativa ed egualitaria depotenziando il  finanziamento elettorale privato;
  • aumentare la democrazia transnazionale con una sovranità parlamentare europea privilegiata.
Alcune considerazioni sintetiche sul libro. Sicuramente è un libro interessante e pieno di informazioni storiche e sociali, ritengo, comunque, che per un libro che è dedicato al grande pubblico la sua dimensione sia eccessiva, diventando alla lunga di non facile lettura e dispersivo, credo che libri così voluminosi rispondano più alle esigenze dell'autore che del lettore.

Che il problema della diseguaglianza sia uno dei problemi fondamentali è ormai piuttosto noto.  La diminuzione della diseguaglianza all'interno di un paese e tra paesi, come ho scritto nel mio libro sulla economia, non è un imperativo solo morale ma di efficienza economica, questo dovrebbe essere chiaro alle elìte dominanti per cercare di ridurlo per il bene di tutti anche dei più ricchi. Basti pensare solo allo spreco di risorse che si produce non permettendo ad alcune persone di dispiegare il proprio potenziale intellettuale che potrebbe essere utilissimo alla società. Quello che è chiaro, anche all'autore, è che molti problemi, compreso quello ecologico, non sono risolvibili solo su scala nazionale ma hanno dimensione transnazionale. Questo pone un grandissimo problema di coordinamento che abbiamo visto è difficilissimo raggiungere, come evidenziato anche da Rodrik ad esempio nel suo trilemma sulla globalizzazione e la democrazia. Tutto questo richiede in primo luogo un miglioramento delle leadership politiche che dovrebbero essere più preparate, mentre il deterioramento nel funzionamento della democrazie sta portando a leadership sempre più "populiste", termine che Piketty non ama, che tendono a promettere soluzioni  che una popolazione sempre più spaventata e in difficoltà chiede,  ma si rivelano sbagliate o alla fine favoriscono le elìte dominanti (vedi ad esempio Trump). Certo, come afferma Piketty, la colpa è anche dei cosiddetti progressisti che hanno perso di vista il loro compito e sono diventati i rappresentanti delle elìte intellettuali e sempre meno delle masse popolari. Tentativi come quello dei 5 stelle di recuperare la partecipazione popolare sono in teoria giusti e condivisibili, ma anche in questo caso ci vogliono leadership preparate altrimenti le proposte che vengono portate avanti diventano confuse e a volte controproducenti o sprechi di denaro.

martedì 20 ottobre 2020

Perché non credo agli economisti troppo assertivi

La massima di Socrate "so di non sapere" dovrebbe essere patrimonio di tutte le persone intelligenti. D'altra parte anche la scienza nelle sue discipline più dure e che hanno avuto più successo nelle sue  realizzazioni pratiche, come la Fisica, ci sorprendono con nuove rivelazioni che non trovano spiegazioni. Come ha spiegato Popper sono ammissibili, nella scienza, solo teorie che  sono confutabili,  cioè esiste la possibilità di concepire ed effettuare almeno un esperimento che le possa confutare. Detto ciò, qualsiasi affermazione, anche in ambito scientifico è, quindi, soggetta a possibili confutazioni e rivisitazioni, per cui in materie in cui è  intrinsecamente più difficile trovare prove sperimentali, come la Economia, sarebbe necessario avere più prudenza nel fare affermazioni spacciandole per verità indiscutibili. Quello che sto dicendo non è originale ma è quello che sostiene, ad esempio Rodrik, nel suo libro Economic Rules, infatti Rodrik afferma nel libro che in Economia, essendo una scienza sociale, la ricerca della teoria e dei risultati universali è futile e che i modelli utilizzati sono al massimo contestualmente validi

Fatta questa doverosa premessa, passiamo ad esaminare alcune questioni. Un esempio è la preminenza della offerta o della domanda, se chiediamo ad un liberista (ad es. Boldrin) vi dirà con estrema sicurezza che conta fondamentalmente la offerta e, infatti, le sue ricette economiche sono quasi tutte incentrate sulla offerta, se invece chiediamo a un keynesiano convinto vi dirà che alla fine la cosa che serve è la domanda. Ora, come ho già spiegato più volte io credo a Marshall quando affermava che domanda e offerta sono come le componenti di una forbice e se non c'è l'una anche l'altra non ha senso. Quindi, qualsiasi ricetta di politica economica deve essere valutata in base al contesto economico, storico e sociale di un paese e non dare per scontato niente. Altro aspetto molto dibattuto è quello del mercato e dello Stato. Anche qui gli economisti liberisti diranno che quello che conta è lo dispiegarsi delle fantastiche forze del mercato e della concorrenza, e che lo Stato dovrebbe impicciarsi di economia il meno possibile.  Gli economisti di "sinistra" diranno che è solo lo Stato che ci può salvare fornendo nel migliore dei modi i beni pubblici e anche dirigendo e pianificando l'economia.  Sostenere ognuna delle due posizioni con estrema forza, e spesso arroganza, mi fa un tantino trasalire. 

Stato e mercato sono spesso non in antagonismo ma complementari. Pensare che si possa governare dal centro e indirizzare sempre in maniera efficace la economia è sbagliato e non funziona come hanno mostrato molte esperienze, come pensare al mercato che funzioni senza regolazioni, senza che qualcuno fornisca infrastrutture e beni pubblici è altrettanto illusorio. Altro aspetto è quello della moneta (vedi ad esempio Bagnai), dire che la moneta è ininfluente o neutrale è piuttosto naïve al giorno d'oggi, ma pensare che la sovranità monetaria sia la soluzione della stragrande maggioranza dei nostri problemi è troppo semplicistico e irrealistico.  Peccato che spesso il dibattito sia spesso  così limitato e ridotto a inutili diatribe tra fautori di una o l'altra delle tesi. 

La realtà economica e sociale è complessa e multidimensionale. E' giusto cercare di semplificare e trovare delle ricette semplici, ma una cosa è cercare soluzioni semplici e altro che siano sempre giuste. Nel mio libro sull'economia ho cercato di illustrare le tesi sia di una parte e sia dell'altra, ho infatti parlato di Marx ma anche di Smith, di Keynes e di Hayek, di Stiglitz e Friedman, per dare al lettore una panoramica la più completa e, nei limiti del possibile, equidistante. 

Non accontentatevi di una visione sola, neanche di quelle teoricamente più equilibrate, ad esempio Blanchard, non esistono verità uniche e, infatti, spesso gli autori più seri ammettono di prendere degli abbagli. Certo fa piacere vedere quelli che espongono le loro idee con grande sicurezza, ma la scienza è soprattutto consapevolezza della propria ignoranza e non compiacimento egocentrico della propria presunta conoscenza.

giovedì 1 ottobre 2020

Ascesa e caduta (di stile) di un economista (Alberto Bagnai)

Per chi non lo conoscesse, Alberto Bagnai è un economista, professore associato di politica economica alla Università di Chieti e Pescara. Attualmente è senatore in forza alla Lega e presidente commissione finanze in Senato. È divenuto famoso grazie al suo blog Goofynomics, che ha avuto un enorme successo e che ho iniziato a seguire dal 2011. Bagnai ha scritto anche due libri che ho letto e recensito in questo blog, libri scritti bene e piacevoli da leggere. Bisogna dare atto al professor Bagnai di essere stato uno dei primi in Italia  ha evidenziare  i problemi dell'euro, prendendo a riferimento le tesi di molti economisti affermati. Su questo ovviamente concordo e con me tanti economisti e politici di sinistra. La sua tesi sul rapido smantellamento dell'euro è comunque smentita dai fatti, inoltre, non mi ha mai convinto l'idea che l'uscita dell'Italia dall'euro avrebbe risolto molti problemi, l'euro è sicuramente una concausa del nostro ristagno ma non è l'unica e forse neanche la più importante. Bagnai si è sempre proclamato di sinistra ma non avendo avuto da quella parte molte soddisfazioni ha deciso di passare a destra ed è stato eletto nella Lega con successo nella sua Toscana. Ognuno ha le sue motivazioni ma, francamente come ho già spiegato, mi è difficile credere alla destra e non ho condiviso questo suo cambiamento a 180 gradi. Ho continuato a seguirlo sul blog e su Twitter ma con sempre minor interesse, anche perché i suoi interventi sono divenuti più politici che tecnici. Qualche giorno fa ha fatto un tweet sulla vicenda Tridico, con riferimento al suo aumento di stipendio. Ora Tridico si può criticare per la sua gestione dell'INPS e si può anche criticare che l'aumento sia stato notevole, tra l'altro avvenuto proprio quando al governo c'era Salvini. Detto ciò, lo stipendio ante aumento di Trico era di soli 62000 euro,  troppo poco  per dirigere l'ente previdenziale più grande di Europa. Quindi, da una persona intelligente  come Bagnai, mi sarei aspettato una critica diversa, così gli ho twittato se sarebbe stato disposto a fare il presidente INPS per quella cifra. Bagnai mi ha risposto che lui non si sentiva alla altezza, il resto non lo ricordo con precisione perché subito dopo ha bloccato il mio account dal seguire il suo profilo. Questo non mi sorprende, fa parte del personaggio spigoloso che ha fatto la sua fortuna, evidentemente preferisce che a seguirlo siano masse adoranti e non critiche, tutto lecito anche se io bloccherei solo persone molto fastidiose e volgari, mentre il mio era il primo tweet di risposta  e non mi pareva così polemico. 

Sinceramente il fatto di essere bloccato non mi dispiace molto e lascio a voi ogni considerazione in merito al personaggio. 






lunedì 7 settembre 2020

Salvare l'Italia. Salvare l'euro? Estratti dal capitolo finale.

 Riporto di seguito alcuni estratti dal capitolo conclusivo del mio ultimo libro, buona lettura.

Abbiamo in questo libro affrontato molti temi, in particolare abbiamo cercato di illustrare i punti di forza e di debolezza del nostro paese. Avete anche potuto notare che alcune cose che si dicono su di noi sono esagerate, non siamo un paese di spendaccioni anche se è vero che non spendiamo spesso bene i soldi che abbiamo.

(...)

Quello che emerge dalla maggioranza degli autori moderni è che un aspetto importante nello sviluppo di una nazione è la capacità di sapere produrre e sfruttare adeguatamente lo sviluppo tecnologico. Questo significa, da una parte, crescita della istruzione in generale e, quindi, un buon livello della scuola e delle università, inoltre capacità di fare ricerca scientifica di alto livello e filiere produttive in grado di sviluppare, finanziare e applicare ricerca scientifica e tecnologica.

Un altro aspetto, evidenziato da molti autori è il sistema istituzionale. Questo aspetto è molto complesso e riguarda molti aspetti di una società.

In particolare significa avere un sistema di leggi, e capacità di farle osservare che consenta la libertà di impresa: non c'è sviluppo economico costante nel tempo se il sistema economico non è sufficientemente libero. Le capacità imprenditoriali e la possibilità di potersi arricchire, mettendo a frutto le proprie capacità, sono un incentivo non sostituibile in un sistema economico.

D'altra parte ci vuole anche uno Stato in grado di fare da regolatore del mercato, per evitare gli abusi di potere da parte delle imprese nei confronti della concorrenza e dei clienti. Uno Stato è importante e fondamentale perché crea da un lato le infrastrutture necessarie che non possono essere spesso affidate ai privati, inoltre, è importante perché deve fornire in maniera efficace tutti quei servizi che sono propri di uno Stato: polizia, difesa, sanità, ecc.

Quindi, quando si parla di sistema istituzionale, ci si riferisce a molti aspetti, e dire che bisogna migliorare il sistema istituzionale non è quindi facile da esprimere e da attuare. 

(...)

Come abbiamo affermato nei capitoli precedenti, c'è da molto fare per migliorare la efficacia ed efficienza della nostra burocrazia sia a livello procedurale e sia nel miglioramento del mix qualitativo delle risorse.

Sono assolutamente in disaccordo con chi sostiene che va ridotto il ruolo delle Stato, il problema è piuttosto un altro, cioè come assicurare che questo adempia al suo ruolo nel modo migliore possibile e quindi ridurre la burocrazia laddove non serve e invece rinforzare lo Stato laddove serve, perché il privato non può sostituirlo in moltissimi aspetti della nostra società.

Inoltre, come abbiamo visto, anche il nostro sistema produttivo e industriale deve stare al passo con i cambiamenti e questo è in parte successo negli ultimi anni, con alcune filiere che si sono riorganizzate con un graduale riorientamento del commercio internazionale dell’Italia verso nuovi mercati, infatti negli ultimi anni è migliorato anche il nostro export portando la bilancia commerciale in positivo. Questo è un processo continuo e, come ho sottolineato nelle pagine precedenti, ci sono molte cose che si possono fare per rendere più competitivo il paese e anche qui è importante il ruolo dello Stato per dare i giusti incentivi alle imprese e fornire un livello adeguato di istruzione, oltre agli aspetti infrastrutturali. 

(...)

Quindi, come si vede, ci stiamo avvitando da 30 anni nel tentativo di ridurre il debito ma avendo una scarsa crescita, inoltre abbiamo adottato dal 2001 una moneta esterna che non favorisce di certo le nostre esportazioni.

Su questo tema non possiamo però non parlare di politica anche se termini generali. Come si è visto un atteggiamento troppo poco attento agli equilibri economici nel breve ha portato a degli squilibri economici che ci affliggono da molti anni. Questo pone un problema di qualità in generale della politica, anche perché la complessità del sistema economico è cresciuta enormemente negli ultimi decenni e anche le relazioni internazionali sono divenute sempre più interconnesse e intricate. Questo comporta che il livello medio dei nostri politici dovrebbe tendere ad essere sempre più elevato, con un alto bagaglio di competenze e conoscenze in grado di consentirgli di comprendere la complessità dei meccanismi sopramenzionati.

I dati ci dicono che, ad esempio, il numero di politici laureati in Italia è pari al 31% distante di 20/30 punti percentuali rispetto a Germania, Francia e Inghilterra. Se è vero che da noi la percentuale di laureati è più bassa che in Europa, ciò non toglie che per ruoli politici mi aspetterei un numero di laureati ben superiore alla media nazionale. Inoltre, visto che il livello di istruzione in Italia si è molto alzato dal dopoguerra, mi aspetterei oggi una classe politica mediamente più istruita ma, a solo a titolo di esempio, nel primo parlamento italiano del dopoguerra i laureati erano il 91% contro circa il 60% attuali.

Non vorrei fare nomi ma molti dei leader di partito attuali, sia a destra e sia sinistra, non brillano per livello d'istruzione: Salvini, Meloni, Zingaretti, e l'ex ormai Di Maio, nessuno si è laureato e neanche mi risulta abbia svolto una attività lavorativa significativa nella loro vita. Lo spettacolo che vediamo è desolante, con tanti signor nessuno che varcano le soglie del Parlamento e assurgono anche a ruoli ministeriali. Un tempo, nei partiti tradizionali, c'era un poco di selezione interna e anche formazione, cosa che si è persa.

La partecipazione politica dei cittadini alla vita pubblica è importantissima e andrebbe anche incentivata, però anche la selezione delle leadership è fondamentale per il bene del paese. Se uno non ha mai gestito una attività di una certa complessità ed è anche privo di una buona istruzione teorica perché dovrebbe sentirsi pronto per gestire il paese, vista anche la importanza che ha il ruolo dello Stato in una nazione moderna? Non è facile risolvere il problema di dotare il paese di una leadership adeguata, però dovremmo trovare qualche nuovo meccanismo per favorire l'ingresso in politica di persone più preparate, altrimenti ci ritroveremo con persone nei posti chiavi del paese che sono veramente imbarazzanti. Personalmente guardo poco le trasmissioni televisive sulla attualità, comunque quelle poche volte che assito all'intervento di qualche politico su temi un poco più complessi o tecnici, ad esempio economia, sono veramente pochi che danno l'impressione di averne cognizione.

Rimanendo sul piano istituzionale bisogna anche riflettere sul nostro sistema politico, il sistema parlamentare con bicameralismo perfetto è un sistema che abbiamo solo noi e pochi altri. I tentativi di riforma sono andati male perché è mancata una visione di lungo periodo, in genere si è cercato di fare riforme istituzionali ed elettorali solo con l'obiettivo di un guadagno a breve ma, spesso, è accaduto che le riforme fatte per una certa parte politica abbiano favorito l'altra e, comunque, nell'ottica di un vero miglioramento istituzionale non è certo questa la strada. Sono personalmente favorevole a riforme che possano semplificare il sistema politico, fermo restando che dobbiamo salvaguardare la tutela delle minoranze e la democrazia. Non credo che manchino nel paese persone competenti in grado di proporre una riforma che migliori il nostro assetto istituzionale, attingendo alle migliori pratiche internazionali, e che possa essere approvata a larga maggioranza.

Quando ho cominciato a scrivere questo libro non ci eravamo ancora imbattuti nella pandemia del coronavirus che ha complicato le cose. Purtroppo, il fermo delle attività comporterà un calo del nostro PIL e, d'altra parte, un notevole aumento delle spese dello Stato per tenere in piedi l'economia e poi rilanciarla. Le stime sono ancora in corso, sulla caduta del PIL si fanno stime in eccesso o difetto intorno al 10%, e il rapporto debito PIL peggiorerebbe ulteriormente portandoci a valori sicuramente superiori al 150% e probabilmente oltre.

In una prima fase sarà necessario sostenere sia il sistema produttivo e sia le famiglie in cui verranno a diminuire, in generale, i redditi.

Su questo tutti gli economisti concordano che l'intervento dello Stato è essenziale per evitare il tracollo dell'economia con interventi economici di importo elevato che sicuramente non si sono più visti dal dopoguerra. Tale intervento deve essere veloce, più di quanto si stia facendo, e mirato alla sopravvivenza delle imprese, evitando che falliscano o siano preda di sciacallaggio da parte delle mafie o prede ambite dall'estero per fare shopping a basso prezzo. E' chiaro che, comunque, non si possono fare regalie a pioggia, come propone qualcuno troppo facilmente, ma vanno trovati meccanismi efficaci, anche in parte a fondo perduto, con un minimo di controllo per evitare sprechi o ruberie, ed è qui che vediamo la arretratezza del nostro sistema burocratico.

In una seconda fase bisognerà ripartire e ricostruire, in questa fase le indicazioni che ho dato restano valide e sono un inevitabile punto di partenza per rilanciare in maniera sostenibile il paese. E’ vero che dovremmo spendere molto ma soprattutto dobbiamo spendere bene i soldi, perché potrebbe essere anche la occasione per migliorare il sistema paese e renderlo più solido e competitivo.

Rimane il problema dell'enorme quantità di denaro necessario per tutto quello che abbiamo detto. Se il debito aggiuntivo sarà tutto a carico del solo nostro paese il rapporto debito/PIL, come detto, schizzerà in alto mettendoci in difficoltà ulteriore. Un incremento dell'indebitamento porta, infatti, a un maggiore rischio e ad un sicuro aumento degli interessi da pagare per ottenere credito, questo crea un circolo vizioso pericoloso: aumento degli interessi che implica un aumento del debito che provoca ulteriore aumento degli interessi, strada pericolosa che conduce al rischio di default. Questo è il motivo perché sia l'Italia e sia gli altri paesi europei chiedono la nascita di nuovi strumenti che possano fornire i soldi ai paesi in difficoltà senza aumentare automaticamente il debito e creare il circolo vizioso accennato.

Nei casi di crisi economica un paese che abbia la sovranità monetaria può ricorrere alla monetizzazione del debito, cioè lo Stato in qualche modo crea nuova moneta senza richiederla in prestito, con varie modalità su cui non mi dilungo. Questo è un modo di operare che, da quando le monete non sono più ancorate all'oro (cosiddette monete “fiat”), è possibile attuare, il rischio è di generare inflazione, per questo tale strumento si utilizza solo in condizione di grave crisi economica dove tale rischio di fatto non esiste o è minimo

(...)

Così alla fine siamo tornati alla connessione del problema italiano con quello europeo di cui abbiamo parlato a proposito dell'euro. 

(...)

Premesso che io sono stato un europeista convinto e non caldeggio una “Italexit” come soluzione di tutti i nostri problemi, non sono particolarmente ottimista, visti i precedenti, nella capacità delle leadership europee attuali di prendere decisioni così importanti e comunque rischiose. Qualsiasi scelta, infatti, troverà terreno fertile per delle forti opposizioni interne mettendo a rischio le leadership stesse.

Sono purtroppo propenso a pensare che il progetto europeo, per i difetti evidenti di costruzione, abbia buone probabilità di essere destinato al fallimento. D'altra parte è difficile pensare di costruire una casa partendo dal tetto, e anche ammesso bisogna comunque costruire delle solide fondamenta (istituzioni), cosa che purtroppo è mancata soprattutto dalla introduzione dell'euro.

(...)

Come ho già affermato la questione europea è molto aperta e sinceramente spero che alla fine la Unione Europea ne esca rafforzata, nel caso contrario l'importante è, come già scritto, che una disgregazione sia la più ordinata e coordinata possibile.

In ogni caso la strada per il nostro paese sarà molto ardua e difficile perché ci ritroveremo con un debito pubblico ancora aumentato che ci pone in ulteriore difficoltà. Rimane, in ogni caso, la necessità di delineare un percorso di sviluppo del nostro paese sulla base delle indicazioni che ho cercato di sintetizzare nel corso del libro. In particolare, come ho detto nelle conclusioni del primo capitolo, se vogliamo modernizzare il nostro paese e farlo crescere, in maniera comunque equilibrata, bisogna operare su tre livelli ovvero sui tre aspetti che ho evidenziato: Stato, mercato e democrazia.

Sull'aspetto relativo alla democrazia è necessario migliorare il sistema istituzionale senza stravolgere la nostra Costituzione, con una maggiore partecipazione attiva dei cittadini grazie anche alle nuove tecnologie. La maggiore partecipazione attiva dei cittadini a sua volta richiede un maggiore impegno per la crescita della istruzione, sia formale (più laureati e diplomati e di buona qualità) e sia sostanziale.

Per il secondo aspetto le nuove tecnologie, se ben usate, possono consentire una maggiore diffusione delle conoscenze ai cittadini. Purtroppo, spesso oggi, vediamo che le nuove tecnologie finiscono per far proliferare messaggi distorti e fake news, mentre si dovrebbe fare uno sforzo per un miglioramento qualitativo della formazione delle persone, una specie di “non è mai troppo tardi” del XXI secolo con l'utilizzo delle nuove tecnologie. In questo potrebbe aiutare anche la informazione giornalistica che è in parte condizionata dalla politica (RAI) o da potentati economici di vario tipo, mentre avremmo bisogno di un giornalismo più indipendente e autonomo.

Questo miglioramento nella qualità della partecipazione dei cittadini dovrebbe anche essere la base per il miglioramento nella scelta delle leadership politiche.

Dobbiamo quindi migliorare anche necessariamente il funzionamento dello Stato, aumentando la qualità della nostra burocrazia; tutti i grandi paesi hanno alle spalle un sistema di istituzioni pubbliche di buona qualità, un esempio da noi è la Banca D'Italia che ha fornito al paese spesso grandi professionalità e uomini di qualità, ma ce ne sono anche altri di esempi ovviamente.

Infine, per quanto riguarda il mercato dobbiamo migliorare la competitività delle aziende esistenti come abbiamo illustrato parlando di politica industriale in senso lato, rafforzando le nostre eccellenze industriali e aumentando, soprattutto, la possibilità di creare nuove aziende innovative e start-up. 

In questo ha un peso anche il sistema creditizio che dovrebbe essere più attento alla creazione e finanziamento anche delle nuove aziende, piuttosto che a meccanismi, che si sono rilevati nel passato piuttosto opachi, nel finanziamento di alcune aziende.

Tutto questo non è semplice né facile, anzi dovremmo stare molto attenti ai messaggi troppo semplicistici che ci arrivano dal mondo della politica per allettarci e strizzarci l'occhio per fini elettorali.

In un mondo complesso e complicato le soluzioni efficaci si possono trovare, ma solo con impegno costante e dedizione e con l'ausilio di persone preparate e grazie, anche, alla maggiore consapevolezza dei cittadini.



domenica 30 agosto 2020

Ancora un referendum su una brutta riforma

A breve saremo chiamati a esprimerci sulla ultima, per così dire, riforma, cioè il taglio dei parlamentari. Anche questa volta voterò no. Tra le ragioni del si ci sarebbe la riduzione dei costi ma, in primo luogo, si tratta di cifre molto ridotte nel  ordine dello zero zero virgola delle spese dello Stato, poi parliamo di democrazia e rappresentanza per cui parlare di costi mi pare fuori luogo, perché allora non ridurre i parlamentari di più? 
Secondo i fautori del si saremmo il paese con più parlamentari, in realtà i numeri e confronti che ho visto sono fuorvianti perché i paesi hanno forme istituzionali diverse, alcuni sono federali vedi Germania, altri sono federazioni di  veri Stati  (USA), altri hanno per ragioni storiche la camera dei Lord (GB), altri sono semi presidenziali (Francia), insomma si confrontano pere con mele e non si fanno i conti giusti, sicuramente dopo la riforma saremo quelli con minor numero di parlamentari per abitante. 
Si parla di maggiore efficienza, tutto da dimostrare, ma perché allora non abolire il bicameralismo perfetto che hanno in pochissimi. Diminuire i parlamentari invece, di fatto, significa aumentare surrettiziamente la soglia per essere eletti, sfavorisce i piccoli partiti, aumenta il peso delle segreterie, aumenta le coalizioni farlocche che abbiamo già visto. In sintesi questa riforma (che vera riforma non è) è un pasticcio inguardabile e mi pare anche una manovra autolesionista per chi lo ha proposto, cioè i 5 stelle. La riforma sono sicuro passerà perché è molto popolare e populista, e con leggi elettorali in balia delle maggioranze produrrà parlamenti qualitativamente peggiori. Un altra occasione persa, soldi buttati e un altro peggioramento costituzionale, che dire buona fortuna.

lunedì 17 agosto 2020

Riaprire le scuole, ma è sufficiente?

Leggo molti commenti sui social molto critici sulle mancata apertura delle scuole. E' vero che sono state aperte molte attività prima delle scuole ma la apertura delle scuole, minimizzando i rischi, richiede una capacità organizzativa non indifferente, e che probabilmente ci manca, il rischio è alto, come si è visto in altre realtà, se ci prendiamo del tempo non è poi sbagliato. Detto questo non stiamo sopravvalutando la scuola per come è ?
La mia esperienza personale è che ho imparato di più, e le cose mi sono rimaste più impresse, solo quando ho letto buoni libri, un ottimo libro scritto da persone di valore vale spesso molto di più di molti insegnanti. Devo dire che la mia esperienza nella scuola ma anche nella università non mi ha lasciato ricordi di tantissimi insegnanti di valore, si possono contare sulle dita di una mano. Inoltre, leggendo le biografie di grandi scienziati si scopre che si sono appassionati leggendo grandi libri e spesso le loro opinioni sulla scuola sono poco edificanti, Einstein è un classico esempio. Questo per confermare la sopravvalutazione della scuola. 
Il problema piuttosto è che i giovani oggi leggono poco e anche che abbiamo insegnanti poco motivati. Per quanto riguarda la lettura purtroppo i ragazzi hanno troppi stimoli esterni (videogiochi, social, youtube ecc...), però perché non insegnare a utilizzare la rete al meglio, le possibilità offerte da Internet sono eccezionali, si possono trovare informazioni interessantissime e di grande qualità su tutto lo scibile umano. Inutile insistere troppo su lezioni classiche, magari mal fatte, quando si può insegnare a sfruttare la rete per fare un salto di qualità nella formazione; purtroppo i nostri insegnanti sul digitale sono spesso non prepararti e forse hanno paura di perdere potere. Quindi, piuttosto che pensare a tornare sui banchi e basta è necessario ripensare al sistema di educazione con una maggiore formazione per docenti e alunni sul digitale che, come detto, è una enorme risorsa. Per concludere, certo la scuola è anche interazione sociale e questo è indubbiamente importante e non sostituibile ma anche questo non va sopravvalutato, devo dire che i miei ricordi di scuola e dei miei compagni di classe non sono così idilliaci, ho molte amicizie importanti scaturite da altre situazioni piuttosto che dalla scuola.



giovedì 9 luglio 2020

Perché non voto a destra

Ho molti amici che votano a destra. Alcuni sono nostalgici del "quando c'era lui" e cose del genere, altri si sono convertiti alla Lega di Salvini solo recentemente perché l'uomo acchiappa con i suoi concetti semplici e diretti, altri si sono innamorati di Trump o anche addirittura di Putin. Francamente posso capire insoddisfazione per la politica ma a cadere così in basso non ci sto.
Partiamo dal concetto che è meglio l'uomo solo al comando. Certo uno che comanda rende tutto semplice ma non significa migliore. Per smontare questa tesi ricorro ad Hayek, che non è proprio un progressista di sinistra, infatti Hayek dice che è meglio avere decisioni decentrate proprio perché le informazioni sono decentrate, per questo funziona meglio il mercato della pianificazione centralizzata. Quindi, per iniziare è difficile concentrare le informazioni al centro e secondo ho dei dubbi che al centro uno abbia la possibilità di avere la capacità di scegliere in maniera ottimale. Infatti, non mi risulta che nessuna dittatura alla lunga ha portato la società a primeggiare, anche soltanto economicamente.  Nel breve magari riesce pure a fare qualcosa di buono, anche l'economia stalinista ha portato alla prima industrializzazione della URSS e anche la Germania nazista ha sconfitto la disoccupazione, ma questo non basta per farne dei regimi invidiabili. Probabilmente in un paese arretrato un dittatore illuminato potrebbe anche fare bene, ma vallo a trovare un dittatore illuminato, telefonare in Africa per avere buoni esempi !? In  breve la teoria del uomo solo al comando non regge  per motivi logici e la storia ce lo insegna.
Secondo punto, alcuni preferiscono la destra perché è ordine e tradizione. Peccato che la tradizione sia romanticamente bella ma poco funzionale. Gli organismi viventi, ma anche le società, sopravvivono perché si adattano alle mutazioni ambientali, se non lo fanno e rimangono attaccati alle tradizioni prima o poi spariscono, vi piaccia o no la realtà è dinamica, le situazioni  cambiano ed evolvono e  non fanno sconti a nessuno. Non dico che il progresso sia sempre un bene ma restare fermi non è la soluzione, saper gestire il cambiamento è tutta altra cosa. 
In sintesi la tradizione è bella ma poco pratica, far leva sulla tradizione potrebbe essere rassicurante per l'elettorato ma poi si scontra con la realtà, l'ordine rassicura ma la realtà è caotica e spesso dal caos nasce la innovazione che è il cuore dello sviluppo.
Passiamo alla ultima considerazione, certo se siete ultra ricchi e vivete soprattutto di rendita di qualunque tipo allora, se votate a destra, non ho nulla da dire, fate i vostri interessi. Ma se vivete di lavoro e anche avete un buon reddito siete sicuri di fare i vostri interessi votando a destra?
Certo la destra a volte promette tanto, vedi ad esempio Trump, difesa degli interessi nazionali, America first, prima gli italiani o 1 milione di posti di lavoro, ma la realtà è che la destra finisce per tagliare le tasse ai ricchi,  come hanno fatto Bush e compagni e come sarebbe la Flat Tax, magari lasciando delle voragini nei conti pubblici che pagano in un modo o nell'altro i cittadini meno abbienti con nuove tasse o tagli ai sevizi, e lo abbiamo visto in passato con i cocci lasciati a qualcun altro. 
In sintesi , se non siete proprio ricchissimi o, lasciatemelo dire, proprio coglioni, che si fanno ingannare dalla propaganda diventando braccio armato di quelli che non hanno i nostri stessi interessi, non votate destra, magari non votate ma non date il fianco a chi vi frega. 

mercoledì 10 giugno 2020

Diamo un voto al premier Conte

Premessa iniziale è che Giuseppe Conte mi sta complessivamente simpatico, ma il giudizio che devo dare è politico. Il giudizio è riferito al solo nuovo mandato e non al primo. 
Per quanto riguarda la gestione sanitaria della pandemia coronavirus devo dire che merita la sufficienza almeno. Un governo serio si sarebbe preparato prima, approvigionandosi dei materiali necessari e predisponendo un piano sanitario dettagliato e preciso, di questo si è fatto poco, però tenendo conto che i dati dalla Cina non erano veritieri e l'OMS ha sbagliato molto, si può anche capire (e gli altri paesi che sono venuti dopo di noi non hanno fatto molto meglio). 
La decisione di chiudere Codogno è stata abbastanza tempestiva, il successivo lockdown di Lombardia e Italia è avvenuto con un po di ritardo ma ci sta. Sulla chiusura delle province bergamasche si è invece sbagliato, con polemiche e scarica barile tra Regione e Governo centrale, la verità è probabilmente  nel mezzo diciamo che il Governo poteva fare meglio.  
Le misure economiche post pandemia sono state invece lente e inizialmente scarse. Si potevano trovare dei modi diversi per fare arrivare i soldi prima (non certo le regalie a pioggia dell'opposizione) e infatti molti non hanno visto niente. C'è da dire che non è tutta colpa di Conte, bisogna dargli atto che i Ministri in media non brillano per grandi capacità e conoscenze e la nostra burocrazia è lenta e farraginosa da sempre. Con l'Europa ha tenuto una posizione abbastanza ferma dicendo cose ragionevoli, poteva cercare di più la sponda di altri paesi, anche se alla fine quelli che decidono sono Germania e Francia. Qualcosa è stato ottenuto, il Recovery Fund è un passo avanti ma non sono molto ottimista, visti i precedenti, che si riesca a realizzare quello che è stato promesso vista la opposizione montante di molti paesi. Sulla riapertura si è usata molta prudenza, in parte troppa, alcune regioni potevano aprire prima e invece si è voluto aprire tutti insieme, si è perso un poco di tempo e qualche euro in più. 
Insomma non è stato un Governo, come dicono i miei amici 5 stelle, invidiato e imitato da tutto il mondo, non è stato comunque, almeno nella gestione sanitaria dell'emergenza, un disastro, sulla gestione economica si poteva fare di più.
Resta da vedere cosa faranno adesso, vedo molta confusione, anche gli Stati Generali sono una cosa che mi pare un tantino indietro, non doveva essere un compito delle task force? 
Poi alcuni personaggi scelti (vedi Arcuri) sono stati una delusione e qui la colpa è di chi li ha nominati.
Insomma poche luci e molte ombre, per il momento il mio voto è 6 --, ma passata l'emergenza sanitaria ora viene quella economica. Conte dovrebbe avere il coraggio di scegliersi qualche consigliere migliore e ascoltare anche qualcuno di più avveduto nelle opposizioni (non certo i due leader Salvini e Meloni che non hanno dato grande testimonianza di essere degli statisti, ma questo lo sapevamo).
Quello che c'è da fare l'ho scritto nel mio ultimo libro ma non lo farà neanche Conte e nemmeno il prossimo Governo.

lunedì 1 giugno 2020

Salvare l'Italia.Salvare l'euro?

Ho appena pubblicato un mio nuovo e-book su Amazon dal titolo: Salvare l'Italia. Salvare l'euro? Punti di forza e di debolezza del nostro paese e della eurozona.
Il libro è un analisi della situazione economica complessiva del paese. In particolare, parte dall'analisi della spesa pubblica, sfatando il mito che noi spendiamo troppo. Semmai il problema è che spendiamo male spendendo troppo in alcune cose e troppo poco in altre. Prosegue con un analisi della nostra situazione sociale e produttiva con i nostri mali e alcune potenzialità non sfruttate. Nel libro evidenzio anche la situazione della Unione Europea e della area euro con i limiti che questa ha mostrato. Nelle conclusioni cerco di delineare un percorso di sviluppo possibile del nostro paese, sviluppo equilibrato che richiede non solo un miglioramento della organizzazione dello Stato, ma anche istituzionale e altro. 
Buona lettura.

mercoledì 6 maggio 2020

Francesco Saraceno - La scienza inutile

Ho comprato questo libro per curiosità, di libri di economia ne ho letti molti, mi interessava vedere come trattava l'argomento anche in relazione al mio libro, devo dire che alla fine il libro è stata una piacevole sorpresa.
Il libro verte sulla macroeconomia, ripercorrendo la storia dei modelli che hanno avuto successo. Ovviamente il primo ad essere trattato è il modello keynesiano che ha dato l'avvio alla macroeconomia, di cui l'autore spiega in maniera piuttosto semplice ma dettagliata il funzionamento. Seguono i modelli cosiddetti della sintesi neoclassica (Hicks, Modigliani) che tendono a limitare il caso keynesiano a modello limite ma non più generale, operando una certa normalizzazione del pensiero di Keynes; questo modo di rappresentare Keynes viene da alcuni definito "keynesismo idraulico". Con la corrente di Friedman si supera invece definitivamente il modello keynesiano con il monetarismo che sposta il focus dell'intervento economico dalla politica fiscale a quella monetaria. Un ulteriore distacco lo abbiamo con Lucas con  la economia delle aspettative razionali e quella dei cosiddetti cicli reali, dove gli shock sono puramente esogeni. Infine, nell'ultimo periodo prima della crisi, prende il sopravvento quello che viene definito il nuovo consenso (Blanchard) che fonde un approccio a breve termine keynesiano (domanda) con un lungo termine più determinato dalle politiche di offerta. Le fluttuazioni di breve periodo hanno poca influenza sulla crescita di lungo termine determinata dalla tecnologia. Ma anche il nuovo consenso non esce bene dalla crisi del 2008 (il consenso malmenato lo definisce l'autore) con le sue ricette sulle cosiddette riforme strutturali, facendo invece  rinascere l'interesse per le politiche fiscali.  Il libro si conclude su alcune riflessioni sul futuro della teoria economica con la conclusione (che ricorda Rodrik) che nessuna teoria è adatta a tutte le stagioni e che forse è bene  rinunciare a una teoria universale.
Il libro, inoltre, è in buona parte composto da interessanti inserti che consentono di passare dalla teoria agli aspetti dell'economia attuale e reale. Nel complesso un libro interessante, ricco di spunti e anche di utili riferimenti bibliografici. Non è un libro per neofiti (ai quali per farsi un idea consiglio ovviamente il mio libro che parte dalla economia classica e spiega i concetti fondamentali), ma dedicato a chi ha almeno  una infarinatura di economia. Comunque un libro di cui consiglio l'acquisto e la lettura.

domenica 5 aprile 2020

Daron Acemoglu, James A. Robinson - Perché le nazioni falliscono


I due autori del libro - Perché le nazioni falliscono - edito dal Saggiatore, sono Daron Acemoglu, professore di economia al MIT, e James A. Robinson, scienziato politico e professore ad Harvard.
Il libro è essenzialmente storico e volto a dimostrare la tesi degli autori, cioè che sono le istituzioni che fanno la differenza e che permettono a una nazione di evolvere e crescere stabilmente. Le istituzioni politiche che funzionano sono quelle “inclusive”, cioè quelle in qualche modo più democratiche, di fatto si crea un circolo virtuoso per cui istituzioni politiche più inclusive generano istituzioni economiche più inclusive che a loro volta favoriscono lo sviluppo di istituzioni politiche più inclusive. Al contrario, le istituzioni estrattive, ovvero in cui solo una piccola élite ha il potere e si arricchisce, determinano società più povere e più instabili.
Nella prima parte del libro criticano altre teorie sul tema. La teoria geografica, ad esempio quella di Jared Diamond per cui contano in particolare la presenza di specie animali e vegetali adatte, per gli autori può spiegare le differenze solo in una fase pre-moderna. Criticano anche la teoria culturale che può spiegare solo alcune difficoltà e differenze, in particolare gli autori considerano errata la teoria religiosa di Weber sulla importanza del protestantesimo sullo sviluppo capitalistico. Analogamente la teoria dell'ignoranza dei governanti è poco credibile e accettabile.
Quindi il libro, per larga parte, è una analisi della storia di molte nazioni, ad esempio lo sviluppo della Gran Bretagna con la Gloriosa Rivoluzione e le differenti traiettorie delle esperienze coloniali tra il nord America e i sud America. Le testimonianze storiche spaziano dalla antica Roma sino alla evoluzione della Cina dagli antichi imperi sino ad adesso, tutti questi esempi storici dimostrano la tesi secondo gli autori. Sono le istituzioni politiche inclusive, con lo Stato che garantisce i diritti di proprietà e dei contratti, che favoriscono la nascita di istituzioni economiche più inclusive, queste a loro volta aprono la strada a due fondamentali fattori: lo sviluppo tecnologico e la istruzione.
Le istituzioni economiche inclusive sfruttano pertanto il potenziale dei mercati (inclusivi) stimolando la innovazione tecnologica che spinge a investire sulle persone e a mettere a frutto il talento e la abilità di un gran numero di individui che sono decisivi per la crescita economica. Si crea quindi una sinergia tra istituzioni politiche ed economiche. Al contrario società caratterizzate da politiche estrattive rifuggiranno da istituzioni economiche inclusive evitando di far avviare processi di distruzione creatrice.
Ma come nascono le traiettorie diverse dei paesi? Nascono da piccole differenze che dividono le nazioni e che entrano in gioco quando si presenta una congiuntura critica, ad esempio nel caso inglese lo sviluppo delle rotte atlantiche ha sviluppato in Inghilterra una élite di mercanti ricchi, numerosi e desiderosi di maggior potere politico e indipendenza dalla corona. 
Quindi i grandi cambiamenti sono l'esito della interazione tra istituzioni esistenti e congiunture critiche che modificano gli equilibri. Non esiste quindi un determinismo storico, le nazioni ricche sono riuscite grazie a un processo di circoli virtuosi che hanno generato una dinamica di feedback positivi incrementando la inclusività delle istituzioni, ma il processo non è cosi facile da avverarsi come vediamo.
In sintesi un libro interessante e ricco di testimonianze storiche, anche se nel complesso un poco ridondante. La teoria è sicuramente avvincente e su cui in buona parte concordo, ancorché un poco troppo semplicistica, non è comunque particolarmente innovativa per chi legge questo blog. La importanza delle istituzioni la ritroviamo negli scritti di Popper, che abbiamo spesso citato,  e la importanza della tecnologia e la stessa definizione di distruzione creatrice risentono chiaramente della influenza Schumpeteriana

giovedì 2 aprile 2020

Coronabond

La crisi economica che seguirà, quando finirà, la emergenza corona virus sarà molto grande. Un mese di fermo del PIL (circa 8%) sono 150 miliardi di euro per l'Italia; le previsioni sono difficili adesso, dipende dalla ripresa quando ci sarà e se recupererà in parte il terreno perduto, tenendo conto degli effetti collaterali di cali di domanda interna ed esterna. Credo che comunque per evitare cadute di PIL l'impegno del governo sarà superiore ai 100 miliardi, come reperirli? Se andiamo a debito significa ulteriore incremento di interessi da pagare, aumento del rapporto debito/PIL sia per l'aumento del primo sia per la diminuzione del denominatore, rischio di portarlo a > 150%, con ulteriore aumento del rischio e dello spread e spirale negativa anche perché la crescita del nostro paese ultimamente è stata asfittica. Se BCE fa acquisti di nostre emissioni di buoni per sopperire alla necessità lo spread potrebbe essere basso ma c'è sempre il rischio del mercato. Una ipotesi utile (ma anche questa difficilmente attuata) sarebbe che le quote di debito aggiuntivo siano interamente acquisite da BCE e sterilizzate nel suo bilancio per un bel pò, questo ci darebbe un po più di fiato. La ipotesi dei coronabond sono sicuro non si farà, ne tanto meno l'ipotesi fantascientifica che BCE stampi moneta direttamente, lasciamo stare MES o altro. Negli USA le cose sono  andate  diversamente nel 2008 e lo saranno anche adesso con la FED pronta a intervenire, d'altra parte visto che la moneta è ormai fiat (cioè creata dal nulla senza collegamento all'oro) la enorme quantità di liquidità immessa durante la crisi non ha causato alcun problema anzi è stata la soluzione a molti dei problemi di liquidità interni ed esterni (Europa) vedi libro di Tooze. La domanda che faccio a tutti quelli che hanno costruito l'Europa dell'euro, ma se non sfruttiamo la moneta, per quello che è e quando serve, che senso ha creare una moneta comune? Quindi come finirà: noi andremo a debito e spero che lo facciamo prima possibile in quantità adeguata e sopratutto non spendendo a caso i soldi (dare soldi a chi ne ha bisogno ma puntare anche sul rilancio della nostra economia); la BCE ci farà il favore di abbassare gli spread ma ci ritroveremo con un rapporto debito/pil peggiore e più difficilmente gestibile, la popolazione sarà molto ma molto arrabbiata, andranno al governo le destre (e che destra!) e a quel punto forse la Europa dell'euro sarà finita, bel capolavoro !

martedì 17 marzo 2020

P. Sestito, R. Torrini - Molto rumore per nulla-La parabola dell'Italia tra riforme abortite e ristagno- i

I due autori, entrambi economisti, lavorano  in Banca d'Italia. Il libro è molto ricco di informazioni e affronta molti temi. In particolare affronta il tema della produttività e del ristagno della nostra economia. L'analisi affronta molti aspetti dalla situazione delle imprese e del lavoro, il sistema burocratico, il sistema formativo. Inoltre, analizza anche le politiche effettuate e le svariate riforme proposte dalla politica sia per l'industria e sia per la Pubblica Amministrazione. Nel libro si analizza anche la situazione internazionale con la globalizzazione degli ultimi anni e anche la situazione della Unione Europea e gli influssi sulla nostra economia. La analisi svela le molte debolezze del nostro sistema industriale e dei suoi ritardi, la arretratezza della nostra pubblica amministrazione, le difficoltà del sistema scolastico e universitario, e infine anche  la scarsezza dei fondi per la ricerca. Vengono anche indicati alcuni suggerimenti per quanto riguarda la soluzione dei problemi evidenziati anche se  le proposte sono piuttosto generali ed indicative.
Nel complesso un libro interessante e di cui consiglio la lettura e anche ben documentato,  anche se per me molti dati e analisi sono noti. Sono abbastanza d'accordo con le analisi e in parte con le soluzioni indicate dove a mio parere prevale una approccio tendenzialmente liberista con comunque un buon equilibrio complessivo.

giovedì 12 marzo 2020

I conti del Coronavirus

In questo momento la emergenza è sanitaria e anche grave, senza allarmismi ma senza sottovalutazioni, come fatto da qualcuno inizialmente, dobbiamo tutti impegnarci per evitare che il contagio si diffonda a macchia d'olio,  evitando che la pressione sul sistema sanitario lo porti al collasso con un aumento dei decessi per impossibilità di curare le persone. Credo che al momento le misure prese siano giuste, evitiamo polemiche sul prima, ma la situazione è difficile e ci vorrà del tempo per normalizzarla. Purtroppo il tempo che passa significa attività ferme in parte o del tutto; considerato che il PIL italiano è 1800 miliardi di euro un punto percentuale di PIL sono 18 miliardi  viene subito che un mese di fermo di PIL sono 150 miliardi una cifra enorme. E' chiaro che le cifre stanziate sono ancora poco probabilmente servirà di più, e inoltre bisognerà spendere bene questi soldi non promettendo tutto a tutti, purtroppo si potrà solo limitare i danni. Capisco che bisogna spendere giustamente un po di soldi in sanità e aiuti vari per evitare licenziamenti di massa e chiusure di imprese, ma la contrazione ci sarà, basti pensare al solo turismo e anche se ci potrà essere un recupero bisognerà aspettare alla fine per fare i conti.
Detto ciò e che ho poca fiducia di come i nostri politici impiegano i soldi, spesso per mance elettorali che per interventi strutturali, si pone il problema della tenuta del sistema Italia. Una diminuzione del PIL e un aumento delle spese determina un aumento del rapporto deficit/PIL già elevato e ci espone a maggiore spese anche sul fronte degli interessi innescando un ulteriore spirale negativa. C'è solo un modo per evitare tutto ciò e visto la situazione dell'espansione del virus a tutta Europa sarebbe logico e inevitabile: un massiccio piano di intervento anche per investimenti finanziato dall'Europa (BCE, BEI o cosa si vuole). Il piano visti i numeri in gioco dovrebbe essere di dimensioni veramente imponenti. Se anche questo non accadrà penso che sia la fine dell'Europa fondata sull'euro, un Europa che non è stata in grado di coordinarsi neanche di fronte alla emergenza sanitaria.

lunedì 13 gennaio 2020

Adam Tooze - Crashed-How a Decade of Financial Crises Changed the World


Adam Tooze è docente di storia alla Columbia University ed autore di alcuni libri tra cui-Il prezzo dello sterminio-che fa una narrazione molto interessante della storia della economia nazista (libro che ho letto ma non recensito). In questo libro (tradotto in italiano come Lo Schianto) si rivolge alla storia recente quella che va dalla recente grande crisi finanziaria sino ai giorni nostri.
Il primo punto che l'autore vuole evidenziare è che la crisi, benché nata negli Stati Uniti, non può essere disgiunta dalla complessa ed enorme interconnessione tra il sistema finanziario americano e quello europeo. Infatti la crisi non è solo fondamentalmente una crisi americana causata dagli enormi sbilanciamenti commerciali con la Cina, aspetto esistente ma non così determinante, ma dovuta per la maggior parte all'enorme flusso di denaro proveniente dall'Europa che ha alimentato le costruzioni finanziarie sofisticate e truffaldine basate sui mutui “subprime” e sul mercato immobiliare americano. La parte relativa allo sviluppo della crisi negli Stati Uniti non aggiunge molto a quanto si sa (vedi ad esempio libro di Eichengreen), mentre più interessante l'analisi dei flussi finanziari tra Stati Uniti e Europa.
La cronaca del 2008 mette in luce come il primo paese a muoversi nei salvataggi fu il Regno Unito con al governo laburista di Gordon Brown, mentre negli Stati Uniti il primo piano di salvataggio proposto dal Tesoro (TARP) era stato affondato dai Repubblicani. Solo dopo un mese il piano di salvataggio americano (ricapitalizzazione delle banche) fu varato sempre grazie ai Democratici, con presidente Bush, e molto meno grazie ai Repubblicani.
Dato il blocco del mercato del credito e la necessità di ingenti fondi in dollari anche da parte delle banche europee, che avevano preso a prestito a breve ingenti quantità di dollari, la FED dovette aprire i cordoni della borsa con enormi quantità di prestiti di dollari (miliardi di dollari) a beneficio sia delle banche americane e sia europee, e in seguito anche con linee di credito alle banche centrali (BCE, Bank of England, ecc.) diventando la banca delle banche o il prestatore di ultima istanza del mondo, riaffermando sia il suo ruolo sia quello del dollaro come moneta di riserva mondiale (a dispetto quindi della crisi).
Intanto la crisi si era estesa all'Europa e le prime economie a subire il contagio furono quelle dell'est: Ungheria, Paesi Baltici ecc, con interventi di salvataggio del FMI. Anche la Cina fu colpita dalla crisi rispondendo con un piano di stimolo enorme sia con enormi progetti infrastrutturali e sia con una politica monetaria a sostegno delle banche, facendo della economia cinese il traino per il 2009 della economia mondiale per la prima volta nella storia.
Con la presidenza Obama si diede avvio ad un grande stimolo,  nel 2009, che diede impulso alla economia americana ma fu meno ingente in volume di quanto alcuni economisti progressisti avevano sperato; purtroppo a partire dalla Germania, e poi diffusosi in tutto il mondo, vennero adottate politiche di contenimento di budget statale che ovviamente si era pericolosamente impennato in tutte le nazioni, politiche che provocarono l'effetto di rallentare la ripresa.
Dopo aver narrato del salvataggio delle banche americane e della creazione della nuova regolamentazione finanziaria  con la voluminosa e complicata legge Dodd-Frank, il focus del libro si sposta impietosamente sulla eurozona. Nella eurozona assistiamo a una serie di scelte fallimentari operate dalla politica all'epoca guidata dal duo Merkel-Sarkozy. Si inizia con il primo salvataggio mal riuscito insieme al FMI della Grecia, indebitata fino al collo, grazie alla forte opposizione della Merkel (pressata internamente) ad ogni tentativo di salvataggio più ampio e coordinato. Nel 2011 anche se il picco della crisi era passato le difficoltà rimanevano. Negli Stati Uniti si rischia il blocco a causa delle divergenze tra Democratici e Repubblicani. In Europa la situazione peggiora, la Grecia è moribonda, la cura da cavallo ha ridotto il PIL per cui il debito continua ad aumentare, Papandreu propone un referendum e viene prontamente sostituito dal più malleabile Papademos. Anche l'Italia va in sofferenza a causa dell'alto debito e il duo Sharkozy Merkel da il benservito a Berlusconi sostituito dal bocconiano ed ex commissario europeo Monti.
La situazione economica europea continuò a peggiorare perché anche l'economia della Spagna era divenuta precaria, a causa della fine della bolla immobiliare e con le sue banche fortemente in crisi. La situazione politica per fortuna era cambiata, a Sarkozy era successo Hollande che ora cercava di coordinarsi con Monti e anche il nuovo governo spagnolo di Rajoy, ma, sopratutto, Draghi era divenuto presidente della BCE. Il suo famoso annuncio un po a sorpresa del “whatever it takes” riuscì a calmare finalmente gli animi ed avviare la situazione verso una normalizzazione, anche se attirò le solite critiche tedesche e di fatto i mezzi della BCE rimasero inizialmente comunque limitati.
Il libro prosegue nella narrazione dei fatti più recenti: dalla umiliazione di Tsipras, il percorso tortuoso del Regno Unito verso la Brexit fino alla elezione di Trump.
Pur essendo un libro molto voluminoso (oltre 600 pagine) è un libro che si legge piacevolmente, anche perché mescola aspetti economici ad altri più politici.
L'autore da molti giudizi nel libro, chi ne esce meglio è il trio economico americano Bernake (FED), Paulson (Tesoro) e Geithner (New York Fed). Ne esce abbastanza bene anche Obama, mentre l'autore è molto critico nei confronti dell'atteggiamento del partito repubblicano che ha assunto posizioni di retroguardia. L'Europa ovviamente non ne esce bene,  in particolare la dirigenza tedesca e anche la stessa Merkel, anche se condizionata dalla situazione interna. Forse con gli Stati Uniti l'autore si dimostra un  poco  troppo  tenero, perché comunque la enorme crisi è nata li dovuta ad una serie di gravi errori e mancati controlli. Inoltre, se è vero che si è riusciti ad evitare il peggio e la crisi è stata contenuta anche temporalmente, bisogna dire che nessuno del sistema finanziario ha veramente pagato il conto, anzi i banchieri coinvolti nel crack si sono concessi dei bonus vergognosi, mentre chi ha pagato il conto sono stati i cittadini e contribuenti che hanno pagato anche in termini di perdita di lavoro e di reddito.
Leggere questo libro, anche se conoscevo molti aspetti, mi ha comunque provocato rabbia e costernazione. La rabbia viene dal fatto che politici e molti economisti per anni ci hanno raccontato che il capitalismo era il migliore dei mondi possibili mentre, invece, ci hanno trascinato con le loro scelte scellerate in una della più gravi crisi mondiali (se calcoliamo i volumi in gioco e la estensione geografica è probabilmente peggiore di quella del '29).
La rabbia è anche causata dal fatto che a pagare siamo stati noi i cittadini e lavoratori che hanno pagato pesantemente mentre, come dimostrano i dati, l'1% più ricco ha continuato ad arricchirsi. La costernazione viene dal fatto che alla fine chi ci ha guadagnato è la destra che sfruttando le difficoltà e le paure dei cittadini ha raccolto consensi, anche se, come nel caso di Trump, poi alla fine le politiche che vengono adottate non sono veramente popolari ma favoriscono le solite élite.