Si tratta di un altro libro che essenzialmente è imperniato sulla crisi europea. Da una parte è critico con la visione ortodossa o liberista per cui la colpa principale sarebbe essenzialmente degli Stati troppo spendaccioni. Gli autori sono anche critici con la visione eterodossa della crisi (vedi ad esempio i libri di Bagnai). Secondo questa visione la colpa principale è da attribuirsi alla unione monetaria che ha acuito le divergenze dei paesi membri. Da un lato favorendo, con un cambio sottovalutato, la Germania che avrebbe anche praticato politiche di contenimento salariale. D'altra parte il sistema finanziario e bancario avrebbero favorito con la concessione di denaro l'indebitamento dei paesi del Sud (aumento del debito privato), grazie a questi due effetti si sarebbero determinati dei forti sbilanciamenti delle partite correnti (import/export commerciale). La crisi si sarebbe scatenata a seguito del “sudden-stop” dei finanziamenti che hanno provocato crisi di liquidità dei paesi del sud oltre a crisi bancarie, che con le politiche di austerità imposte (vedi Grecia) avrebbero determinato una ulteriore caduta del PIL.
Queste tesi per chi legge questo blog non sono particolarmente nuove. Gli autori però pur condividendo in parte questa visione ne criticano la assunzione che sia l'unica spiegazione e la ritengono troppo semplicistica.
In realtà gli autori evidenziano che il focus solo sulle partite correnti sarebbe eccessivo, in realtà le difficoltà dei paesi del sud derivano dagli eccessi della finanza e di libertà dei movimenti dei capitali che sono antecedenti alla introduzione dell'euro e che hanno ad esempio determinato la crisi dello SME. Inoltre, è cambiata anche negli ultimi decenni la struttura industriale della Germania. Questa ha visto crescere un decentramento, integrazione e diversificazione (industria transnazionale) di alcune catene produttive verso est che ha consentito di ridurre i costi. Per i paesi del sud questo ha comportato una diminuzione dell'export di prodotti intermedi verso la Germania con un ulteriore problema rappresentato dall'aumento della concorrenza cinese. Il sistema industriale e manifatturiero del sud si sarebbe in qualche modo impoverito: restringimento quantitativo e qualitativo. Quindi non è solo l'euro ad avere colpa e l'uscita dall'euro non risolverebbe le sottostanti problematiche strutturali, la svalutazione non risolverebbe i problemi, acuendo d'altra parte i problemi del costo delle materie prime, e non ridurrebbe neanche la austerità anzi l'aumenterebbe. Gli autori non vedono quindi nella uscita dell'euro come la panacea di tutti i mali, ma quali sono le alternative? La proposta di una moneta comune (Brunhoff) ovvero di una moneta circolante tra Stati come unità di conto e saldo solo dei rapporti di credito/debito sul modello del bancor keynesiano è ormai non più applicabile. Superare gli squilibri richiederebbe un autentica unione bancaria e fiscale, un aumento degli investimenti pubblici finanziati da eurobond, ma anche un intervento sul lato offerta e della struttura produttiva, cioè politiche a breve e scelte strategiche di medio-lungo termine. Ma la prospettiva della Brexit ha allontanato la possibilità degli Stati Uniti di Europa; un alternativa potrebbe essere un nucleo duro di paesi alla formazione di un governo politico sovranazionale ma, realisticamente, gli autori ammettono che non c'è un grande consenso politico e sociale a una significativa rinuncia alla sovranità nazionale. Se comunque l'euro dovesse disgregarsi non porterebbe a due aree (Stiglitz) ma solo a una dimensione nazionale che esaspererebbe la concorrenza distruttiva tra i paesi dell'unione.
Un libro quindi molto interessante e approfondito, anche se a volte dispersivo e non facile in alcuni passaggi per il lettore non esperto. Sono d'accordo che l'uscita dall'euro non è la soluzione, e che non c'è un problema solo di domanda ma anche di offerta, certo è che la situazione, come ammettono gli autori, è piuttosto ingarbugliata e non si vede una luce all'orizzonte, troppi errori sono stati fatti, sia in termini istituzionali sia economici nella risposta alla crisi, che hanno determinato un crollo di fiducia nelle istituzioni europee e una crescita del nazionalismo. Inoltre la Unione Europea soffre anche di un grosso deficit democratico oltre che di una scarsa visione economica.
Vedremo cosa ci diranno le elezione europee, se la crescita dei nazionalismi finirà per far crollare definitivamente il progetto europeo così malamente condotto negli ultimi decenni o se questo porterà a un ravvedimento delle élite europee, certo è che senza un processo che preveda anche la effettiva partecipazione democratica e consapevole dei cittadini non ci sono soluzioni a questa crisi in cui ci siamo avvitati.
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