Faccio una premessa: non credo che, come Italia, dovremmo fare i buonisti e accogliere senza controlli e regolamentazione gli immigrati. Il nostro welfare è già abbastanza in difficoltà, sovraccaricarlo e renderlo poco efficace non serve a noi italiani e nemmeno ai nuovi entranti. Capisco che l'italiano medio, che vede gironzolare immigrati sotto casa, non li veda proprio di buon occhio (soprattutto se molti media ci aggiungono un carico di notizie spesso ad arte confezionate), soprattutto se ha visto il suo reddito reale ridursi e magari ha un figlio disoccupato, quando poi, gli immigrati stessi, non avendo grandi speranze di trovare un lavoro, finiscono anche per delinquere. Sono anche in accordo con Salvini quando dice aiutiamoli a casa loro, salvo non dire che ci costerebbe molto di più (dei famosi 35 euro) ed è molto più complicato, sarebbe più onesto dire quello che realmente pensa: cioè statevene a casa vostra. Ma la domanda importante che bisogna porsi è chi ci guadagna in tutto ciò? Sicuramente direttamente chi gestisce i viaggi della speranza e chi gestisce la accoglienza (bel business), ma non va dimenticata la massima latina: divide et impera, cioè dividi e comanda, ever green delle élite dominanti. Infatti, da che mondo e mondo, la cosa più semplice, quando le cose vanno male, è di scaricare la colpa su un bel soggetto da mettere in mostra e alimentare la guerra tra poveri distogliendo l'attenzione dal vero obiettivo e creando anche competizione al ribasso. Come se la moderna peste (crisi economica) non fosse determinata dai batteri portati dai topi (sistema economico finanziario ed élite economico-politiche prone alla ideologia liberista) ma dagli untori.
Le idee degli economisti e dei filosofi politici, tanto quelle giuste quanto quelle sbagliate, sono più potenti di quanto comunemente si creda. In realtà il mondo è governato da poco altro. Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto. John Maynard Keynes
mercoledì 20 settembre 2017
martedì 19 settembre 2017
Paul Mason- Postcapitalism- A guide to our future (Postcapitalismo-una guida al nostro futuro- Il saggiatore)
Questo libro, uscito
solo recentemente in Italia, ha avuto un grande successo internazionale,
l’autore è un giornalista esperto di economia.
Il libro si svolge su piani
diversi affrontando tematiche storiche, sociologiche ed economiche. Il tema di
fondo da cui parte è che la nuova economia dell’informazione e di rete, fondata
sulla conoscenza, mina i presupposti stessi del capitalismo abbassando
sempre più i costi di produzione ed erodendo la capacità del mercato di formare
correttamente i prezzi; perché se il mercato si basa sulla scarsità,
l’informazione è invece abbondante. Dato che il capitalismo è in crisi l’autore
analizza le teorie sul capitalismo e le sue crisi, da Marx a Schumpeter
passando per Kondratiev, giungendo ad una sua sintesi. Il capitalismo è un
sistema adattativo complesso che però ha raggiunto i limiti della propria
capacità di adattamento; infatti è stato sempre in grado di adattarsi alle
crisi grazie alle resistenze della forza lavoro, ma i successi di queste
trasformazioni si devono principalmente allo Stato, che ha un ruolo
fondamentale per la nascita di un nuovo paradigma.
In questa ultima
fase però la resistenza dei lavoratori è debole e l’economia si è sbilanciata a
favore del capitale e quindi viene meno la spinta alla trasformazione. Il
capitale cerca di resistere alle spinte della rivoluzione tecnologica con nuovi
monopoli, il problema è che la tecnologia
che sostiene il capitalismo, e che lo ha reso globale, sta minando il capitalismo
stesso. Mason prevede che:
“Il capitalismo non sarà abolito con una marcia a tappe forzate ma grazie alla creazione di qualcosa di più dinamico, che inizialmente prenderà forma all’interno del vecchio sistema, passando quasi inosservato, ma che alla fine aprirà una breccia, ricostruendo l’economia intorno a nuovi valori e comportamenti. Lo chiameremo post-capitalismo”.
L’ultima parte del
libro indica quindi una serie di passi e soluzioni che ci porteranno al
post-capitalismo, ed è questa la parte più debole del libro, come spesso succede
ai libri che affrontano temi così globali. Le soluzioni sono in linea di
principio condivisibili ma, a mio parere, poco praticabili. Mason sostiene in sintesi che ci vuole più
intervento dello Stato che deve assumere anche il controllo totale della distribuzione dell’energia e della produzione a carbone (per
risolvere anche il problema ecologico) e controllare profondamente la finanza e
il sistema bancario, anche se non ciò non significa un completa sparizione del
mercato.
Complessivamente è
un libro che ho trovato molto valido, pieno riferimenti e considerazioni
interessanti, Mason riesce soprattutto ad affrontare tematiche complesse rendendole piacevoli
e quasi avvincenti come in un romanzo.
Alcune mie
considerazioni. Credo che Mason nelle conclusioni cada in contraddizione,
perché da una parte sostiene che il capitalismo è un sistema molto complesso,
mentre le sue soluzioni sono troppo semplicistiche. La tesi della resistenza
dei lavoratori e della società ai
cambiamenti non è nuova, la troviamo nel libro di Polanyi, La grande trasformazione,
in cui afferma che le società sono cambiate ma lo Stato è dovuto intervenire
per evitare le distruzioni sociali da parte dei meccanismi di mercato lasciati
a se stessi. Quindi sono d’accordo che lo Stato, al contrario di quello che
dicono i liberisti, è la soluzione e non
il problema. Ma quale Stato? Quello nazionale sta perdendo potere nei confronti
di un economia globalizzata e un sistema di regolazione e controllo globale non
esiste ed è di difficile realizzazione. Non credo poi che sia così facile
eliminare o sostituire certi meccanismi di mercato, credo invece che il
capitalismo abbia ancora un ruolo nel futuro, anche se è un istituzione umana e
come tale ha una sua fine, ma a mio parere non così a breve termine. Credo che
il problema della modificazione del clima non possa essere risolto dai meccanismi
di mercato, che non sono così efficienti come ci contrabbandano. Sicuramente la
tecnologia è un potente agente del cambiamento ma serve anche la politica.
Mancano soprattutto élite illuminate e preparate in grado di interpretare la
volontà dei cittadini e non condizionate dalle forze economiche e dalle
ideologie dominanti.
Le sfide aperte sono molte, come ho indicato nel mio libro, dalla gestione dei flussi finanziari
e monetari internazionali, gli squilibri economici tra i paesi, le crescenti
diseguaglianze, sino ad arrivare ai problemi di compatibilità tra sviluppo ed
ecologia. Serve un nuovo equilibrio tra democrazia e capitalismo, passando
attraverso il ruolo dello Stato, ma non esistono soluzioni facili e globali,
anzi credo che dovremmo porci obiettivi semplici e mirati di volta in volta e
affrontarli. Le conoscenze ci sono, i cittadini sono consapevoli, in larga maggioranza, di quali siano i loro interesse reali.
Fino ad ora è mancata una lungimiranza
delle élite, negli ultimi tempi ha trionfato il liberismo sfrenato, il ritorno
ad ideologie marxiste non è la soluzione, ma servono idee e persone nuove e queste, soprattutto,
preparate a gestire la complessità senza preconcetti.
giovedì 14 settembre 2017
Intervista esclusiva a John Maynard Keynes sull'Europa.
D. Buongiorno Lord Keynes, ci dispiace disturbarla ma vorremmo porgergli
alcune domande, in primo luogo cosa ne pensa della situazione dell’Europa e in
particolare dell’eurozona e delle politiche attuate?
R. Il problema che mi affligge di più nella situazione attuale è la
disoccupazione, la deflazione è disastrosa
per l’occupazione, l’inutilizzata capacità produttiva dei disoccupati non si accumula
a nostro credito in banca, si tramuta in spreco, è irrimediabilmente perduta.
D. Quindi quali sono i rimedi ?
R. L’intensità della produzione è
determinata in gran parte dalla previsione dei profitti reali. Il diffuso
timore di prezzi cadenti può bloccare il processo produttivo; la situazione può
aggravarsi ulteriormente in quanto la previsione del corso dei prezzi tende,
ove sia diffusa, a dare risultati ad un certo punto cumulativi. L’ammontare
complessivo degli investimenti è lungi dall’essere necessariamente pari al
volume complessivo dei risparmi, lo squilibrio fra i due è la radice di molti
nostri guai.
D. Scusi ma in questo momento in Europa si vede un
poco di ripresa quindi il QE di Draghi ha funzionato?
R. Un espansione del credito non è
scevra di rischi per la banca centrale fintanto che non si abbia la certezza
che esistono operatori interni pronti ad assorbirla. Un paese si arricchisce
per l’atto positivo di utilizzare il risparmio per aumentare la attrezzatura
produttiva del paese.
D. Quindi se ho capito bene lei propende per maggiori
investimenti, ma non c’è rischio di inflazione?
R. L’idea che una politica di spesa per
investimenti deve tradursi in inflazione avrebbe del vero se operassimo in
condizioni di boom, cosa da cui siamo ben lontani. Un maggior volume di credito bancario è probabilmente condizione sine
qua non per aumentare la occupazione, ma un piano di investimenti che lo
assorba è condizione sine qua non per perché l’espansione del credito non
presenti rischi. Inoltre un periodo di prezzi crescenti agisce da stimolo sull’impresa
ed è vantaggioso per gli imprenditori mentre la caduta dei valori monetari
scoraggia l’investimento e discredita l’impresa.
D. Quindi lei è contrario alle politiche di austerità
adottate?
R. Ciò di cui abbisogna in questo
momento non è stringere la cinghia ma creare una atmosfera di espansione di
attività. Non potete dare lavoro alla gente contraendo la spesa, mi piacerebbe
che si attuassero progetti di grandezza e magnificenza. I profitti dei
produttori di beni di consumo potrebbero ricostruirsi quando aumenti la quota
dei beni capitali, ma la quota di beni capitali non aumenterà se i redditi dei
produttori non riescono a conseguire un profitto.
D Quindi il piano di investimenti dovrebbe essere
pubblico, ma non si crea deficit?
R. Le conseguenze immediate di una
riduzione del deficit da parte del governo sono esattamente l’opposto di quelle
che si avrebbero se finanziassimo lavori pubblici. L’importante è che l’indebitamento si affronti allo scopo di
finanziare investimenti in opere che presentino un minimo di utilità. L’indebitamento
pubblico è il rimedio naturale per impedire che le perdite imprenditoriali
diventino una grave recessione, così forte da portare a una stasi della
produzione. (NDR: ad esempio in Italia abbiamo perso nella crisi il 25% della produzione industriale).
D. E delle riforme strutturali che ne pensa?
R. Ma se tutti tagliano i salari il
potere d’acquisto complessivo della comunità si riduce di tanto quanto si siano
ridotti i costi e nessuno ne tare vantaggio. E’ un illusione che gli
imprenditori possano automaticamente ristabilire l’equilibrio riducendo i costi
complessivi, la riduzione delle somme erogate a titolo di costo contraggono il
potere di acquisto dei percettori di reddito che sono gli acquirenti; non è
vero che quanto gli imprenditori erogano come costo di produzione rientri
necessariamente come ricavo da vendita dei beni prodotti, è caratteristica di
un boom che i ricavi eccedano i costi ed è caratteristica di una recessione che
i costi eccedano i ricavi.
D. Quindi più intervento dello Stato?
R. Le agenda più importanti
dello Stato riguardano le funzioni che cadono al difuori della sfera dell’individuo,
le decisioni che se non le assumesse lo Stato nessuno prenderebbe. L’importante
per il governo non è fare le cose che gli individui stanno facendo ma fare le
cose che non vengono fatte per niente. L’attuale organizzazione del mercato
degli investimenti di distribuire il risparmio non dovrebbe essere lasciata
interamente alla casualità del giudizio e del profitto privato. Migliorare la
tecnica del capitalismo moderno attraverso l’operare dell’azione pubblica.
D. Ma che ne pensa della creazione della moneta
unica?
R. Per i paesi che l’hanno adottata
è stata un rischio, la creazione di
moneta legale è stata ed è l’ultima riserva dei governi, nessuno Stato o
governo decreterà la propria bancarotta fino a che disporrà di questa
sovranità. Inoltre il tasso di cambio dipende dal rapporto dei prezzi interni e
quello dei prezzi esterni, ne consegue che il tasso di cambio può mantenersi
stabile soltanto se entrambi i livelli dei prezzi si mantengono stabili; ma il
livello dei prezzi esterni è fuori dal nostro controllo quindi dovremmo
accettare che il livello dei prezzi o il tasso di cambio subiscano l’influenza
esterna, ma se il livello dei prezzi esteri è instabile non potremmo mantenere
stabili il livello dei prezzi interni sia il tasso dei cambi. (NDR: cioè
se siamo vincolati a una moneta troppo
forte rischiamo di dover compensare con una svalutazione dei salari ).
D Quindi lei è pessimista?
R: No, le risorse e gli artifici dell’uomo
sono ancora fecondi e produttivi non meno di ieri. Il problema politico della
umanità consiste nel mettere insieme tre elementi: l’efficienza economica, la
giustizia sociale e la libertà individuale. Alla prima sono necessari senso
critico, prudenza e conoscenza tecnica; alla seconda spirito altruistico,
entusiasmo ed amore per l’uomo comune; alla terza tolleranza, ampiezza di vedute,
apprezzamento dei valori, della varietà e della indipendenza. Non dobbiamo
avere paura, non dobbiamo rinunciare ad essere aperti ad esperimenti nuovi,
liberi di intraprendere attività, di provare tutte le possibilità della vita.
Nota: tutte le frasi in corsivo sono originali di John Maynard Keynes tratte da Esortazioni e profezie.
venerdì 1 settembre 2017
J. Stiglitz - L’euro- Come una moneta comune minaccia il futuro dell’ Europa--Einaudi
Come
si intuisce dal titolo il tema del libro è l’euro e la Europa, ora chi legge questo blog
e le recensioni sa che di questo tema ne abbiamo ampiamente parlato, pertanto
il libro non contiene particolari novità su tema.
La
prima parte è una critica alla creazione della moneta unica con le modalità
adottate e delle successive politiche attuate dal 2008 per far fronte alla
crisi, alcune citazioni:
L’integrazione economica è progredita ma a maggiore velocità rispetto a quella politica;
L’euro è controproducente. L’eurozona ha fallito miseramente;
La Bce è nata con un difetto congenito […] il problema più grave è la assenza di controllo democratico. La Bce ha contribuito ad aggravare la crescente diseguaglianza;
La totale incapacità della Troika di comprendere l’economia soggiacente alla situazione;
L’austerità non ha mai funzionato. I salvataggi della Spagna, della Grecia e degli altri paesi sono apparsi mirati più a salvare le banche europee;
Le
soluzioni sono per l’autore due, perché continuare a galleggiare in questa situazione non serve.
La
prima è “più Europa” intesa non per forza una unione federale ma una serie di
misure indispensabili: unione bancaria, mutualizzazione del debito, politica
fiscale comune, distinguere spesa per investimenti da consumi, e molto altro
ancora.
La
seconda divorzio consensuale con la creazione di più aree euro, da una parte la
Germania e alcuni suoi alleati (la Francia ?), il resto da un'altra parte con la
creazione di tutta una serie di strumenti per evitare ulteriori disastri.
Si
intuisce che, anche preferendo la prima soluzione, Stiglitz capisca che sia
politicamente irrealizzabile, ma anche la seconda non è così immediata e
indolore, non si capisce bene nel libro la posizione che dovrebbero assumere in
particolare la Francia e anche forse l’Italia.
In sintesi la analisi delle criticità dell’eurozona è abbastanza nota, quella sulle soluzioni
contiene degli spunti comunque interessanti anche se alcune proposte sono forse
poco realistiche.
In
definitiva il libro è comunque scritto bene anche se a volte ripetitivo, lo
consiglio a chi non ha letto nessuno dei precedenti libri sul tema come buona
sintesi.