mercoledì 20 settembre 2017

Dagli all'untore

Faccio una premessa: non credo che, come Italia, dovremmo fare i buonisti e accogliere senza controlli e regolamentazione gli immigrati. Il nostro welfare è già abbastanza in difficoltà, sovraccaricarlo e renderlo poco efficace non serve a noi italiani e nemmeno ai nuovi entranti. Capisco che l'italiano medio, che vede gironzolare immigrati sotto casa, non li veda proprio di buon occhio (soprattutto se molti media ci aggiungono un carico di notizie spesso ad arte confezionate), soprattutto se ha visto il suo reddito reale ridursi e magari ha un figlio disoccupato, quando poi, gli immigrati stessi,  non avendo grandi speranze di trovare un lavoro, finiscono anche per delinquere. Sono anche in accordo con Salvini quando dice aiutiamoli a casa loro, salvo non dire che ci costerebbe molto di più (dei famosi 35 euro) ed è molto più complicato, sarebbe più onesto dire quello che realmente pensa: cioè statevene a casa vostra. Ma la domanda importante che bisogna porsi è chi ci guadagna in tutto ciò? Sicuramente direttamente chi gestisce i viaggi della speranza e chi gestisce la accoglienza (bel business), ma non va dimenticata la massima latina: divide et impera, cioè dividi e comanda, ever green delle élite dominanti. Infatti, da che mondo e mondo, la cosa più semplice, quando le cose vanno male, è di scaricare la colpa su un bel soggetto da mettere in mostra e alimentare la guerra tra poveri distogliendo l'attenzione dal vero obiettivo e creando anche competizione al ribasso. Come se la moderna peste (crisi economica) non fosse determinata dai batteri portati dai topi (sistema economico finanziario ed élite economico-politiche prone alla ideologia liberista) ma dagli untori.

martedì 19 settembre 2017

Paul Mason- Postcapitalism- A guide to our future (Postcapitalismo-una guida al nostro futuro- Il saggiatore)

Questo libro, uscito solo recentemente in Italia, ha avuto un grande successo internazionale, l’autore è un giornalista esperto di economia. 
Il libro si svolge su piani diversi affrontando tematiche storiche, sociologiche ed economiche. Il tema di fondo da cui parte è che la nuova economia dell’informazione e di rete, fondata sulla conoscenza, mina i presupposti stessi del capitalismo abbassando sempre più i costi di produzione ed erodendo la capacità del mercato di formare correttamente i prezzi; perché se il mercato si basa sulla scarsità, l’informazione è invece abbondante. Dato che il capitalismo è in crisi l’autore analizza le teorie sul capitalismo e le sue crisi, da Marx a Schumpeter passando per Kondratiev, giungendo ad una sua sintesi. Il capitalismo è un sistema adattativo complesso che però ha raggiunto i limiti della propria capacità di adattamento; infatti è stato sempre in grado di adattarsi alle crisi grazie alle resistenze della forza lavoro, ma i successi di queste trasformazioni si devono principalmente allo Stato, che ha un ruolo fondamentale per la nascita di un nuovo paradigma.
In questa ultima fase però la resistenza dei lavoratori è debole e l’economia si è sbilanciata a favore del capitale e quindi viene meno la spinta alla trasformazione. Il capitale cerca di resistere alle spinte della rivoluzione tecnologica con nuovi monopoli,  il problema è che la tecnologia che sostiene il capitalismo, e che lo ha reso globale, sta minando il capitalismo stesso. Mason prevede che:
 “Il capitalismo non sarà abolito con una marcia a tappe forzate ma grazie alla creazione di qualcosa di più dinamico, che inizialmente prenderà forma all’interno del vecchio sistema, passando quasi inosservato, ma che alla fine aprirà una breccia, ricostruendo l’economia intorno a nuovi valori e comportamenti. Lo chiameremo post-capitalismo”.
L’ultima parte del libro indica quindi una serie di passi e soluzioni che ci porteranno al post-capitalismo, ed è questa la parte più debole del libro, come spesso succede ai libri che affrontano temi così globali. Le soluzioni sono in linea di principio condivisibili ma, a mio parere, poco praticabili.  Mason sostiene in sintesi che ci vuole più intervento dello Stato che deve assumere anche il controllo totale della distribuzione dell’energia e della produzione a carbone (per risolvere anche il problema ecologico) e controllare profondamente la finanza e il sistema bancario, anche se non ciò non significa un completa sparizione del mercato.
Complessivamente è un libro che ho trovato molto valido, pieno riferimenti e considerazioni interessanti, Mason riesce soprattutto ad affrontare tematiche complesse rendendole piacevoli e quasi avvincenti come in un romanzo.

Alcune mie considerazioni. Credo che Mason nelle conclusioni cada in contraddizione, perché da una parte sostiene che il capitalismo è un sistema molto complesso, mentre le sue soluzioni sono troppo semplicistiche. La tesi della resistenza dei lavoratori  e della società ai cambiamenti non è nuova, la troviamo nel libro di Polanyi, La grande trasformazione, in cui afferma che le società sono cambiate ma lo Stato è dovuto intervenire per evitare le distruzioni sociali da parte dei meccanismi di mercato lasciati a se stessi. Quindi sono d’accordo che lo Stato, al contrario di quello che dicono i liberisti, è la soluzione e non il problema. Ma quale Stato? Quello nazionale sta perdendo potere nei confronti di un economia globalizzata e un sistema di regolazione e controllo globale non esiste ed è di difficile realizzazione. Non credo poi che sia così facile eliminare o sostituire certi meccanismi di mercato, credo invece che il capitalismo abbia ancora un ruolo nel futuro, anche se è un istituzione umana e come tale ha una sua fine, ma a mio parere non così a breve termine. Credo che il problema della modificazione del clima non possa essere risolto dai meccanismi di mercato, che non sono così efficienti come ci contrabbandano. Sicuramente la tecnologia è un potente agente del cambiamento ma serve anche la politica. Mancano soprattutto élite illuminate e preparate in grado di interpretare la volontà dei cittadini e non condizionate dalle forze economiche e dalle ideologie dominanti
Le sfide aperte sono molte, come ho indicato nel mio libro, dalla gestione dei flussi finanziari e monetari internazionali, gli squilibri economici tra i paesi, le crescenti diseguaglianze, sino ad arrivare ai problemi di compatibilità tra sviluppo ed ecologia. Serve un nuovo equilibrio tra democrazia e capitalismo, passando attraverso il ruolo dello Stato, ma non esistono soluzioni facili e globali, anzi credo che dovremmo porci obiettivi semplici e mirati di volta in volta e affrontarli. Le conoscenze ci sono, i cittadini sono consapevoli, in larga maggioranza, di quali siano i loro interesse reali. 
Fino ad ora è mancata una lungimiranza delle élite, negli ultimi tempi ha trionfato il liberismo sfrenato, il ritorno ad ideologie marxiste non è la soluzione, ma servono idee e persone nuove e queste, soprattutto, preparate a gestire la complessità senza preconcetti.

giovedì 14 settembre 2017

Intervista esclusiva a John Maynard Keynes sull'Europa.


D. Buongiorno Lord Keynes, ci dispiace disturbarla ma vorremmo porgergli alcune domande, in primo luogo cosa ne pensa della situazione dell’Europa e in particolare dell’eurozona e delle politiche attuate?
R. Il problema che mi affligge di più nella situazione attuale è la disoccupazione, la deflazione è disastrosa per l’occupazione, l’inutilizzata capacità produttiva dei disoccupati non si accumula a nostro credito in banca, si tramuta in spreco, è irrimediabilmente perduta.
D. Quindi quali sono i rimedi ?
R. L’intensità della produzione è determinata in gran parte dalla previsione dei profitti reali. Il diffuso timore di prezzi cadenti può bloccare il processo produttivo; la situazione può aggravarsi ulteriormente in quanto la previsione del corso dei prezzi tende, ove sia diffusa, a dare risultati ad un certo punto cumulativi. L’ammontare complessivo degli investimenti è lungi dall’essere necessariamente pari al volume complessivo dei risparmi, lo squilibrio fra i due è la radice di molti nostri guai.
D. Scusi ma in questo momento in Europa si vede un poco di ripresa quindi il QE di Draghi ha funzionato?
R. Un espansione del credito non è scevra di rischi per la banca centrale fintanto che non si abbia la certezza che esistono operatori interni pronti ad assorbirla. Un paese si arricchisce per l’atto positivo di utilizzare il risparmio per aumentare la attrezzatura produttiva del paese.
D. Quindi se ho capito bene lei propende per maggiori investimenti, ma non c’è rischio di inflazione?
R. L’idea che una politica di spesa per investimenti deve tradursi in inflazione avrebbe del vero se operassimo in condizioni di boom, cosa da cui siamo ben lontani. Un maggior volume di credito bancario è probabilmente condizione sine qua non per aumentare la occupazione, ma un piano di investimenti che lo assorba è condizione sine qua non per perché l’espansione del credito non presenti rischi. Inoltre un periodo di prezzi crescenti agisce da stimolo sull’impresa ed è vantaggioso per gli imprenditori mentre la caduta dei valori monetari scoraggia l’investimento e discredita l’impresa.
D. Quindi lei è contrario alle politiche di austerità adottate?
R. Ciò di cui abbisogna in questo momento non è stringere la cinghia ma creare una atmosfera di espansione di attività. Non potete dare lavoro alla gente contraendo la spesa, mi piacerebbe che si attuassero progetti di grandezza e magnificenza. I profitti dei produttori di beni di consumo potrebbero ricostruirsi quando aumenti la quota dei beni capitali, ma la quota di beni capitali non aumenterà se i redditi dei produttori non riescono a conseguire un profitto.

D Quindi il piano di investimenti dovrebbe essere pubblico, ma non si crea deficit?
R. Le conseguenze immediate di una riduzione del deficit da parte del governo sono esattamente l’opposto di quelle che si avrebbero se finanziassimo lavori pubblici. L’importante è che l’indebitamento si affronti allo scopo di finanziare investimenti in opere che presentino un minimo di utilità. L’indebitamento pubblico è il rimedio naturale per impedire che le perdite imprenditoriali diventino una grave recessione, così forte da portare a una stasi della produzione. (NDR: ad esempio in Italia abbiamo perso nella crisi  il 25% della produzione industriale).
D. E delle riforme strutturali che ne pensa?
R. Ma se tutti tagliano i salari il potere d’acquisto complessivo della comunità si riduce di tanto quanto si siano ridotti i costi e nessuno ne tare vantaggio. E’ un illusione che gli imprenditori possano automaticamente ristabilire l’equilibrio riducendo i costi complessivi, la riduzione delle somme erogate a titolo di costo contraggono il potere di acquisto dei percettori di reddito che sono gli acquirenti; non è vero che quanto gli imprenditori erogano come costo di produzione rientri necessariamente come ricavo da vendita dei beni prodotti, è caratteristica di un boom che i ricavi eccedano i costi ed è caratteristica di una recessione che i costi eccedano i ricavi.
D. Quindi più intervento dello Stato?
R. Le agenda più importanti dello Stato riguardano le funzioni che cadono al difuori della sfera dell’individuo, le decisioni che se non le assumesse lo Stato nessuno prenderebbe. L’importante per il governo non è fare le cose che gli individui stanno facendo ma fare le cose che non vengono fatte per niente. L’attuale organizzazione del mercato degli investimenti di distribuire il risparmio non dovrebbe essere lasciata interamente alla casualità del giudizio e del profitto privato. Migliorare la tecnica del capitalismo moderno attraverso l’operare dell’azione pubblica.
D. Ma che ne pensa della creazione della moneta unica?
R.  Per i paesi che l’hanno adottata è stata un rischio, la creazione di moneta legale è stata ed è l’ultima riserva dei governi, nessuno Stato o governo decreterà la propria bancarotta fino a che disporrà di questa sovranità. Inoltre il tasso di cambio dipende dal rapporto dei prezzi interni e quello dei prezzi esterni, ne consegue che il tasso di cambio può mantenersi stabile soltanto se entrambi i livelli dei prezzi si mantengono stabili; ma il livello dei prezzi esterni è fuori dal nostro controllo quindi dovremmo accettare che il livello dei prezzi o il tasso di cambio subiscano l’influenza esterna, ma se il livello dei prezzi esteri è instabile non potremmo mantenere stabili il livello dei prezzi interni sia il tasso dei cambi. (NDR: cioè se siamo vincolati a una  moneta troppo forte rischiamo di dover compensare con una svalutazione dei salari ).
D Quindi lei è pessimista?
R: No, le risorse e gli artifici dell’uomo sono ancora fecondi e produttivi non meno di ieri. Il problema politico della umanità consiste nel mettere insieme tre elementi: l’efficienza economica, la giustizia sociale e la libertà individuale. Alla prima sono necessari senso critico, prudenza e conoscenza tecnica; alla seconda spirito altruistico, entusiasmo ed amore per l’uomo comune; alla terza tolleranza, ampiezza di vedute, apprezzamento dei valori, della varietà e della indipendenza. Non dobbiamo avere paura, non dobbiamo rinunciare ad essere aperti ad esperimenti nuovi, liberi di intraprendere attività, di provare tutte le possibilità della vita.

Nota: tutte le frasi in corsivo sono originali di John Maynard Keynes tratte da Esortazioni e profezie.

venerdì 1 settembre 2017

J. Stiglitz - L’euro- Come una moneta comune minaccia il futuro dell’ Europa--Einaudi

Come si intuisce dal titolo il tema del libro è l’euro e la Europa, ora chi legge questo blog e le recensioni sa che di questo tema ne abbiamo ampiamente parlato, pertanto il libro non contiene particolari novità su tema.
La prima parte è una critica alla creazione della moneta unica con le modalità adottate e delle successive politiche attuate dal 2008 per far fronte alla crisi, alcune citazioni:
L’integrazione economica è progredita  ma a maggiore velocità rispetto a quella politica;
L’euro è controproducente. L’eurozona ha fallito miseramente;
La Bce è nata con un difetto congenito […] il problema più grave è la assenza di controllo democratico. La Bce ha contribuito ad aggravare la crescente diseguaglianza;
La totale incapacità della Troika di comprendere l’economia soggiacente alla situazione;
L’austerità non ha mai funzionato. I salvataggi della Spagna, della Grecia e degli altri paesi sono apparsi mirati più a salvare le banche europee;
Le soluzioni sono per l’autore due, perché continuare a  galleggiare in questa situazione non serve.
La prima è “più Europa” intesa non per forza una unione federale ma una serie di misure indispensabili: unione bancaria, mutualizzazione del debito, politica fiscale comune, distinguere spesa per investimenti da consumi, e molto altro ancora.
La seconda divorzio consensuale con la creazione di più aree euro, da una parte la Germania e alcuni suoi alleati (la Francia ?), il resto da un'altra parte con la creazione di tutta una serie di strumenti per evitare ulteriori disastri.
Si intuisce che, anche preferendo la prima soluzione, Stiglitz capisca che sia politicamente irrealizzabile, ma anche la seconda non è così immediata e indolore, non si capisce bene nel libro la posizione che dovrebbero assumere in particolare la Francia e anche forse l’Italia.
In sintesi  la analisi delle criticità dell’eurozona  è abbastanza nota, quella sulle soluzioni contiene degli spunti comunque interessanti anche se alcune proposte sono forse poco realistiche. 

In definitiva il libro è comunque scritto bene anche se a volte ripetitivo, lo consiglio a chi non ha letto nessuno dei precedenti libri sul tema come buona sintesi.