Karl
Marx nacque in Germania, dove si laureò in filosofia. Dedicò inizialmente la sua vita al giornalismo e, successivamente,
alla attività politica e pubblicistica.
A causa delle sue idee girovagò come esule per l’Europa, vivendo a Parigi per
un lungo periodo, ma trascorse la parte finale della sua vita a Londra dove scrisse
le sua opera principale: Il Capitale[1].
Parlare
di Marx è indubbiamente difficile, il suo pensiero molto caratterizzato
politicamente è stato oggetto o di grande entusiasmo sino alla mitizzazione da
parte dei suoi fautori, e di feroci critiche e attacchi da parte degli
avversari. Il suo pensiero e la sua opera, comunque, hanno innegabilmente e
pesantemente influito per oltre un secolo sulle vicende storiche europee e
mondiali. Forse solo adesso, dopo la caduta dell’Impero Sovietico e la
trasformazione economica della Cina, è possibile parlarne in maniera più
distaccata.
Marx
fu, come accennato, non solo un economista ma anche un filosofo, un sociologo,
uno storico e un rivoluzionario, pertanto una trattazione completa della sua
opera esula degli scopi di questo testo e quindi ci soffermeremo soprattutto,
ben consci dei limiti di tale approccio, sugli aspetti economici del suo pensiero.[2]
Se
da un punto di vista politico fu un rivoluzionario, dal punto di vista
economico il suo pensiero viene comunque
inserito, dalla maggioranza degli storici economici, all’interno della economia
classica.
Per
quanto attiene la sua teoria del valore,
si può dire che riprende essenzialmente quella di Ricardo, infatti, la sua è
una teoria del valore-lavoro. La teoria del valore-lavoro di Marx è molto più
articolata e complessa di quella di Ricardo, pertanto qui ci limiteremo a una sintesi dei principali
aspetti.
Il valore di una merce per Marx è la somma di tre componenti. Il costo dei mezzi di produzione, che sono comunque lavoro (lavoro morto lo definisce), il quale viene pagato in anticipo dal capitalista che, d’altra parte, anticipa il pagamento del lavoro (salario), seconda componente. La terza componente è quella che Marx definisce plus-lavoro. Questa è la parte del lavoro che viene impiegata nella produzione ma non viene pagata ai lavoratori, in quanto il capitalista retribuisce solo una parte del lavoro[3] impiegato nel processo produttivo. Questa componente, quindi, rappresenta un’appropriazione del capitalista, ovvero un vero e proprio sfruttamento dei lavoratori.
La
teoria del valore di Marx può quindi essere così sintetizzata:Il valore di una merce per Marx è la somma di tre componenti. Il costo dei mezzi di produzione, che sono comunque lavoro (lavoro morto lo definisce), il quale viene pagato in anticipo dal capitalista che, d’altra parte, anticipa il pagamento del lavoro (salario), seconda componente. La terza componente è quella che Marx definisce plus-lavoro. Questa è la parte del lavoro che viene impiegata nella produzione ma non viene pagata ai lavoratori, in quanto il capitalista retribuisce solo una parte del lavoro[3] impiegato nel processo produttivo. Questa componente, quindi, rappresenta un’appropriazione del capitalista, ovvero un vero e proprio sfruttamento dei lavoratori.
Valore della merce = mezzi
di produzione + salario + plusvalore.
I
mezzi di produzione vengono definiti
anche come capitale costante (C),
mentre il salario pagato, che è comunque anticipato come capitale, viene
definito come capitale variabile (V),
quindi in sintesi:
Valore della merce = C+V+S
( dove S è il plus-valore).
Marx
definisce composizione organica del capitale il rapporto C/V tra capitale
costante e variabile, e come saggio di profitto (S/C+V), il rapporto tra
guadagno (plusvalore) e capitale anticipato totale.
Con
alcuni passaggi matematici[4]
si può dimostrare che, date queste
relazioni, il saggio di profitto è inversamente proporzionale alla
composizione organica del capitale e quindi, se aumenta la composizione
organica del capitale, diminuisce il saggio di profitto.
La teoria del valore di Marx, anche se più articolata di quella di Ricardo, rimane una teoria del valore-lavoro. La differenza è che Marx, in base alla sua definizione, arriva a dimostrare che il sistema capitalistico fa sì che il capitalista stesso divenga espropriatore di una parte del lavoro della classe lavoratrice, pertanto la sua conclusione è che per porre fine a questa espropriazione, «sfruttamento dell’uomo sull’uomo», è necessario passare a una società i cui mezzi di produzione siano collettivi.
Uno degli aspetti più innovativi e con ricadute più importanti negli sviluppi successivi è quella parte del pensiero di Marx che tratta dello sviluppo economico o, in altri termini, del ciclo economico.
Il punto di partenza è la spinta, nella società industriale, alla concorrenza che determina la ricerca costante, da parte dei capitalisti, della introduzione di nuove tecnologie e modalità produttive per espandere la produzione e aumentare i profitti. Marx asserisce che la “composizione organica del capitale” tende a crescere, data la spinta ad accrescere la produttività. Questo aspetto sembrerebbe contrastare con la precedente relazione che afferma che il saggio di profitto tende a decrescere con l’aumentare della composizione organica. Per spiegare questa apparente contraddizione Marx, nel III capitolo del Capitale[5], ricorre alla teoria dei prezzi di produzione. La teoria si basa sulla ipotesi che il saggio di profitto e il saggio di sfruttamento[6] per effetto della concorrenza siano uniformi in tutta l’industria.
La teoria del valore di Marx, anche se più articolata di quella di Ricardo, rimane una teoria del valore-lavoro. La differenza è che Marx, in base alla sua definizione, arriva a dimostrare che il sistema capitalistico fa sì che il capitalista stesso divenga espropriatore di una parte del lavoro della classe lavoratrice, pertanto la sua conclusione è che per porre fine a questa espropriazione, «sfruttamento dell’uomo sull’uomo», è necessario passare a una società i cui mezzi di produzione siano collettivi.
Uno degli aspetti più innovativi e con ricadute più importanti negli sviluppi successivi è quella parte del pensiero di Marx che tratta dello sviluppo economico o, in altri termini, del ciclo economico.
Il punto di partenza è la spinta, nella società industriale, alla concorrenza che determina la ricerca costante, da parte dei capitalisti, della introduzione di nuove tecnologie e modalità produttive per espandere la produzione e aumentare i profitti. Marx asserisce che la “composizione organica del capitale” tende a crescere, data la spinta ad accrescere la produttività. Questo aspetto sembrerebbe contrastare con la precedente relazione che afferma che il saggio di profitto tende a decrescere con l’aumentare della composizione organica. Per spiegare questa apparente contraddizione Marx, nel III capitolo del Capitale[5], ricorre alla teoria dei prezzi di produzione. La teoria si basa sulla ipotesi che il saggio di profitto e il saggio di sfruttamento[6] per effetto della concorrenza siano uniformi in tutta l’industria.
Si
può dimostrare in base a queste ipotesi (vedi nota [7])
che le industrie con una maggiore composizione organica sono proprio quelle che
riescono ad ottenere i prezzi (di
produzione) più alti e quindi un profitto maggiore.
A
questo punto possiamo illustrare la sua teoria del ciclo economico. In una prima
fase l’aumento della produzione conduce a una richiesta di maggiore mano
d’opera con conseguenti richieste di aumenti salariali. Tale aumento di costi,
e quindi di prezzi, conduce i capitalisti a introdurre ulteriori miglioramenti
produttivi e pertanto ad un aumento della composizione organica che, a sua
volta, tende a fare uscire mano d’opera dal processo produttivo e a ingrossare
le fila di quello che Marx definisce «l’esercito
dei lavoratori di riserva».
Marx chiarisce che all’interno dello scenario economico agiscono più “forze antagoniste”[8] che possono contrastare nel breve periodo queste tendenze, di fatto si hanno una serie di cicli economici con fasi di aumenti di produzione, aumenti di meccanizzazione produttiva e con crisi di sovrapproduzione.
Marx chiarisce che all’interno dello scenario economico agiscono più “forze antagoniste”[8] che possono contrastare nel breve periodo queste tendenze, di fatto si hanno una serie di cicli economici con fasi di aumenti di produzione, aumenti di meccanizzazione produttiva e con crisi di sovrapproduzione.
La
tendenza (Marx infatti afferma che la
legge della caduta dei profitti è tendenziale) come abbiamo visto è di un continuo aumento della composizione
organica del capitale che porta alla diminuzione del saggio di profitto, cosiddetta
“legge tendenziale della caduta del profitto”,
il risultato finale e irreversibile è quello che porta alla concentrazione del
capitale e all’impoverimento della classe lavoratrice, e che deve quindi
condurre alla caduta del sistema capitalistico con la sua sostituzione con un
sistema comunista.
Più
precisamente, in una prima fase, si avrebbe la cosiddetta “dittatura del
proletariato”, in cui verrebbe attuata la socializzazione dei mezzi di
produzione; a questo periodo, una volta abolita la proprietà e quindi anche le
classi, sarebbe seguita una società che non avrebbe avuto più necessità dello
Stato.
L’opera
di Marx è di per sé molto vasta, se a ciò aggiungiamo gli scritti successivi,
dei fautori e dei critici, la quantità di documentazione diventa sterminata, è evidente che non è
possibile con i brevi cenni che ho esposto dare delle sue teorie una rappresentazione
esaustiva.
Certo
è che l’opera di Marx risulta al tempo stesso “grandiosa” e “seducente”. Grandiosa
perché fa rientrare in un disegno complessivo e razionale aspetti economici,
storici e sociologici. Seducente perché presenta ad una classe, indubbiamente
all’epoca sofferente e maggioritaria, un destino storico eroico e
irreversibile. Se a questo uniamo una capacità ed efficacia di linguaggio,
appare evidente come le sue teorie, con la loro carica “messianica”, abbiano
avuto così presa e diffusione («Marx è un profeta» afferma Schumpeter [9]).
Altrettanto numerosi e forti sono stati,
comunque, gli avversari con critiche, sia di natura politica che strettamente
tecnica. Ci
limiteremo solo ad alcune osservazioni e solo sugli aspetti strettamente
tecnico-economici.
La
sua teoria del valore, come anche quelle degli altri autori citati, è stata
criticata sul piano tecnico e logico,
ed in particolare vedremo più avanti i risultati sul tema
dell’analisi di Sraffa.
Per
quanto riguarda la previsione di un
continuo impoverimento delle classi lavoratrici, questa non è avvenuta, così come predetto da Marx, e
neanche la conseguente e inevitabile caduta del sistema capitalistico che,
comunque, ha indubbiamente attraversato
crisi profonde come vediamo tra l’altro attualmente.
Se
analizziamo poi gli esperimenti di “socialismo reale” che sono stati attuati, questi
si sono realizzati in società prevalentemente agricole e poco sviluppate industrialmente, contrariamente a
quanto ipotizzato da Marx:
Il
marxismo [...] predisse che il capitalismo avrebbe portato ad una miseria
sempre crescente [...] e che ciò sarebbe accaduto, prima che altrove, in
nazioni tecnicamente più sviluppate [...] sennonché la (cosiddetta) rivoluzione
socialista si ebbe la prima volta in una delle nazioni tecnicamente più
arretrate[10].
Per
concludere, questo rapido e sintetico accenno alle teorie di Marx, non si può
comunque negare la importanza e rilevanza delle sue idee nella storia del
pensiero economico, come hanno riconosciuto anche i più critici, come Karl
Popper: «La scienza progredisce attraverso tentativi ed errori. Marx tentò, e
benché abbia sbagliato nelle dottrine fondamentali, non ha tentato invano. Egli
ci ha aperto gli occhi e ce li ha resi più acuti in molti modi»[11].
[1] K.Marx, Il Capitale, Critica dell’Economia Politica, Editori Riuniti, Roma,1964.
[2] Lo storico Mark Blaug sostiene, comunque
in, Great Economists before Keynes, che
la opera di Marx è principalmente un’opera economica.
[3]Marx per precisione fa una distinzione
sottile tra ”forza-lavoro”, capacità potenziale dei lavoratori di dispiegare il
lavoro, che è la “merce” che acquistano i capitalisti, e il “lavoro” inteso come
lavoro effettivamente svolto nel processo produttivo. Per Marx inoltre, come per
tutti gli economisti classici, i lavoratori vengono pagati al “livello di
sussistenza” cioè al livello in
grado di garantire i loro bisogni e mantenersi in grado di lavorare, livello che
risulta dipendente dalle condizioni storiche.
[4] Saggio di profitto = S/C+V, se dividiamo
numeratore e denominatore per V otteniamo S/V/q+1 , ove q=C/V ovvero la
composizione organica del capitale.
[5]Tale parte del Capitale fu terminata dopo la morte di Marx a cura di Engels, suo
amico, compagno di lotta e benefattore
[6] Il saggio di sfruttamento è il rapporto
tra plusvalore e capitale variabile S/V.
[7] Grazie
a questa teoria, Marx, dimostra che il
prezzo a cui si vendono le merci non è esattamente il valore definito
dalla teoria del valore (!), ma determinato
dal costo di produzione (C+V), a cui si
aggiunge una quota di guadagno che è proporzionale al profitto medio o prevalente dell’intera industria (R), il prezzo di
produzione risulta quindi essere = C+V+R*(C+V), dove C capitale costante, V capitale
variabile e R è il profitto medio o prevalente nell’industria.
Esempio in tabella seguente.
[8]
Come “forze antagoniste” possiamo citare l’aumento dell’orario di lavoro
che aumenta il “plusvalore”, o l’aumento di produttività e quindi diminuzione
dei costi nel settore, ad esempio, di produzione dei macchinari (capitale
costante).
[9] A.Schumpeter, Capitalismo, socialismo e democrazia, Etas, Milano,2001.
[10] K.Popper, The philosophy of
Karl Popper, The library of living philosophers, Open Court
Publishing Co,U.S., 1977, II vol.
[11] K.Popper,
La società aperta, Armando, 1996,
cap. II, pp. 414-415 .