E' indubbio che il problema della immigrazione stia diventando sempre più pressante e problematico anche se, nonostante stiano crescendo i flussi, ancora i numeri sono gestibili: 200.000 immigrati in un anno per un paese come l'Italia che ha 60 milioni di abitanti, un PIL di 1600 miliardi non sono, con un poco di organizzazione, un problema insormontabile, semmai il problema è che non siamo tanto organizzati neanche per altro. Certo che, in prospettiva, il problema c'è e qui viene l'aggancio con lo sviluppo. Solo alcuni paesi, infatti, hanno conosciuto lo sviluppo, inizialmente erano molto pochi e solo in Occidente e poi, piano piano, se ne stanno aggiungendo altri con gradi di sviluppo e benessere diversi. Il problema è che sono moltissimi ancora quelli che non ci sono riusciti. La teoria ci dice che ci sono alcuni elementi che sono necessari per innescare la crescita, ma la pratica ci dimostra che solo alcuni ci riescono. A questo proposito è illuminante la storia del Giappone, un paese per secoli isolato e con un classe dominante legata alla tradizione (gli Shogun) che ne hanno impedito lo sviluppo. E' stata poi la rivoluzione Meiji, a meta '800, che imponendo una modernizzazione del paese, nel solco tracciato dalle potenze occidentali, ha consentito al Giappone di diventare per lungo tempo il paese più sviluppato e di riferimento dell'Asia. Come vedete gli aspetti politici e istituzionali hanno giocato un ruolo determinante e ne troviamo altri esempi. Come ho detto gli ingredienti per la crescita sono noti e presuppongono: uno Stato efficiente con una buona burocrazia, un sistema giuridico appropriato, una buon livello culturale e professionale della popolazione ecc. Come vedete sono elementi che non è facile costruire e per cui ci vuole tempo e molto lavoro e, tra l'altro, ci vuole anche una politica progressiva e che si adatti anche alle specificità della nazione in esame; le ricette preconfezionate e uguali per tutti come quelle che hanno proposto spesso FMI e Banca Mondiale, sono per lo più un errore. Quindi servirebbe un aiuto in questo senso. Mi pare che l'Occidente, USA principalmente ma anche i paesi europei, non hanno fatto molto di tutto questo mirando solo a interventi qua e la, dettati da interessi a breve, e tra l'altro spesso disastrosi, tanto per citare Iraq ma anche la Libia. Tutto ciò per dire che alla fine, se si riesce nel tempo a far crescere i paesi non sviluppati, con una strategia di lungo periodo, come ha dimostrato la storia, i vantaggi sono per entrambi, evitando così le motivazioni ad esodi di massa. L'alternativa è erigere muri che, oltre a costare anche solo per manutenzione e controllo, non credo siano a lungo gestibili. Il problema politico è che la popolazione tende a preferire gli sbarramenti per paura e quindi le élite politiche non hanno grande interesse a breve di perseguire altre politiche. Ovviamente, nel breve, bisogna porre dei limiti ai flussi evitando le tragedie, ma solo una strategia di sviluppo può risolvere il problema. Obiezione di molti: ma dopo li prendiamo i soldi visto che non riusciamo a dar neanche del lavoro ai nostri? Effettivamente è chiaro che il problema si pone ma, da una parte, possiamo vederlo come una grande opportunità, molti degli interventi poi sono di carattere istituzionale e culturale e non solo economico, inoltre, i paesi in via di sviluppo spesso hanno delle grandi ricchezze in termini di risorse e, se non ci limitiamo a rapinargliele come si è fatto volentieri, forse troviamo un ragionevole punto di equilibro tra dare ed avere.
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