I
due autori del libro, Massimo Amato e Luca Fantacci, insegnano entrambi Storia
economica alla Università Bocconi e quindi non possono essere accusati di essere dei “veterocomunisti”. Il loro libro
è un attacco, come recita il titolo, non tanto al mercato bensì al capitalismo
ed in particolare alla finanza. Comunque le loro accuse non sono rivolte alla finanza in generale, ma ai mercati finanziari e alla finanza che è emersa negli ultimi decenni. Il loro atto di accusa è molto netto:
"Il dominio dei mercati finanziari è politicamente illegittimo, economicamente dannoso e umanamente aberrante".
Infatti, la finanza dovrebbe servire alla economia reale, le imprese, mentre è diventata fine a se stessa, fare denaro con il denaro, generando bolle speculative che hanno generato la crisi e inoltre ha usurpato lo spazio della politica. Gli autori quindi criticano questa finanza che fa "mercato di ciò che merce non è, ossia della moneta e del credito", infatti il credito è essenzialmente una relazione sociale e cooperativa tra creditore e debitore. Gli autori ribadiscono, inoltre, che mercato e capitalismo non sono affatto sinonimi e dire di no ai mercati finanziari non significa rinunciare al mercato, anche perché l'economia non può crescere senza il sostegno della finanza.
Il problema fondamentale è quello che Keynes definiva "il feticcio della moneta" ovvero per la liquidità, che è il germe di tutti i mali e finisce per far diventare "liquido" anche il lavoro, e che "se si vuole resistere alla mercificazione del lavoro occorre rifiutare la mercificazione della moneta e del credito". Il problema è sopratutto architetturale e quindi è un problema essenzialmente politico e ideologico, in particolare un ripensamento della dottrina economica si pone con urgenza, bisogna uscire dalla ideologia "iperliberista" senza abolire il mercato. Nella seconda parte, dopo aver mostrato le ragioni e i danni della crisi generata dalla finanza, propongono una serie di misure che vengono dalla "valigia degli attrezzi" keynesiana: la riforma del sistema monetario internazionale lungo le linee indicate, e non attuate, a Bretton Woods, una tassazione delle transazioni finanziarie (la cosiddetta Tobin tax in realtà proposta inizialmente da Keynes), lo sviluppo di una finanza e anche moneta locale in grado di servire i reali interessi delle piccole e medie imprese e delle comunità locali. Infine concludono:
"La posta in gioco non è solo la salute economica del sistema economico, ma la ricostruzione e preservazione di spazi politici e di democrazia."
Il libro è molto bello e scritto in maniera appassionata, da cui traspare la profonda conoscenza dei sistemi economici e monetari degli autori. Complessivamente non è di difficile lettura, tranne nella ultima parte dove il discorso si fa più tecnico, e quindi è consigliato a tutti.
Infatti, la finanza dovrebbe servire alla economia reale, le imprese, mentre è diventata fine a se stessa, fare denaro con il denaro, generando bolle speculative che hanno generato la crisi e inoltre ha usurpato lo spazio della politica. Gli autori quindi criticano questa finanza che fa "mercato di ciò che merce non è, ossia della moneta e del credito", infatti il credito è essenzialmente una relazione sociale e cooperativa tra creditore e debitore. Gli autori ribadiscono, inoltre, che mercato e capitalismo non sono affatto sinonimi e dire di no ai mercati finanziari non significa rinunciare al mercato, anche perché l'economia non può crescere senza il sostegno della finanza.
Il problema fondamentale è quello che Keynes definiva "il feticcio della moneta" ovvero per la liquidità, che è il germe di tutti i mali e finisce per far diventare "liquido" anche il lavoro, e che "se si vuole resistere alla mercificazione del lavoro occorre rifiutare la mercificazione della moneta e del credito". Il problema è sopratutto architetturale e quindi è un problema essenzialmente politico e ideologico, in particolare un ripensamento della dottrina economica si pone con urgenza, bisogna uscire dalla ideologia "iperliberista" senza abolire il mercato. Nella seconda parte, dopo aver mostrato le ragioni e i danni della crisi generata dalla finanza, propongono una serie di misure che vengono dalla "valigia degli attrezzi" keynesiana: la riforma del sistema monetario internazionale lungo le linee indicate, e non attuate, a Bretton Woods, una tassazione delle transazioni finanziarie (la cosiddetta Tobin tax in realtà proposta inizialmente da Keynes), lo sviluppo di una finanza e anche moneta locale in grado di servire i reali interessi delle piccole e medie imprese e delle comunità locali. Infine concludono:
"La posta in gioco non è solo la salute economica del sistema economico, ma la ricostruzione e preservazione di spazi politici e di democrazia."
Il libro è molto bello e scritto in maniera appassionata, da cui traspare la profonda conoscenza dei sistemi economici e monetari degli autori. Complessivamente non è di difficile lettura, tranne nella ultima parte dove il discorso si fa più tecnico, e quindi è consigliato a tutti.
Nessun commento:
Posta un commento