Pubblico alcuni estratti dall'appello di Gustavo Zagrebelsky al Ministro Boschi pubblicato sul "Fatto quotidiano" e su cui mi trovo in perfetta sintonia.
Il cosiddetto
bicameralismo perfetto è certamente una duplicazione difficilmente
giustificabile in quanto le medesime funzioni siano attribuite a due Camere che
presentano la stessa sostanza politica. L’incongruenza, di per sé, non deriva dalla
partecipazione paritaria a procedimenti comuni. Se le due Camere fossero
espressione di “logiche e sostanze politiche” diverse, ma ugualmente
apprezzabili e meritevoli di concorrere, ciascuna con il suo originale
contributo, alla formazione delle decisioni politiche, non vi sarebbe ragione
di scandalo(..). Diverso, invece, il caso in cui le logiche e le sostanze
politiche siano le stesse (e per di più organizzate in modo incoerente). In tal
caso – che è quello che si è determinato nel nostro Paese – il “bicameralismo
perfetto” (per identità di funzioni e di natura delle due Camere) è certamente
un’incongruenza costituzionale.
Ugualmente
comprensibile, anzi apprezzabile, è l’intento di alleggerire, di limitare i
“posti della politica”, e con essi, i “costi della politica”, purché,
naturalmente, ciò non si traduca, come effetto, in difetto di rappresentanza
democratica (…).
Altrettanto
comprensibile è l’esigenza di funzionalità delle istituzioni parlamentari,
funzionalità che è precondizione (insieme alla competenza, alla moralità e alla
responsabilità verso i cittadini) per l’efficace difesa della democrazia
rappresentativa. Sotto questo aspetto, l’opinione comune è che il
bicameralismo, così come l’abbiamo, sia difettoso(…).
Così, la questione della funzionalità delle procedure
legislative – in particolare, sotto il profilo della loro messa in moto – si
mostra per quella che effettivamente è: una questione che riguarda il posto
della rappresentanza parlamentare nelle decisioni politiche, rispetto al governo.
Schematizzando e guardando alla storia e agli esempi che ne
vengono, i Senati esprimono o ragioni federative, nei confronti dello Stato
centrale, o ragioni conservative, di fronte alla Camera elettiva e alle sue mutevoli
e instabili maggioranze(…).
Da noi, il dibattito si è orientato pacificamente verso l’idea del Senato come organo rappresentativo delle istituzioni territoriali, cioè – non essendo l’Italia una federazione, se non nel linguaggio politico compiacente – della Repubblica autonomista: non più Senato della Repubblica, ma Senato delle Autonomie (…). A quanto sembra, l’orientamento anzidetto è dominante in assoluto. Perché ciò che bene funziona in America e in Germania non dovrebbe funzionare altrettanto bene in Italia?
Da noi, il dibattito si è orientato pacificamente verso l’idea del Senato come organo rappresentativo delle istituzioni territoriali, cioè – non essendo l’Italia una federazione, se non nel linguaggio politico compiacente – della Repubblica autonomista: non più Senato della Repubblica, ma Senato delle Autonomie (…). A quanto sembra, l’orientamento anzidetto è dominante in assoluto. Perché ciò che bene funziona in America e in Germania non dovrebbe funzionare altrettanto bene in Italia?
La comparazione con gli Stati effettivamente federali –
effettivamente significa non che hanno strutture giuridiche federali o
simil-federali, ma che hanno radici in realtà così nettamente definite in senso
storico-politico come sono gli Stati federati in Usa o i Länder in Germania –
questa comparazione, dunque, mi pare porti a dire che la somiglianza con le
nostre Regioni è solo esteriore (….).
Che sostanza politica, nuova e diversa, quest’organo
esprimerebbe? Nessuna, se non eventualmente maggioranze dissimili da quelle
politiche che si formano alla Camera dei deputati. Coloro che ragionano con
tanta sicurezza di Senato delle Autonomie temo che assumano essere le
“autonomie” qualcosa com’essi desidererebbero ch’esse fossero, ma che non sono.
E, se sono quelle che sono, invece che quelle che si vorrebbe che fossero, il
loro “senato” si riduce a ben poca e inutile cosa (…).
Se, invece, si
volesse cogliere l’occasione della riforma del bicameralismo per un’innovazione
che a me parrebbe davvero significativa dal punto di vista non
“amministrativistico”, ma “costituzionalistico”, tenendo conto di un’esigenza e
di una lacuna profonda nell’organizzazione della democrazia, si potrebbe
ragionare partendo in premessa dalla considerazione generale che segue.
Le democrazie
rappresentative tendono alla dissipazione di risorse pubbliche, materiali e
immateriali. Sono regimi dai tempi brevi, segnati dalle scadenze elettorali,
durante i quali gli eletti, per la natura delle cose umane, cercano la rielezione,
cioè il consenso necessario per ottenerlo. (…)
Nella prospettiva
“costituzionalistica” la provvista dei membri del Senato dovrebbe avvenire in
modo diverso. Nei Senati storici, a questa esigenza corrispondeva la nomina
regia e la durata vitalizia della carica: due soluzioni oggi, evidentemente,
improponibili ma facilmente sostituibili con l’elezione per una durata
adeguata, superiore a quella ordinaria della Camera dei deputati, e con la
regola della non rieleggibilità. A ciò si dovrebbero accompagnare requisiti d’esperienza, competenza e
moralità particolarmente rigorosi, contenute in regole d’incompatibilità e
ineleggibilità misurate sulla natura dei compiti assegnati agli eletti.
Uno dei punti critici del Progetto riguarda la determinazione dei poteri e la definizione del rapporto tra le due Camere nel bicameralismo non paritario,….che senso ha la “supervisione” del Senato quando già è nota l’esistenza d’una maggioranza alla Camera, in grado comunque d’imporre la propria scelta? Un lamento, una protesta fine a se stessa, tanto più in quanto la legge elettorale sia tale (ma sarà tale?) da costruire più o meno artificialmente vaste maggioranze legislative alla Camera dei deputati.(…).
Uno dei punti critici del Progetto riguarda la determinazione dei poteri e la definizione del rapporto tra le due Camere nel bicameralismo non paritario,….che senso ha la “supervisione” del Senato quando già è nota l’esistenza d’una maggioranza alla Camera, in grado comunque d’imporre la propria scelta? Un lamento, una protesta fine a se stessa, tanto più in quanto la legge elettorale sia tale (ma sarà tale?) da costruire più o meno artificialmente vaste maggioranze legislative alla Camera dei deputati.(…).
Nella prospettiva del
superamento “costituzionalistico” del bicameralismo paritario, i problemi di
convivenza delle due Camere si potrebbero risolvere così. Alla Camera dei
deputati, depositaria dell’indirizzo politico, sarebbe riservato il voto di
fiducia (e di sfiducia). Le leggi sarebbero approvate normalmente in una
procedura monocamerale. Il Senato, nei casi – si presume di numero assai
limitato, ma non elencabili a priori – in cui ritenga essere a rischio i valori
permanenti la cui tutela è sua responsabilità primaria, potrebbe chiedere
l’attivazione della procedura bicamerale paritaria. Qui ci sarebbe la funzione
di garanzia come “camera di ripensamento”, insieme allo snellimento delle
procedure in tutti i casi in cui il doppio esame non appare necessario. A sua
volta, potrebbe essere proprio la Camera, per semplificare e ridurre i tempi, a
chiedere eventualmente che sia il Senato a pronunciarsi per primo.
(…) ma anche dalle
prospettive in cui si annuncia la riforma della legge elettorale, in vista di
soluzioni fortemente maggioritarie e
debolmente rappresentative, tali da configurare una “democrazia d’investitura”
dell’uomo solo al comando, tanto più in quanto i partiti, da associazioni
di partecipazione politica, secondo l’art. 49 della Costituzione, si sono
trasformati, o si stanno trasformando in appendici di vertici personalistici, e
in quanto i parlamentari, dal canto loro, hanno scarse possibilità d’autonomia,
di fronte alla minaccia di scioglimento anticipato e al rischio di non trovare
più posto, o posto adeguato, in quelle liste bloccate che la riforma elettorale
non sembra orientata a superare. La denuncia dunque veniva, e ancora viene, da
quello che i giuristi chiamano un “combinato disposto”. La visione d’insieme è quella d’un sistema politico che vuole chiudersi
difensivamente su se stesso, contro la concezione pluralistica e partecipativa
della democrazia, che è la concezione della Costituzione del 1948. La posta in
gioco è alta. Per questo è giusto lanciare l’allarme.
Gustavo Zagrebelsky
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